Vera integrazione delle persone con disabilità anche nella comunità ecclesiale

(di Salvatore Nocera*)

Un fatto di cronaca riferito in questi giorni dalla stampa – riguardante un sacerdote che avrebbe negato l’Eucaristia a un bimbo con disabilità intellettiva – costituisce lo spunto più propizio per riflettere sulla necessità di una vera integrazione delle persone con disabilità anche nella comunità ecclesiale, al pari di quella sociale, operata nelle scuole e nella società civile. E secondo Salvatore Nocera, persona credente e con disabilità, basterebbe sapere interpretare con profondità quanto già chiaramente scritto in vari documenti della Chiesa Cattolica, successivi al Concilio Vaticano II, ovvero, ad esempio, il riconoscimento di «un’intelligenza “metacognitiva” e simbolica, fondata su aspetti apprenditivi affettivi ed emozionali, che è la modalità con cui molto più facilmente acquistano conoscenza le persone con disabilità intellettive»

Uomo di profilo con espressione pensierosa
«Lasciate che i bambini vengano a me»: queste parole di Gesù sono riportate in due brani dei Vangeli ed esattamente nel Vangelo di Marco al capo 10 (versetti dal 13 al 15) e nel Vangelo di Matteo al capo 10 (versetti dal 13 a 16).
Sono parole che sembrano essere state sottovalutate da un Parroco della Diocesi di Ferrara il quale recentemente – come hanno riferito vari giornali e agenzie di stampa del 12 aprile e anche «Avvenire» – avrebbe saltato, durante la distribuzione dell’Eucaristia nella cerimonia preparatoria alla Prima Comunione, uno dei tanti bambini, perché con disabilità intellettiva e quindi, a detta del Parroco, ancora «non preparato a comprendere la differenza fra pane normale e pane eucaristico», anche se spera che per il giorno della cerimonia ufficiale riesca ad essere preparato.

Episodi del genere si verificano di tanto in tanto, anche se con minor frequenza rispetto ai decenni precedenti. Secondo le notizie circolate, sembrerebbe poi – ma non è confermato – che i genitori del bimbo volessero fare ricorso al Tribunale Europeo dei Diritti Umani e pure in Vaticano ai sensi del diritto canonico.
Se la questione dovesse essere impostata esclusivamente sulla base del diritto, allora quei genitori potrebbero pure appellarsi in Italia sia alla Legge 67/06 sul divieto di discriminazione delle persone con disabilità, sia alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dal nostro Paese con la Legge 18/09.

Io che sono un minorato visivo e in quanto tale sono stato negli Anni Ottanta presidente nazionale del Movimento Apostolico Ciechi (MAC) e che ebbi l’occasione di intervenire nel 1987 al Sinodo Mondiale sui Laici promosso dalla Chiesa Cattolica, mi permetto – pur essendo avvocato – di impostare la grave questione da un punto di vista pastorale, secondo gli orientamenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, purtroppo troppo presto dimenticato anche da molti parroci.
Una delle più famose costituzioni approvate da quel Concilio si apriva proprio con le parole «le gioie, le speranze e le sofferenze del mondo sono anche le gioie, le speranze e le sofferenze della Chiesa». Ciò ha fatto sì che presso l’Ufficio Catechistico della Conferenza Episcopale Italiana venisse aperto – dopo il Concilio -un settore concernente la Pastorale delle persone con disabilità, che ha prodotto una serie interessantissima di documenti formativi su come annunciare Gesù morto e risorto anche ai bambini e agli adulti con disabilità, specie intellettive.
Temo che anche molti di questi documenti non siano stati letti da troppi parroci. Da essi emerge con la massima chiarezza che bisogna preparare e accostare i bambini con disabilità intellettive ai sacramenti dell’iniziazione cristiana – specificamente la Comunione – insieme ai coetanei senza disabilità, in modo da realizzare  una vera integrazione ecclesiale, al pari dell’integrazione sociale operata nelle scuole e nella società civile. Anzi, si invitano i parroci ad aprire i gruppi di catechismo in preparazione alla Prima Comunione, alla presenza di coetanei con disabilità anche intellettive, per prepararli, «secondo le loro possibilità» a quella festa comune.
Quei documenti – proprio rispondendo alle obiezioni di quanti hanno una visione esclusivamente teologico-dogmatica  del significato del Mistero dell’Incarnazione di Gesù – chiariscono che non esiste, come scientificamente provato, solo un’intelligenza razionale, ma anche un’intelligenza metacognitiva, e simbolica, fondata su aspetti apprenditivi affettivi ed emozionali, che sono le modalità con le quali molto più facilmente acquistano conoscenza le persone con disabilità intellettive.
E a quanti obiettavano che era indispensabile avere una consapevolezza razionale della differenza tra “il pane normale e quello consacrato”, quei documenti insistono molto sul valore del senso dell’affettività con cui i bambini – specie quelli con disabilità intellettive – si avvicinano al Mistero eucaristico.
Sempre quei documenti chiariscono infine che della fede di questi bambini – formati religiosamente secondo le loro possibilità – si fa garante la comunità ecclesiale nel cui seno sono allevati e integrati.

Di fronte a questi orientamenti pastorali di un importante Ufficio della Conferenza Episcopale, penso che molti parroci dovrebbero più profondamente interpretare le parole di Gesù che volle prediligere i bambini, i quali certamente non sapevano e non avrebbero compreso cosa significava sentir dire che «Egli era il Messia e il Figlio di Dio» e anzi aveva «ringraziato il Padre, perché aveva nascosto i valori del Suo Regno ai sapienti e li aveva rivelati ai piccoli» (Matteo, capo 11, versetto 25).
Noi che ci diciamo cristiani dovremmo insistere con i preti e i parroci affinché evitassero discriminazioni come questa o altre come quella di qualche anno fa, quando venne negato a un giovane paraplegico il matrimonio religioso perché era divenuto impotente a causa della sua disabilità.
Dovremmo poi insistere affinché alla luce dei testi citati, essi sapessero realizzare l’integrazione nelle comunità ecclesiali delle persone con disabilità, che costituisce la vera “imitazione di Cristo”, il quale accoglieva con la massima naturalezza le persone emarginate.
Se però questo appello a un rinnovamento pastorale non riuscisse ad essere accolto con successo, allora, forse, anche qualche causa legale per discriminazione potrebbe svegliare noi cristiani dal sonno dogmatico.

*Vicepresidente nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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