Un prete su cinque usa Facebook…. e arrivano le parrocchie 2.0

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«Un dono di Dio». Ecco come il Concilio Vaticano II definiva gli strumenti di comunicazione sociale: radio tv e, al giorno d’oggi, anche internet, capaci di «unire gli uomini in vincoli fraterni per renderli collaboratori dei Suoi disegni di salvezza». Parole che emergono in un testo del 2002 della Pontificia Commissione per le Comunicazioni Sociali e non stupisce che, nei dieci anni trascorsi da allora, la Chiesa abbia fatto un salto in avanti nel campo delle telecomunicazioni. Oggi un sacerdote su 5 ha un proprio profilo sui social network. Percentuale che sale fino a quasi il 60% nel caso delle nuove leve. A rivelarlo è una ricerca condotta dal Cremit dell’Università Cattolica di Milano e dal Dipartimento Istituzioni e Società dell’Università di Perugia. E se questo testimonia delle abitudini personali dei religiosi che stanno cambiando, il dato diffuso da webcattolici.it è significativo, invece, per quanto riguarda parrocchie e ed organizzazioni cristiane: sono 15mila, infatti, i siti cattolici attivi online. Si va da sito cyberteologia.it,  sviluppato da Antonio Spadaro direttore di Civiltà Cattolica, all’iniziativa di quattro parrocchie della provincia di Gorizia che su www.chiesacormons.it hanno sviluppato, al posto del “Pac-man”, un “Pac-don” dove il parroco raccoglie i talenti dei fedeli

HANNO INTERNET 7 PARROCHIE SU 10  – Una ricerca del 2009 – commissionata sempre da webcattolici.it –  rivelò che  sette su dieci delle ventiseimila parrocchie italiane erano connesse a Internet,che il 62 per cento aveva un indirizzo di posta elettronica e il 16 per cento possedeva un sito web. Percentuale che, in Lombardia, tra siti diretti e collegati, saliva al 42 per cento, la metà dei quali aggiornati settimanalmente. Nel 2002 in tutta Italia erano appena 127. Un incremento esponenziale per «non perdere il treno con la storia» come spiega don Luca Trentin, 51 anni, sei dei quali passati come missionario in Basile, parroco della chiesa di S. Paolo a Vicenza dal 2006. Negli ambienti della parrocchia il segnale wi-fi si muove liberamente – eccetto che nelle ore di lezioni per rispetto della scuola superiore dirimpetto alla canonica – e due computer sono a disposizione degli internauti. Come tanti casi in giro per il Paese, don Trentin si è preoccupato di impiegare parole e strumenti che i suoi interlocutori potessero capire al volo. In questo, sostiene, si usa uno strumento nuovo per mediare una regola antica del Cristianesimo: «Preoccuparsi per l’altro, farlo sentire a proprio agio per essere sicuri che le nostre parole gli arrivino». Soprattutto in un momento di crisi, nella fede come nell’economia, come quello che stiamo vivendo, che può trasformarsi in una «grande opportunità»,  anche per «cambiare sé stessi prima di voler cambiare gli altri». Senza, però, confondere lo strumento con il fine.

INGREDIENTI 2.0 – Perciò, una parrocchia al passo con i tempi non è quella che ha internet e la tecnologia, ma quella che usa questi strumenti per riproporre e promuovere i valori cristiani nel linguaggio e con i modi della contemporaneità. «I valori, infatti, sono gli stessi – riprende don Trentin  – da due millenni, ed ogni età deve saper interpretare e formulare secondo i suoi modi e le sue parole». Comprendere che «non si può pensare di vivere bene e permettere anche agli altri di vivere bene, se non prendendosi cura dell’altro, con gratuità e responsabilità»; capire «che gli occhi con cui vedere i problemi non devono essere i nostri, ma quelli dei più poveri, di chi è più in difficoltà»; accettare che «l’ideale della famiglia rimane elevato tanto quanto le difficoltà nel realizzarlo»: ecco gli ingredienti di una parrocchia e di una Chiesa possono mediare nel web e suoi social network per essere veramente 2.0.

LO STRUMENTO NON È IL FINE – «I new media» conferma don Giacomo Ruggeri, esperto di catechesi e media, intervenendo il 30 maggio scorso al laboratorio online “Animatori di cultura e comunicazione” «stanno cambiando in modo antropologico il modo di pensare e di parlare. Dobbiamo capirla questa nuova grammatica». Per comunicare meglio e rispondere a quel «bisogno di spiritualità che i nuovi media stanno amplificando». Nello stesso tempo però «la fede è una cosa seria (non seriosa). I nuovi media stanno amplificando. Ma è facile cadere nelle banalizzazioni. Dalla Rete dobbiamo favorire l’incontro e la condivisione dei ragazzi con i poveri e gli emarginati. Farli partecipi della solidarietà. Non dobbiamo dimenticare che il web ha sempre bisogno di una realtà concreta da cui farsi alimentare».

ilvostro.it

13 Giugno 2012

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