La storia: suora stuprata da prete abbandona figlia,poi ci ripensa

(ANSA) – ANCONA, 12 APR – Quando la giustizia offre una seconda  chance. E’ quel che è accaduto alla mamma della piccola a sostegno della quale è nato nelle Marche il Comitato ‘Nati dal cuore’. La donna, una suora congolese di 44 anni, ora tornata allo stato laicale, partorì la bimba nel 2011, a Pesaro, dopo una violenza subita, secondo quanto da lei riferito, da un sacerdote del quale non ha mai fatto il nome. Alla nascita non aveva riconosciuto la figlia nei tempi stretti stabiliti dalla legge e la bebè era stata data in affido a una coppia marchigiana. Nel febbraio scorso la Cassazione ha accolto il ricorso della ormai ex religiosa contro il via libera alle procedure per l’adozione attivate a giugno 2013 dalla Corte di Appello di Ancona, che aveva ritenuto fuori tempo massimo il ripensamento della donna. Si era infatti risolta a dichiararsi madre biologica solo dopo tre mesi e mezzo dal parto, quando aveva deciso di muoversi per riconoscere la bebè. La suora – questo racconta la sentenza 2802 della Prima sezione civile, uno degli ultimi ‘verdetti’ del presidente Corrado Carnevale ora in pensione – fin da quando si era accorta di essere incinta aveva dichiarato alla superiora e alle sue consorelle di voler continuare a rimanere nella Congregazione congolese delle ‘Petites Soeurs de Nazareth’. Ci era entrata a 19 anni, dopo il diploma di scuola superiore. Aveva svolto il suo noviziato e nel 1996 aveva preso solennemente i voti. Man mano erano venuti incarichi di rilievo e, infine, il viaggio a Roma, due anni a studiare teologia presso la Pontificia Università Urbaniana. Qui deve essere avvenuto l’incontro con il ‘padre’ della bimba, un sacerdote anche lui a quanto pare congolese e del quale si è persa ogni traccia. Le ‘Petites Soeurs’ le avevano promesso di riaccoglierla come suora, dopo il parto, a condizione che desse la piccola in adozione. La donna aveva continuato a rimanere di questa idea anche negli ultimi tre mesi di gravidanza passati a Fano (Pesaro Urbino), presso una comunità dove era solita trascorrere le ferie estive. Qui le era stato assicurato tutto il sostegno morale e materiale nel caso in cui avesse deciso di tenere la bambina con sé. Ma lei aveva rifiutato, e la stessa cosa aveva continuato a fare con le ostetriche dell’ospedale di Pesaro che le spiegavano che senza il riconoscimento sarebbe iniziato un allontanamento senza ritorno. Dopo il parto, però, la Congregazione le fece sapere che non avrebbe più potuto essere suora, ma solo ‘consorella in Cristo’. Fu un duro colpo che la portò, 72 giorni dopo, a rimeditare la rinuncia alla figlia, iscritta nel frattempo tra i nati da “genitori ignoti”. Con decreto del dicembre 2011, la Procura dei minori delle Marche chiede che la piccola, venuta alla luce a febbraio, sia dichiarata adottabile. Ma il Tribunale si oppone, revoca la nomina del tutore provvisorio e dispone che la bimba rimanga presso la coppia affidataria che l’ha cresciuta fin dai primi vagiti e riconosce alla mamma biologica il diritto di frequentarla alla presenza di una psicologa. Insomma, viene dichiarato il non luogo a procedere alla dichiarazione dello stato di adottabilità. Ma la Procura ricorre, non è d’accordo e la Corte d’Appello condivide le riserve su quella donna che “nel pieno possesso delle sue facoltà” aveva scelto la Congregazione abbandonando la bambina. Per la Cassazione però “la non immediatezza del riconoscimento materno conseguente all’opzione per l’anonimato, può configurare indizio di abbandono ma non integrare in sé condizione sufficiente per l’adottabilità”. Ritengono gli ‘ermellini’ che i giudici dell’appello abbiano peccato di “freddo tecnicismo giuridico”, in difformità anche dalle indicazioni della Convenzione Ue sui minori, e non abbiano avuto la necessaria comprensione per le condizioni fisiche e psichiche “particolarmente compromesse” in cui si è trovata la suora congolese disorientata dalle sue vicende. In maniera illegittima, ritiene la Cassazione, si “è attribuita all’opzione materna per l’anonimato portata di valido ed irretrattabile consenso all’adozione della figlia”. (ANSA).

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