La teologia dei sensi

MARIA TERESA PONTARA PEDERIVA
TRENTO

L’ultimo libro di José Tolentino Mendonça ci guida verso una spiritualità del tempo presente, una mistica rinnovata per l’uomo contemporaneo.

«Il cristiano del futuro o sarà un mistico o non sarà» diceva il teologo Karl Rahner. Un’impresa che appare ardua da realizzare in un mondo dove la fretta, quasi la rincorsa al tempo, sembra piuttosto una sorta di cappio al collo pronto ad afferrare l’uomo contemporaneo in una morsa letale.

Come potrebbero gli uomini del terzo millennio fermarsi in silenzio per coltivare quell’esercizio interiore, quell’intimo cammino che, almeno secondo l’accezione comune di mistica, richiederebbe l’allentamento, se non addirittura il totale abbandono o la rottura di ogni legame col mondo della quotidianità per accedere alla contemplazione del divino?

Ma siamo proprio sicuri che sia questa oggi l’unica strada per incamminarsi verso l’esperienza mistica? C’è la mistica antica – quella di sant’Agostino e dei Padri, ma anche quella dei secoli successivi – e la mistica inaugurata da un monaco trappista che nel pieno del cuore commerciale di Louisville, nel Kentucky, avvertiva nel 1958 la sua seconda conversione. Quasi abbracciando la folla che brulicava tra le vie del centro commerciale, Thomas Merton intuì che tutta quella famiglia umana altro non era che quella di cui il Figlio di Dio aveva voluto far parte duemila anni fa. Non occorre separazione, estraniamento per incontrare il Padre dei cieli: la mistica non è altro che un’esperienza quotidiana, solidale e inclusiva. Una conclusione che viene applicata oggi anche alla preghiera: la vita stessa è preghiera, tutte le preoccupazioni quotidiane sono preghiera, sarebbe impensabile lasciarle fuori dalla porta per andare a pregare.

Nasce da qui l’idea sviluppata da José Tolentino Mendonça, prete portoghese, classe 1965, teologo e poeta, vicerettore dell’università cattolica di Lisbona e consultore del Pontificio Consiglio della cultura, in un testo che si colloca a metà strada tra la spiritualità e la poesia.

Non si tratta di tesi nuove, ma tutto rientra nell’alveo della rivalutazione del corpo, o meglio, dell’abbandono di quella netta separazione tra anima e corpo che aveva caratterizzato la cultura occidentale – e pure secoli di cristianesimo – dalla filosofia greca in poi. Nulla nella Bibbia, fra Antico e Nuovo Testamento giustifica la divisione, anzi la concezione dell’uomo biblico prende di fatto le distanze da un eccesso di spiritualismo: il corpo è immagine e somiglianza di Dio, la «lingua materna di Dio», commenta Mendonça.

Ecco allora il suo percorso tanto originale, quanto affine alla sensibilità dell’uomo di oggi: riscoprire la mistica dei sensi e dell’istante, la mistica del corpo qui ora, del presente, l’unico momento che ci è dato di vivere. Senza polemica contro la mistica dell’anima, del rientrare in se stessi in una personale sfera intima, la proposta è quella di una spiritualità che intende i sensi come un cammino che conduce, quasi una porta che si spalanca, verso l’incontro con Dio. La sfida è quella di rimanere in sé, anima e corpo, e sperimentare con tutti i sensi la realtà delle persone e delle cose che ci sfiorano. «La sfida è gettarsi fra le braccia della vita e ascoltarvi battere il cuore di Dio. Senza fughe. Senza idealizzazioni. Le braccia della vita così com’è».

All’insegna dell’invocazione liturgica «Accende lumen sensibus» (illumina i sensi) il lettore viene condotto in un viaggio, che spesso ha i toni della poesia, alla ricerca della spiritualità del tempo presente. La comunicazione di oggi, veicolata da computer, TV, smartphone e social network utilizza esclusivamente due sensi, la vista e l’udito: ne deriva un’ipertrofia di questi e una regressione degli altri, complice anche il contesto socio-economico. Un esempio? Mentre si espande l’industria dei profumi, disimpariamo a percepire la fragranza di un fiore e solo i professionisti del gusto azzardano ad effettuare test alla cieca su cibi e bevande. Non siamo più capaci di camminare scalzi, chinarci nel sottobosco o in prato per raccogliere il canto della vita del creato vita che pulsa tra l’indifferenza dei più.

Torniamo ai sensi, è il monito dell’Autore e scopriremo così anche una nuova relazione col tempo e l’eternità. Una mistica ad occhi aperti che ci farà intuire, quasi assaporare, il «sacramento dell’istante»: «L’unico contatto tra le infinite possibilità dell’amore divino e l’esperienza mutevole e progressiva dell’umano».

O, come scriveva Thérèse de Lisieux, «La mia vita è solo un attimo, un’ora di passaggio … mio Dio, tu sai che per amarti sulla terra non ho che l’oggi».

José Tolentino Mendonça, “La mistica dell’istante. Tempo e promessa”, Vita e Pensiero Milano 2015, pp. 176 euro 15,00.

fonte: lastampa.it

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