Vatileaks 2 e il comitato segreto della Prefettura in Vaticano

L’attenzione mediatica su Vatileaks 2 si è sgonfiata, e in particolare ha smesso di illuminare il processo in corso in Vaticano in merito al trafugamento e alla diffusione all’esterno, di documenti riservati e segreti della Santa Sede. Ed è un peccato, perché il procedimento, dopo il clamore iniziale suscitato dalla presenza come imputati dei due giornalisti, Gianluigi Nuzzi e Emiliano Fittipaldi, è entrato nel vivo con una serie di testimonianze importanti. Anzi, il quadro che sta emergendo è a dir poco sorprendente. Era attivo fino a non molto tempo fa, nel cuore contabile dei sacri palazzi, un comitato ristretto che gestiva in modo improprio e misterioso migliaia di documenti riservati, negli uffici si registrava un via vai di persone senza controlli, intanto avevano luogo riunioni riservate in un clima definito «complottistisco» e di «rapporti degradati» dai vari testimoni.

A dare un quadro più esatto della situazione sono state in modo particolare Paola Monaco, all’epoca dei fatti (fra il 2013 e il 2015) impiegata nella segreteria di presidenza della Prefettura affari economici della Santa Sede; Paola Pellegrino, responsabile dell’archivio della stessa Prefettura (con documenti che risalgono fino al 1967), e poi Stefano Fralleoni, ex ragioniere generale del dicastero. Quest’ultimo – giova ricordarlo – era lo “scrigno” di molti dei segreti finanziari della Santa Sede, essendo stato a lungo l’organismo che preparava e revisionava i bilanci di quasi tutti gli enti vaticani. È bene dire che oggi la Prefettura non esiste di fatto più e le sue funzioni sono state trasferite alla Segreteria per l’economia (il superministero finanziario istituito dal papa), e dalla figura del revisore generale.

Alla Prefettura lavorava, in qualità di Segretario del dicastero, monsignor Lucio Angel Vallejo Balda.Balda ha tracciato di sé, in questi mesi, un autoritratto dimesso, è voluto apparire come una persona labile, tutto sommato ingenua, travolta comunque dagli eventi. Tutt’altra cosa emerge nei racconti dei testimoni. Ancora va ricordato che in quei primi mesi di pontificato di Bergoglio, era attiva la Cosea,cioè una commissione incaricata di svolger un’indagine e quindi di avanzare proposte per la riforma delle strutture economiche della Santa Sede. L’organismo, del quale facevano parte sia monsignor Valejo Balda che Francesca Chaouqui, aveva ampio accesso ai documenti finanziari della Santa Sede.

Vatileaks 2 entra nel vivo con una serie di testimonianze importanti da parte degli ex-impiegati della Prefettura affari economici della Santa Sede secondo cui fino a poco tempo fa esisteva un comitato ristretto che gestiva in modo improprio e misterioso migliaia di documenti riservati

Porte chiuse e archivi paralleli

Sia Paola Monaco che Stefano Fralleoni, hanno descritto l’esistenza di una sorta di “gruppo ristretto” costituitosi all’interno della Cosea, composto da monsignor Vallejo, da Chaouqui, dal tecnico informatico Nicola Maio (tutti e te imputati nel processo) e da monsignor Alfredo Abbondi, altro funzionario di lungo corso della Prefettura per gli affari economici. «Era un gruppo coeso – ha spiegato la Monaco – con una certa intesa», che «si riuniva a porte chiuse nella stanza di mons. Vallejo». Visto il lavoro d’indagine di Cosea “le porte chiuse” nelle riunioni «per tutelare la riservatezza, erano di per sé legittime – ha aggiunto – ma il contesto faceva pensare ad azioni complottistiche». Secondo quanto ha riferito l’altra teste, Paola Pellegrino, nelle stanze della Prefettura «si stava costruendo un archivio parallelo».

Inoltre, ha proseguito, lo stesso Valejo Balda cercava in modo insistente i documenti dello Ior relativi agli estratti conto di tutti i dicasteri vaticani, documenti conservati sotto la sua responsabilità e quella di Fralleoni, cosa che fece arrabbiare moltissimo mons. Vallejo Balda il quale, da quel momento in poi, cominciò a prelevare carte riservate in modo arbitrario. Parte dei faldoni conservati nella Prefettura, per la verità, dal 2013 erano alla mercé, nei racconti dei testimoni, di chiunque entrasse negli uffici della Prefettura, tanto più durante le ore pomeridiane quando le varie stanze erano quasi deserte.

Il clima è quello di un via vai continuo, di riunioni a porte chiuse e di un rapporto stretto fra Chaoqui e Balda. C’è poi la storia dei pesci rossi regalati dalla Chaouqui a Balda («sembrava un monito a non parlare»), quindi il timbro con scritto sub secreto – mai usato nella Prefettura – nelle mani del tecnico Nicola Maio, il sigillo sarebbe poi comparso su alcuni documenti pubblicati nel libro di Nuzzi che però, secondo la Pellegrino, in forma originale non contenevano alcuna timbratura (e qui in qualche modo si prefigura una sorta di documento taroccato con la specifica del segreto, ma sono dettagli).

Paola Monaco: «Era un gruppo coeso, con una certa intesa che si riuniva a porte chiuse nella stanza di mons. Vallejo». Paola Pellegrino: «Nelle stanze della Prefettura si stava costruendo un archivio parallelo».

Fotocopiatura frenetica

Interessante è ancora un passaggio nella testimonianza della Pellegrino, che ha ricordato distintamente «un’attività frenetica di fotocopiatura dall’inizio 2015 a luglio 2015» da parte di un usciere incaricato da «mons. Abbondi e mons. Vallejo». «Documenti – ha spiegato – poi rivisti nei libri di Nuzzi e Fittipaldi, in particolare quelli relativi alle Cause dei Santi». In quel momento la responsabile dell’archivio si chiese per quale ragione «si stesse creando un archivio parallelo» e la memoria le andò rapidamente alla «vicenda di Paolo Gabriele (l’ex maggiordomo di Benedetto XVI responsabile di aver trafugato documenti, ndr)», così «temendo» che lei e il suo assistente «potessero essere ritenuti responsabili» di fatti illeciti, decise di scrivere due note, una a maggio e l’altra ad agosto, controfirmate dal ragioniere generale Fralleoni e da un altro funzionario.

Le due lettere «vennero sistemate nell’archivio in una posizione non immediatamente individuabile».Clima pesante dunque, tanto da indurre a produrre prove preventive circa la propria estraneità a possibile illeciti, un Vaticano porto di mare nel quale si cerca negli armadi, si aprono plichi riservati, si verificano scontri fra funzionari: in questa situazione che è partita la riforma finanziaria della Santa Sede, e forse si è articolato un complotto il cui fine era quello di dare un colpo all’immagine del pontificato così come era avvenuto per Benedetto XVI.

D’altro canto il luogo scelto, la Prefettura per gli affari economici della Santa sede, era perfetto. Qui si trovavano molti dei dati relativi alle strutture economiche vaticane o ad esse legate; da quegli uffici si controllavano le ben 29 fondazioni e i 17 fondi della Santa Sede, oltre alle strutture caritative e alle basiliche maggiori della Capitale (che possiedono beni immobili e terreni) e ai santuari (fonte di risorse non indifferente per la Chiesa). È qui che lo Ior figura, per esempio, come Fondazione (definizione inconsueta), un riferimento però si c’è in una nota di padre Federico Lombardi – portavoce vaticano – del 2012, quando, rispondendo a indagini giornalistiche, precisava: «L’affermazione che lo Ior è una banca non corrisponde a verità; lo Ior è una Fondazione di diritto sia civile che canonico regolata da un proprio statuto; non mantiene riserve e non concede prestiti come una banca. Tanto meno è una banca off-shore».

Fra i fondi di cui si occupava la Prefettura c’erano quelli per le pensioni e l’assistenza sanitaria, ma pure quello dell’Immobiliare Casa Sollievo della sofferenza Spa. Fra le Fondazioni non manca naturalmente il Bambin Gesù, il famoso ospedale pediatrico vaticano. Di fatto la capillare attività di riforma di questi tre anni sta portando alla luce e chiarendo molti aspetti, allo stesso tempo tuttavia, il quadro si complica: si delinea infatti un groviglio di interessi e di ruoli sempre più stretti all’interno del quale si articolava il discreto e in parte sconosciuto potere finanziario d’Oltretevere con le sue diramazioni oltre le Mura leonine.

linkiesta.it

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