Tre anni per un Habemus Papam. Viterbo e il Conclave più lungo della storia

Sarà breve o lungo il Conclave che a partire da martedì 12 marzo 2013 donerà alla Chiesa e al mondo il successore di Benedetto XVI sul soglio di Pietro? Quale sarà il nome che il cardinale protodiacono annuncerà dal balcone della Basilica vaticana dopo la fumata bianca e lo scampanio a festa delle campane? Mentre alla vigilia della chiusura dei porporati nella Cappella Sistina, giornalisti ed esperti di cose vaticane almanaccano, come moderni aruspici, intorno alla nazionalità del neoeletto e al suo profilo, può essere utile ricordare come è nato e si è modificato nel tempo il rito antico dell’elezione del Pontefice Romano, che ripropone periodicamente all’attenzione dei fedeli e dell’opinione pubblica mondiale un complesso e talora misterioso cerimoniale, plasmato via via da norme successive risalenti al Medioevo e che avevano ereditato l’antica elezione del Vescovo di Roma compiuta dal popolo e dal clero. Risale infatti a Papa Niccolò II il primo nucleo di regole fondamentali per l’elezione del Pontefice Romano, sancita nel 1059 con la bolla In nomine Domini con cui si decretava che elettori del Pontefice fossero i cardinali vescovi e che la loro libertà di scelta fosse garantita ovunque. Dopo di lui tanti altri Papi hanno messo mano a regolamentare la successione del Vicario di Cristo. Gli ultimi, come sappiano, sono stati proprio Giovanni Paolo II, con la Costituzione Apostolica “Universi Dominici Gregis” del 22 febbraio 1996, e Benedetto XVI con la Lettera Apostolica “De aliquibis mutationis in normis de electione Romani Pontificis” dell’11 giugno 2007 e il Motu Proprio “Normas Nonnullas” del 22 febbraio 2013.

 

Ma come e quando ebbe origine quello che da allora è stato definito “conclave”? Bisogna risalire a Viterbo e all’elezione papale che lì ebbe luogo, passata alle cronache come il conclave più lungo della storia, durato ben 33 mesi e svoltosi nel Palazzo dei Papi, dall’inverno del 1268 all’autunno del 1271. Vediamo cosa avvenne. Alla morte di Clemente IV, avvenuta a Viterbo il 29 novembre 1268, la riunione elettorale dei cardinali (che Innocenzo IV, con la costituzione “Quia frequenter” del 1243, aveva disposto potesse aprirsi nel luogo dove era scomparso il Papa) si trovò ad affrontare non solo il tema della successione pontificia, ma anche complesse questioni politiche ed ecclesiologiche. I diciannove grandi elettori avevano davanti a sé la crescita del potere da parte di Carlo d’Angiò, che da soccorritore del Papato si stava trasformando in suo controllore, e la necessità di dare alla Chiesa una guida salda e sicura in grado di fronteggiare una strisciante decadenza spirituale. Forti, quindi, le pressioni politiche che i cardinali ricevettero, da Filippo III re di Francia all’ex imperatore di Bisanzio Baldovino, a favore di una scelta sollecita. Dopo alcune settimane di incontri e di riunioni, tenute presso la grande Sala del Palazzo dei Papi appena realizzato, i cardinali decisero autonomamente di rimanervi chiusi e stipularono questa volontà in un accordo con il Podestà e il Capitano del popolo di Viterbo, incaricati della salvaguardia esterna del Palazzo. Scaturì da questa decisione quindi l’idea di riunirsi pubblicamente cum clave, termine quindi che passò ad indicare sia il luogo dove si riuniscono i cardinali in clausura sia la stessa assemblea dei presuli elettori. In realtà, però, la decisione non era del tutto nuova.

Già l’elezione di Papa Gelasio II, nel 1118, era avvenuta con una sorta di conclave segreto ante litteram nel monastero romano di Santa Maria in Pallara, dalle parti del Palatino, così come nel 1145 Eugenio III era stato eletto quasi nello stesso modo nel monastero di San Cesario. E nel 1198, alla morte di Celestino III, i cardinali elettori si riunirono volontariamente in una zona benedettina, denominata ad Septa solis e ubicata nel Septizonium di Settimio Severo (un antico edificio imperiale trasformato in fortezza e in parte in monastero) per eleggere Innocenzo III in modo da “poter discutere della sostituzione del pontefice in modo più libero e sicuro”, come scriverà lo stesso eletto. Per lo storico della Chiesa Michele Maccarrone questa elezione è stata il primo vero Conclave della storia. Intanto a Viterbo era già trascorso un anno e i cardinali, divisi tra loro su molti punti, non erano giunti a nessuna decisione. Nell’autunno del 1269, il Podestà di Viterbo, Corrado di Alviano decise allora di forzare la mano e di rinchiudere materialmente i cardinali nel Palazzo pontificio, con un’azione che le fonti medievali definiscono arctatio, vale a dire con un’azione violenta di segregazione e di prigionia. Le cose precipitarono il 1° giugno 1270, solennità di Pentecoste, quando i Viterbesi, esasperati dalla lunghezza dei lavori elettorali, scoperchiarono una parte del tetto del Palazzo. L’episodio destò un grande scalpore e da allora è entrato nell’immaginario collettivo e nell’aneddotica conclavaria, con le scene e le rappresentazioni dei cardinali costretti a vivere alle intemperie, al caldo e al freddo. In realtà, quale che sia la reale dimensione dello scoperchiamento, si può affermare con certezza che il 22 giugno il Palazzo era di nuovo riparato e al suo interno il Podestà e il Capitano del popolo incontrarono i cardinali.

Dall’esterno, però, arriverà solo pane e acqua, i viveri saranno prima razionati e poi via via tagliati, in modo da prendere i cardinali per la fame e indurli finalmente a raggiungere una decisione. La svolta arriverà solo il 1° settembre 1271. I cardinali, dopo l’ennesima discussione, deliberarono di utilizzare la formula del compromissum, che in pratica delegava a sei fra di loro di indicare il nuovo Pontefice. I sei cardinali designati non erano tra i più importanti del Sacro Collegio e non rappresentavano particolari posizioni politiche: la loro preferenza, in altre parole, non avrebbe mortificato o esaltato nessuno. In brevissimo tempo, i sei delegati giunsero alla comune decisione, approvata lo stesso 1° settembre da tutti i porporati, di eleggere al soglio di Pietro un candidato estraneo al Conclave, non sacerdote e nemmeno cardinale, e neanche fisicamente presente a Viterbo: era il piacentino Tedaldo Visconti, arcidiacono di Liegi e professore insieme a Tommaso d’Aquino e a Bonaventura da Bagnoregio all’Università di Parigi, che in quel momento era legato apostolico in Terra Santa. Fu proprio ad Acri che lo raggiunse la notizia dell’avvenuta elezione e ci vollero ben quattro mesi prima che raggiungesse Viterbo e poi Roma, dove, dopo l’ordinazione sacerdotale e la consacrazione episcopale, fu solennemente intronizzato con il nome di Gregorio X. Memore delle traversie di quei quasi tre anni necessari per l’Habemus Papam, Papa Gregorio emanò la costituzione “Ubi periculum”, votata dal secondo Concilio di Lione il 7 luglio 1274, con la quale disciplinava l’istituto del Conclave così come lo conosciamo oggi, garantendo ai cardinali libertà e autonomia, ma prescrivendo norme accurate per evitare che le operazioni di scrutinio durassero troppo a lungo. L’esperienza di Viterbo e di quel Conclave lunghissimo avevano lasciato un segno indelebile.

di Ciro Fusco – http://www.korazym.org/5948/tre-anni-per-un-habemus-papam-viterbo-e-il-conclave-piu-lungo-della-storia/

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