Servono cristiani che parlino con la vita

di VITTORIA PRISCIANDARO – foto di ALESSIA GIULIANI/CPP

Il vescovo della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Riccardo Fontana

Il vescovo della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Riccardo Fontana.

Questo palazzo? Piano piano sto cercando di trasformarlo in museo. Il vescovo non può avere cento stanze a disposizione quando c’è chi non sa dove dormire». Monsignor Riccardo Fontana, arcivescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, ha il «parlar dritto» della gente toscana. «Non c’è niente che commuove di più il mio popolo del prete che si spende per gli altri, così come non c’è niente che dà più urto di chi accaparra denaro e pensa solo a sé stesso». Non è un caso che qui sia stato vescovo e santo Donato, «attorno al quale cresce e fiorisce la tradizione aretina. Un vescovo di cui Gregorio Magno dice che porta nel nome il suo progetto di vita».

Una veduta della cattedrale e di piazza Duomo, ad Arezzo

Una veduta della cattedrale e di piazza Duomo, ad Arezzo.

Perché Donato è così importante?

«Perché risponde a un’esigenza del popolo. La mia gente vuole che, nel sacro ministero, preti e vescovi siano “donati”. E poi perché il miracolo che compie Donato ci indica ancora oggi la nostra missione».

Vale a dire?

«Quella dell’unità. Si racconta che alcuni pagani entrarono nel luogo dove Donato stava celebrando la Messa e ruppero il calice di vetro. Donato ne raccolse i cocci e, anche se ne mancava uno, vi versò dentro il vino e lo servì ai fedeli senza che ne cadesse una goccia. Vedendo questo, i pagani si convertirono. Questa non è storia solo di Donato, ma è la nostra storia. Come preti e come vescovi dobbiamo rimettere insieme la gente che ci è affidata, dobbiamo rimettere insieme la Chiesa».

Da dove si riparte?

«Da quello che c’è. Questa è una Chiesa bella, articolata, grande. Ancorata ai suoi santi: Donato, ma anche il monaco Ilariano, Margherita Teresa Redi, ricordata anche nel monastero carmelitano sul monte Tabor, la celebre Margherita da Cortona… Con i suoi due grandi pilastri spirituali: Camaldoli e La Verna. È la terra delle nostre donne. Accanto a quelle dal nome iscritto nel calendario, la nostra Chiesa ha sempre avuto delle donne giuste. Donne fatte con l’accetta, come le raffigura Piero della Francesca, con il tratto severo e il volto dolcissimo, profondo. Sono le nostre popolane che hanno custodito la fede cristiana. Soprattutto nelle valli, con i contadini tenuti alla fame da una condizione sociologica assurda, le donne hanno tenuta viva l’essenza della famiglia e hanno dato una prospettiva fortissima».

E oggi?

«Bisogna stare attenti perché se, soprattutto attraverso i media, le nostre ragazzine sono rese fragili, le donne di domani non avranno spessore. Ma qui allargherei il discorso anche ai ragazzi. È tutta una generazione che va sostenuta. Bisogna puntare sulla pastorale giovanile, avere amore per Arezzo giovane. I nostri ragazzi sono un po’ rusticani come tutta la nostra gente, ma lavorandoci, viene su bene».

Preziosi oggetti sacri custoditi nel Museo diocesano

Preziosi oggetti sacri custoditi nel Museo diocesano.

Ma i ragazzi ascoltano la Chiesa?

«I giovani vogliono esempi credibili. Abbiamo una Chiesa bella. Il problema è come riuscire a raccontare questa bellezza. Una bellezza che va raccontata con i fatti, non con le parole. Bisogna fargliela vedere. Ci vogliono i testimoni, le letture, la capacità di formare i formatori. Abbiamo l’olio di Siranna da far giungere alla nuova generazione».

Che cos’è l’olio di Siranna?

«Siranna era una ricca vedova del IV secolo convinta che con l’oro si potesse comandare il mondo intero. Quando diventa cieca e il suo bambino la spinge ad andare a incontrare Donato e Ilariano, Donato la affronta dicendole che lei non vede perché le manca l’olio. Questa giovane e superba signora risponde che lei di olio ne ha parecchio. Finché capisce che l’olio che le manca è il rendersi conto delle necessità degli altri, è il sacro crisma, è l’amore. Appena Siranna comprende che, alla luce di Dio, si può vedere il mondo con occhi diversi, riacquista la vista. È questa capacità di guardare che dobbiamo trasmettere ai giovani, ma in modo concreto».

I giovani si fanno coinvolgere?

«Il fatto che alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid siano andati in settecento ci dice che c’è un traino possibile. E che si può tornare dentro le nostre scuole, rifare gli oratori, rimettere in piedi prospettive di lavoro. Si ricordava che questo palazzo principesco sta diventando un museo. La mostra sul Vasari impiega cinque persone e poi via via ne coinvolgerà altre. Così come la televisione Tele San Domenico, che impegna 25 giornalisti molto giovani. Siamo partiti con una tv parrocchiale messa in piedi da un frate con rosari e messe cantate. Un grande regalo, perché ha fatto in modo di far trovare la struttura e le frequenze e oggi si sta sviluppando. Ho chiamato del personale della Rai per formare questi giovani. Stanno imparando come affrontare i grandi temi. È così che, con il supporto di veri professionisti, si aiuta a far emergere il pensiero della generazione nuova».

Ad Arezzo però ci sono anche molti anziani e famiglie in difficoltà…

«Certo. I giovani però sono il mio primo pensiero. Poi è chiaro che si fa un lavoro molto attento alla Chiesa comunione, alla dimensione sinodale, alle vocazioni, alle povertà sempre più evidenti. Cerchiamo di camminare insieme».

Anche qui c’è un calo di vocazioni?

«Al contrario. Ad Arezzo c’è una ripresa. Qualche tempo fa il seminario era quasi vuoto. In due anni, invece, sono arrivati undici seminaristi, undici figli delle nostre parrocchie. Questo particolare mi sembra importante perché i sacerdoti non vanno cercati di qua e di là, ma devono nascere nelle nostre comunità. Siamo grati a chi ci aiuta, ma io dico sempre che i preti si fanno con i figli maschi. Per aiutare queste vocazioni, però, non dobbiamo educare alla paura. Il Signore chiama e le vocazioni ci sono. Quello che un po’ mi preoccupa in questo momento è invece la carenza di vocazioni alla vita consacrata da parte delle ragazze. Non dobbiamo però piangerci addosso. Riportare la gente alla fede vuol dire ridare a essa la verità e la speranza. Essere capaci di profezia».

Vittoria Prisciandaro  – Jesus Marzo 2012

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