Omicidio di Goro, indagato il prete dopo 27 anni

Don Tiziano Bruscagin, oggi a Correzzola, all’epoca era parroco della cittadina nel Ferrarese. E’ accusato di false informazioni al pm dopo che aveva dichiarato alla stampa di conoscere il nome dell’assassino

di Alessandro Cesarato – Mattino di Padova

CORREZZOLA. Avviso di garanzia per don Tiziano Bruscagin, parroco dell’unità pastorale di Correzzola e residente nella canonica della frazione di Villa del Bosco. A notificarglielo è stata la Procura di Ferrara nell’ambito delle indagini sull’omicidio, ancora senza colpevoli, dell’allora diciottenne Wilfredo Branchi, detto “Willy”, consumatosi a Goro nella notte tra il 29 e il 30 settembre del 1988.

Don Tiziano, che all’epoca dei fatti era parroco proprio a Goro (dove vi rimase per oltre trent’anni, sino al 2001) secondo gli inquirenti potrebbe avere reso “ false informazioni al pubblico ministero”, questo è il reato, negando di essere in possesso di elementi che riguardano il caso. Un provvedimento arrivato alla luce del fatto che il religioso ha fatto marcia indietro rispetto alle dichiarazioni rese (e registrate) al cronista di un quotidiano ferrarese che lo scorso novembre avevano portato a riaprire, dopo oltre 25 anni, il fascicolo sull’omicidio Branchi dopo l’archiviazione.

Don Bruscagin al cronista fece nomi, cognomi e soprannomi di persone ben precise e disse esplicitamente di conoscere chi aveva assassinato il ragazzo. Un delitto avvenuto nell’ambito di un giro omosessuale e, forse, dopo un gesto di ribellione della vittima, che fu uccisa con una pistola per macellare i maiali e il corpo nudo venne gettato lungo l’argine del Po. Tre le persone coinvolte, secondo questi ricordi: uno lo ammazzò, gli altri due lo aiutarono a occultare il cadavere. Quando, però, il mese scorso il sacerdote è stato sentito in Procura, dai carabinieri e dal pm ferrarese Giuseppe Tittaferrante, come persona informata sui fatti, ha sostenuto di non sapere nulla sull’omicidio di Willy.

Un lungo faccia a faccia che non ha convinto gli inquirenti. Da qui l’avviso di garanzia, con l’ipotesi di reato prevista dall’art.371 bis del Codice penale, che punisce con la reclusione fino a 4 anni «chi rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali viene sentito».

Una storia che, a 27 anni di distanza, è ancora avvolta nel mistero e di cui don Tiziano, che oggi ha quasi 75 anni, sin dall’inizio è sembrato esserne la chiave per trovare la soluzione. Del resto, in questi decenni anche gli inquirenti hanno fatto riferimento spesso a lui, ai possibili segreti raccolti nella sua chiesa e nel suo confessionale a Goro. Lui, proprio per questo, ha sempre opposto il segreto confessionale che il Diritto canonico fa ergere contro tutti e tutto, anche per tentare di risolvere un caso di omicidio. Quando venne sentito, infatti, come primo testimone, si trincerò proprio dietro il segreto confessionale.

Il religioso, infatti, all’epoca, fu uno dei primi ad arrivare sul posto quando il corpo del ragazzo fu ritrovato. Fu lui a battezzarlo e a celebrarne il funerali. «Quando è venuto qui l’avvocato della famiglia per le indagini» ha raccontato don Tiziano al cronista lo scorso novembre «ho strappato un foglio in due parti e gli ho detto: facciamo che lei scrive il nome che sa e io scrivo il mio e poi lo confrontiamo». Risultato? «Era lo stesso, ovviamente. Perché quel nome girava e gira ancora oggi sulle bocche di tutti, in paese. L’hanno detto anche a me, all’epoca. Ma la verità è che a Goro sono omertosi e glielo dice uno che li conosce bene. Ora sono qui in questa frazione di Correzzola, ma ci ho passato 32 anni laggiù. Ho raccolto confidenze qua e là, certo, ma per favore non pensi anche lei alla storia del confessionale: non ho mai violato nessun segreto».

Ma nomi e cognomi erano venuti fuori. Don Bruscagin così è diventata una delle tante persone convocate in Procura nelle ultime settimane: testimoni già sentiti all’epoca ma anche persone mai ascoltate prima. E paradossalmente ora il sacerdote, originario di Arre, parroco moderatore per Correzzola, Villa Del Bosco, Brenta D’Abbà, Concadalbero e Terranova, risulta il primo e unico indagato nell’inchiesta che ha ripreso vigore proprio dopo la sua chiacchierata con il cronista.

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