Tutti gli errori dell’ex cardinale Angelo Becciu nelle accuse che lancia all’Espresso

Sua Eminenza Reverendissima cardinale Giovanni Angelo Becciu. Così si firma, per mezzo dei suoi legali in un atto di citazione, l’uomo che chiede dieci milioni di euro di risarcimento danni all’Espresso. È il primo errore, da cui ne conseguono tutti gli altri. Il cardinale Becciu ha ricevuto la porpora dalle mani di Francesco nel 2018, giurando davanti a Dio fedeltà al papa “usque ad sanguinis effusionem”, fino all’effusione del sangue, ed è stato costretto a restituirla la sera del 24 settembre 2020, dopo un’udienza durata 23 minuti. Durante questa udienza, stando a quanto dichiarato nell’atto di citazione, il papa avrebbe avuto una copia dell’Espresso in mano: «l’illecita anticipazione al Santo Padre del contenuto dell’articolo ha provocato la perdita della posizione di Becciu nella gerarchia ecclesiale, con ogni pregiudizio conseguente».

Una tesi incredibile: il papa manipolato dall’Espresso. Non può sostenerlo un cardinale della Chiesa che ha giurato di sacrificare la sua vita per difendere il pontefice cui deve la nomina. Chi propone un parallelo con Enzo Tortora dovrebbe consigliare a Becciu di muoversi in modo più coerente. Meglio ancora, dovrebbe consigliare all’(ex) cardinale di rispondere a una semplice domanda: per quale motivo il papa ha chiesto e ottenuto, in soli 23 minuti, le sue dimissioni? A questo quesito, in realtà, l’ex sostituto della segreteria di Stato ha già risposto. Il 25 settembre, il giorno dopo, quando convocò i giornalisti in un istituto a due passi dal Vaticano. «Il Papa mi ha detto di aver avuto la segnalazione dei magistrati che avrei commesso peculato. Dalle carte, dalle indagini fatte dalla Guardia di finanza italiana emerge che io abbia commesso il reato di peculato», disse. Si sentiva indagato, dunque. E l’Espresso non fu mai menzionato. È stato un errore allora ignorare il nostro articolo o oggi attribuire all’Espresso ogni colpa?

Azzardiamo un’ipotesi: forse il cambio di linea è provocato dal fatto che in due mesi nulla di quanto scritto nella nostra inchiesta è stato smentito. Semmai è successo l’opposto, con l’ingresso in scena di altri personaggi e con nuovi sviluppi giudiziari.

All’Espresso viene chiesto di spiegare: come mai sul nostro sito è stata creata una pagina con il titolo “Ecco perché Becciu si è dimesso” alle ore 10.12 del 24 settembre, sette ore e 40 minuti prima che le dimissioni avvenissero. O addirittura, come abbiamo fatto a «divulgare la notizia con due ore e 18 minuti prima che cominciasse l’udienza del papa con il cardinale», hanno reclamato di conoscere gli improvvisati agenti mediatici del cardinale. Ma se era stata divulgata allora lo sapeva non solo il papa, ma anche Becciu, tutto il Vaticano e il resto del mondo, e l’udienza non si sarebbe mai svolta. Un mondo parallelo.

Solo chi non mette piede nella redazione di un giornale da decenni può fare domande del genere. Solo chi ha dimenticato l’angoscia di scrivere qualcosa che sarebbe poi smentito dalla realtà, l’ansia quotidiana di chi fa il nostro mestiere, può immaginare che un titolo sia costruito con ore di anticipo rispetto a un avvenimento che dipende dalla volontà di altri. In questo caso, addirittura dalla volontà del papa, che non può essere condizionato da nessuno nella sua decisione. In ogni caso, quel titolo non è stato composto con mezza giornata di anticipo.

Lo posso affermare con certezza perché l’ho scritto io, alle ore 22.27, quando la notizia era sulle agenzie di stampa da più di due ore. Così come il tentativo di spostare l’attenzione dall’inchiesta al suo autore (Massimiliano Coccia) è una manovra fin troppo banale per una persona intelligente come il cardinale Becciu. Un diversivo.

Affidarsi agli avvocati mediatici sbagliati, i meno titolati a giudicare il percorso professionale altrui, dato il loro passato: ecco un altro errore di Sua ex Eminenza. Troppi per chi si riteneva degno di diventare papabile nel prossimo conclave, quantificando la perdita del trono di Pietro in dieci milioni di euro. La nostra inchiesta, intanto, andrà avanti. Come si vede sull’Espresso di questa settimana

di Marco Damilano / espresso.repubblica.it

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