L’amarezza di Enzo Bianchi, che ora non vuole andare via da Bose: «Volevo la Chiesa delle origini»

Nel dicembre 1965, terminato il Concilio Vaticano II, Enzo Bianchi si ritirò con un piccolo nucleo di cattolici e protestanti in una cascina abbandonata del Biellese e scrisse la sua «regola»

L'amarezza di Enzo Bianchi, che ora non vuole andare via da Bose: «Volevo la Chiesa delle origini»Un’immagine della Comunità di Bose nel Bielles

Chi gli è vicino parla della sua «grande amarezza». È dura accettare di essere mandato via così, dopo tutto questo tempo. La data di nascita simbolica è l’8 dicembre 1965, ultimo giorno del Concilio. Di certo fu alla fine dell’anno che quel giovane ventiduenne della Fuci, dopo la laurea in Economia, decise di rinunciare alla carriera universitaria e ritirarsi, da solo, in una cascina abbandonata di Bose, una frazione del comune di Magnano, nel Biellese. Fratel Enzo Bianchi non ha mai voluto diventare sacerdote, «volevo restare un semplice cristiano, laico come lo sono i monaci. Ho voluto seguire questa via controcorrente perché il monachesimo è tutto “clericalizzato” e oggi resta essenzialmente seguito da monaci-preti. Ma io volevo tornasse alle origini».

La laicità delle origini cristiane

Molti magari non sanno che erano monaci laici anche San Pacomio, monaco egiziano vissuto tra il III e IV secolo nonché fondatore del cenobitismo, il padre del monachesimo occidentale San Benedetto e pure San Francesco d’Assisi. Enzo Bianchi voleva risalire alle radici del cristianesimo, alla Chiesa indivisa che non conosceva separazioni tra cattolici, ortodossi e protestanti, e aperta alle donne: «A partire dai primi secoli vi sono stati uomini e donne, chiamati ben presto monaci, che hanno abbandonato tutto per tentare di vivere radicalmente l’evangelo nel celibato e riuniti in comunità». I primi «fratelli e sorelle» lo raggiunsero tre anni più tardi nel ’68, e lì Bianchi scrisse la «regola» sull’esempio benedettino. Una vita di preghiera e lavoro — frutteto e orto, atelier di ceramica e di icone, la falegnameria, una casa editrice — scandita dagli uffici quotidiani e dalla lectio divina, il dialogo ecumenico.

L’opposizione del vescovo di Biella nel ‘67

Non è stato facile. Ci volle un intervento del cardinale Michele Pellegrino per superare l’ «interdetto» del vescovo di Biella, nel ’67. «All’inizio, un ragazzo che si mette a vivere insieme con altri, in campagna, che fa una Liturgia delle Ore già da subito, destava dei sospetti soprattutto perché uno di noi era protestante», raccontava. L’amaro paradosso è che con Francesco pareva tutto superato, finalmente. «Noi abbiamo bisogno di questo cristianesimo semplice, quello che ci ha insegnato Gesù».

Un messaggio di amore

L’ultimo messaggio che ha lasciato su Twitter, due giorni fa, suona amaro: «Ciò che è decisivo per determinare il valore di una vita non è la quantità di cose che abbiamo realizzato,ma l’amore che abbiamo vissuto in ciascuna delle nostre azioni: anche quando le cose che abbiamo realizzato finiranno l’amore resterà come loro traccia indelebile».

corriere.it

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