Senza informazione, non c’è nessuna possibilità di azione individuale e collettiva

Nel suo Paese – l’Algeria – non è considerato, i media lo ignorano e lui cosa fa? Risponde tenendo conferenze in giro per il mondo e scrivendo libri che, soprattutto all’estero, sono dei veri e propri bestseller. Stiamo parlando di Boualem Sansal, fino al 2003 funzionario del ministero dell’Industria algerino ma poi allontanato per i suoi scritti e per le sue prese di posizione politica, autore di diversi romanzi grazie ai quali, nel 2014, è stato nominato al Premio Nobel per la letteratura.

L’ultimo, 2084. La fine del mondo – un romanzo avvincente e spietato, da oggi nelle librerie italiane per Neri Pozza nella traduzione di Margherita Botto – è stato un vero e proprio caso editoriale in Francia, soprattutto da quando uno come Michel Houellebecq, l’autore di Sottomissione (Bompiani), lo ha definito peggiore del suo. “Quello di Sansal – ha spiegato alla trasmissione televisiva On n’est pas couché – descrivendo un vero totalitarismo islamico, vede la vittoria degli estremisti: può darsi che abbia ragione e che quella sua visione del futuro sia molto plausibile”.

A ben guardare, in 2084, un titolo che non può non far pensare a 1984 di George Orwell, Sansal ha inventato un paese chiamato Abistan dove l’abilang è l’unica lingua che si parla, quella che ha soppiantato tutte le precedenti, perché rischiano di aprire la mente. In quel nuovo regno, il passato, in tutte le sue forme, non ha più alcun valore e tutto è nelle mani di Yölah e del suo rappresentante in terra, il profeta Abi. E’ Yölah che sa le cose e che ne decide il significato, ma soprattutto è a lui che spetta il compito di istruire chi vuole.

Se un ordine non viene rispettato, sono previste frustate, lapidazioni ed esecuzioni pubbliche ed eventuali dubbi, domande e riflessioni sono vietate. Agli uomini non resta, quindi, che “morire per vivere felici”, come recita il motto dell’esercito abistano. Nessuno di loro sa a che cosa corrisponda quella data, 2084: per alcuni si tratta dell’inizio del conflitto, per altri dell’anno di nascita di Abi, per altri ancora il giorno in cui quest’ultimo fu illuminato della luce divina. In ogni caso, è una data ben presente nelle loro menti ed è presentata in ogni discorso, oltre ad essere impressa sui cartelli commemorativi affissi accanto alle vestigia dello Shar, la Grande Guerra santa contro i makuf, i propagandisti della “Grande Miscredenza”.

sansal

A Roma abbiamo incontrato questo scrittore sessantaseienne che ogni giorno, assieme alla sua famiglia, continua a ricevere minacce di ogni tipo, ma non si arrende.

Come è nata questa storia ?

E’ stato tutto molto semplice, pur essendo la faccenda molto complessa: l’idea mi è venuta dalle cose che ho visto con i miei occhi nella vita di tutti i giorni in Algeria. Prima c’era una dittatura militare che si è rafforzata al formarsi e al crescere di una dittatura religiosa. Immagini l’evoluzione che questo ha comportato. La libertà era già poca nel mio Paese, poi è sparita del tutto. La gente che conoscevo si è trasformata nel giro di poco tempo e molte cose sono cambiate. Per questo, qualche anno fa, mi sono chiesto se questa malattia poteva essere contagiosa oppure no, se si trattava solo di un problema algerino o di un problema generale. Dopo attenti studi ho capito che si tratta di una malattia molto contagiosa che rischiava di contaminare il mondo intero. Volevo raccontare tutto questo ed ho preso come modello Orwell, perché lui è stato il più bravo a descrivere situazioni del genere. Sono giunto alla conclusione che quello che è successo non deriva da comportamenti individuali dei singoli, ma dalla collettività: è come l’influenza, è un virus che circola nell’aria, non colpisce solo chi conduce un certo tipo di vita ma colpisce tutti.

Nel suo libro, l’Islam e l’islamismo sono presenti in ogni pagina pur non usando mai queste due parole. Come mai questa scelta?

Ha ragione. Stiamo parlando di un romanzo la cui collocazione è in un momento lontano del tempo e questo è voluto, come è voluta la scelta di non usare quei due termini. L’islam ha avuto una sua evoluzione nel corso dei secoli e chissà dove arriverà, non lo sappiamo, ma probabilmente diventerà la religione dei convertiti. In ogni caso, parlo
senza peli sulla lingua. “2084” rappresenta la “grande guerra” contro la “miscredenza”: suona la campana a morto di tutte le civiltà precedenti e impone il regno del non-pensiero nella sottomissione obbligatoria alla volontà del Yölah e al suo rappresentante in terra, il profeta Abi. Perché, però, dubbi e sospetti si insinuano nella mente del trentacinquenne Ati al ritorno a Qodsabad, la capitale dell’impero, dopo anni trascorsi in un sanatorio arroccato su una montagna? Perché nel suo cuore si fa strada la tentazione di attraversare la Frontiera, al di là della quale, si dice, vivano i Rinnegati, i makuf, i propagandisti della Grande Miscredenza capaci di tutto?
Ispirato alla celebre opera di George Orwell 1984, 2084. La fine del mondo, narra di un mondo futuro dove tutti gli incubi del presente sembrano realizzati nella forma di una feroce teocrazia totalitaria.

Tra tanti divieti e privazioni, in Abistan non c’è spazio per la Storia e non è certo un caso. Del resto, negare il proprio passato e la propria storia è proprio delle dittature. Quella che lei descrive lo è a tutti gli effetti: l’islamismo è quindi per lei da paragonare nazismo o ad altre dittature simili?

La storia la scrivono sempre i vincitori. Ogni volta che si afferma un nuovo potere, cancella la storia precedente e scrive la sua.
Scrivere la storia è difficile. In ambito religioso ci sono solo narrazioni ab initio: una giovinezza pristina in cui un tale viene designato da Dio come suo profeta e così via per tutte le religioni. Per una dittatura, invece, è essenziale cancellare quella precedente e non scriverne una nuova, perché se troppo dettagliata rischia di scatenare il dibattito. Quest’ultimo non è previsto, ma eventualmente solo qualche slogan, dal momento che è il silenzio a regnare sovrano. Nel nazismo o nelle altre dittature c’era un dominio politico su tutti i cittadini, nel mio romanzo c’è un domino religioso.

Nell’Impero da lei inventato, il popolo è sottomesso gioiosamente. A quel popolo ogni cosa sta bene così, dal rispetto delle dure leggi a quello per la religione e la preghiera: il problema è dunque solo di noi che giudichiamo?

Il sistema totalitario funziona con l’inventare una menzogna. Ci creano un sistema di coercizione anche fisica per fondare il proprio imperio e poi cancellano la storia, ne ricreano una piccola, una sorta di leggenda per far sognare la gente. Si promette il paradiso e si fabbricano dei sudditi, nel vero senso della parola. Questi sono talmente privi di mezzi che decidono di sottomettersi, ma lo fanno gioiosamente, perché se è il potere che ti dà da mangiare, che ti protegge, che ti racconta delle storie, che ti dà le idee da pensare e molto altro ancora, raggiungi uno stato di beatitudine. L’ho visto personalmente in Algeria, dove gli algerini hanno accettato la dominazione con gioia. Si sono sentiti contenti e beati. Poi il sistema è crollato. Si è passati da un totalitarismo di sottomissione felice ad un altro in cui ci si è andati a sottomettere ancora di più e con una gioia maggiore. Questa è la condizione umana.

In 2084, l’unico che ha qualche dubbi e sospetti è Ati, che dopo anni trascorsi in un sanatorio, vuole andare oltre la Frontiera, alla ricerca dei makuf, i propagandisti che vivono in una sorta di ghetto. Cosa rappresenta questo personaggio?

Ati, vuole andare oltre la Frontiera per capire cosa sta succedendo e a tal proposito è stata molto chiara la mia scelta in merito ai destini individuali e collettivi. Un uomo come lui, che esce dal suo sistema chiuso, è comunque perduto. Soprattutto se solo. Occorre che succeda qualcosa perché da questo disagio collettivo nasca qualcosa, ma tutti insieme, non singolarmente. In Francia lo abbiamo visto e anche nel resto dell’Europa con manifestazioni e rivolte, ma non si è andato oltre, “la maionese non ha preso”, come dicono i francesi. Anche nel mondo arabo, con le famose primavere arabe, la maionese non ha preso, non rimane nulla. In Europa ci sono individui che criticano e si agitano, si ribellano, ma a livello mondiale il mondo non cambia.
Una vera rivoluzione richiede una società matura, ma per far questo si ha bisogno di una élite, composta da intellettuali e persone esperte capaci di sapere parlare e organizzare. Tutto si esaurisce sempre in lotte per il potere, che cerca di contrastare o di eliminare per raggiungere altri fini. Se non hai accesso all’informazione, con chi te la prendi? ciascuno ha la sua risposta, ma siamo privi di informazioni e conoscenze reali; non sappiamo dare un nome alle cose e non possiamo mettere insieme cose efficaci. In quei casi il popolo torna ad essere gregge e a dormire.

L’informazione, dunque, ci salverà?

Assolutamente sì, è alla base di tutto, ma deve essere buona e ben argomentata. Senza informazione, non c’è nessuna possibilità di azione individuale e collettiva.libro

http://www.huffingtonpost.it/

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