La berretta del prete novello e i “dubia”

Più applaudito il cantante che la canzone. Si diceva spesso così negli anni del lungo pontificato di san Giovanni Paolo II per sottolineare il fascino che suscitava il Papa polacco a scapito, però, del suo magistero in difesa della famiglia tradizionale, contro l’aborto e ogni tipo di violenza. Oggi si può benissimo rispolverare la stessa formula per indicare quale frattura ci sia tra l’ammirazione verso Bergoglio, per lo più in ambito extra confessionale, e l’incarnazione dei suoi insegnamenti, molto spesso disattesi proprio in ambito ecclesiale. Su tutti, in questi quasi quattro anni di pontificato, due hanno proprio suscitato l’orticaria in tanti parroci e vescovi soprattutto del Vecchio continente: l’indicazione a eliminare i tariffari, molto spesso ben nascosti, per messe e sacramenti, e l’invito ad accogliere almeno una famiglia di profughi in ogni parrocchia e santuario d’Europa. Inviti seguiti da frasi come: “Le bollette della parrocchia le pagasse il Papa a fine mese”. Oppure: “Preferisco bruciare la canonica piuttosto che accogliere i profughi”. Ma ci sono anche altri messaggi di Francesco, che sono semplicemente quelli del Vangelo di Gesù, che tanti uomini con la talare preferiscono lasciare cadere nel vuoto.

Nell’omelia della messa mattutina celebrata, come di consueto, nella cappella della sua residenza di Casa Santa Marta, il 15 dicembre scorso, il Papa ha sottolineato, proprio prendendo spunto dalle letture della liturgia del giorno, che “quelli che vivono nel lusso, stanno nei palazzi del re, qualcuno negli episcopi”. Ma, poi, nessuno dei cardinali che vivono in appartamenti di quasi 500 metri quadrati ha sentito l’esigenza di fare un trasloco in un modesto bilocale di 70 metri quadrati come quello in cui vive Bergoglio fin dall’elezione al pontificato. E non per una costrizione imposta da qualcuno, bensì per una sua libera scelta. “Se un credente parla della povertà o dei senzatetto e conduce una vita da faraone: questo non si può fare. Questa è la prima tentazione”, ha ribadito Francesco, il 6 novembre 2015, in un’intervista a un giornale olandese di strada, Straatnieuws.

Emblematico è stato ciò che ha detto Bergoglio, il 9 dicembre 2015, sempre durante un’omelia della messa a Casa Santa Marta: “Su rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo – lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o (che stava) per diventare prete – davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’, l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote – è saggio quel monsignore, molto saggio – è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!’. Così che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”. Così come nel ridicolo è finito, qualche giorno fa, un novello sacerdote che in una delle sue prime uscite pubbliche ha sfoggiato una berretta nera, rigorosamente di seta, il cui costo, se speso in modo diverso, avrebbe potuto sicuramente aiutare uno dei tanti senza fissa dimora che in queste notti gelide di un inverno insolitamente così freddo rischiano la vita dormendo come sempre in mezzo alla strada sotto qualche coperta vecchia e riparati, per usare un eufemismo, da casette fatte di cartoni. Quale sacerdozio per questo giovanissimo prete? In cosa consiste la sua vocazione?

Così come si attende, ormai da un giorno all’altro, l’annunciata e minacciata “correzione formale”, il cui istituto giuridico pare non essere conosciuto nemmeno dai migliori canonisti della Curia romana, che il cardinale Raymond Leo Burke intende fare al Papa per le sue aperture verso i divorziati risposati. Il porporato, da un saggio arcivescovo soprannominato “il carnevale di Viareggio” per i suoi fastosi, e certamente a dir poco pauperistici, abiti cardinalizi con decine di metri di seta rossa damascata, farebbe piuttosto molto bene a preoccuparsi di cosa sta avvenendo all’interno del Sovrano Militare Ordine di Malta, recentemente commissariato da Bergoglio, di cui proprio Burke è patrono. Il porporato preferisce, invece, puntare il dito contro Francesco in compagnia dei cardinali dei “dubia”: Walter Brandmüller, Carlo Caffarra e Joachim Meisner. Questi tre tutti ormai emeriti.

Eppure, a differenza di quanto sostengono i quattro porporati, un confratello del Papa latinoamericano, padre Domenico Marafioti, dal simpatico accento leccese, ha scritto che nell’esortazione apostolica post sinodale Amoris laetitia di Bergoglio questa apertura ai divorziati risposati proprio non c’è. Il gesuita, che è preside presso la Facoltà teologica dell’Italia Meridionale di Napoli e insegna teologia dei sacramenti, in particolare del matrimonio, dell’ordine e della penitenza, scrive: “Il punto più difficile da interpretare è il n. 305 di Amoris laetitia che dice: ‘A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato si possa vivere in grazia di Dio, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa’. Non ci fermiamo a considerare in che senso uno può essere in grazia di Dio stando in una situazione oggettiva di peccato. Certamente è giusto che tutti, in qualsiasi situazione, ricevano ‘l’aiuto della Chiesa’. A questo punto il documento rinvia alla nota n. 351: ‘In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti”. E intende la confessione e la comunione, e precisa che l’eucaristia ‘non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli’”.

Padre Marafioti si domanda: “Come interpretare il testo e questa spiegazione in nota? Ci sono due alternative, una ‘secondo l’insegnamento della Chiesa’, come il Papa stesso dice al n. 300; e un’altra che finirebbe per introdurre il divorzio nella Chiesa cattolica. La prima è questa. Il Papa dice ‘in certi casi’. Infatti ci sono due casi in cui è possibile dare la comunione ai divorziati risposati: quando vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo, ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria (e pertanto non si può ottenere l’annullamento canonico); e poi quando i due divorziati risposati accettano di astenersi dagli atti propri dei coniugi, e quindi non vivono più come marito e moglie. In questi due casi si può dare la comunione, con l’attenzione a evitare il pericolo di scandalo. Ma si noti che il Papa usa il condizionale ‘potrebbe essere’: vuol dire che neppure lui è completamente certo che sia la cosa più opportuna. Questa osservazione vale soprattutto per la seconda alternativa. Infatti qualcuno potrebbe interpretare queste parole come se il Papa autorizzasse a dare la comunione anche ai divorziati risposati, il cui primo matrimonio era vero e giusto, e nella seconda unione vivono come marito e moglie. Ma lui non ha dato questa autorizzazione”.

La risposta ai “dubia” per il gesuita è chiara: “Bisogna infatti dire con semplicità che il Papa nellaAmoris laetitia ha scritto oltre 56.600 parole, ma non ha scritto queste cinque semplici parole: ‘È possibile dare la comunione ai divorziati risposati’. Perché non le ha scritte? Qualche motivo c’è. Se lui non le ha scritte, ritengo che nessuno le debba inserire, e nessuno deve fare ciò che lui non ha detto. Papa Francesco infatti – conclude padre Marafioti – non vuole andare contro il magistero dei Papi precedenti”. Non “dubia” quindi, bensì certezze. Ma siamo proprio sicuri che siano le stesse di Bergoglio?

farodiroma.it

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