Quarto giorno di sciopero della fame per don Paolo

E’ giunto al quarto giorno lo sciopero della fame di Don Paolo Trentini, 80 anni, parroco di Sant’Antonio e direttore del centro di formazione Alfa a Piangipane. “Sto bene e sono lucido – assicura il parroco -, bevo molto, misuro costantemente la pressione e sto molto attento alle reazioni del mio fisico. Non so fin quando farò durare questa mia protesta”.
Protesta cominciata dopo alcuni spiacevoli eventi accaduti negli uffici della struttura di Piangipane: qui, spiega, nel maggio del 2011 sono giunti una cinquantina di profughi sub sahariani provenienti dalla Libia, ospitati dopo l’accordo con la Protezione Civile. Il centro di cui don Paolo è direttore si occupa di formazione professionale e, nell’attesa che i profughi ricevessero lo status di beneficiari della protezione umanitaria, sono stati organizzati corsi di italiano. Oggi di quelle persone ne sono rimaste poche, che non hanno ancora ottenuto una risposta dalle commissioni e che hanno cominciato a “perdere la pazienza”. Giorni di tensioni, rifiuti a firmare carte e documenti, comportamenti violenti hanno reso necessario l’intervento delle forze dell’ordine e don Paolo, dopo la terza chiamata ai Carabinieri di Godo, martedì scorso, ha optato per il gesto estremo: “Si gioca e si rischia la vita delle persone, tanto degli immigrati che ci sono affidati quanto dei nostri stessi collaboratori, uomini e donne”. La protesta mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema e soprattutto ottenere confronti tempestivi e risolutivi: “Come referenti diretti per competenze attribuite e delegate ci sono due istituzioni, la Protezione Civile e le Commissioni territoriali addette al riconoscimento dello status”. La prima sarebbe stata troppo latitante in tutto questo tempo, le seconde troppo lunghe coi tempi e poco chiare nelle comunicazioni e decisioni. Don Paolo difende i suoi ospiti immigrati, pur criticando il comportamento “poco collaborativo” della minoranza che si è ultimamente ribellata: “Sono persone che hanno visto la morte in faccia, che hanno affrontato un pericoloso e precario viaggio in mare, che giunti a Lampedusa hanno affrontato lo smistamento pieno di incertezze. Sono lontani dalla loro famiglia e dalle loro case, e il protrarsi dell’incertezza sul proprio futuro in assenza di occupazioni regolari può portare a questi atteggiamenti di diffidenza”.

“Annoto in particolare – scriveva ieri in una lettera – che, in quanto sacerdote cattolico e non più giovane, mi sento chiamato in causa in modo particolare dagli stessi immigrati che si attendono da me un di più di attenzione e specificamente, talora me lo chiedono apertamente, di paternità. Non mi nascondo che ci possa essere in ciò anche un’astuzia e un  tentativo di ricatto.  Credo di poter assicurare di non avere intenzione di stare al gioco e nemmeno di caderci. Aggiungo che nemmeno ritengo di poterlo in assoluto escludere e proprio anche per questo sono ben lieto di avere l’aiuto e il controllo delle istituzioni, che di fatto hanno il potere di esercitare la sovranità, per smascherare astuzie, pretesti ed eventuali ingenuità, non però in modo autoritario e perentorio, bensì attraverso l’esercizio del controllo e grazie al confronto nella chiarezza e nella trasparenza nel pieno rispetto delle norme conformi ai dettati del Diritto internazionale e della Costituzione”.

 

ravenna24ore

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