Le riforme della previdenza intervenute nel corso degli ultimi decenni hanno avviato, in particolare, una “armonizzazione” dei regimi pensionistici che presentano requisiti diversi da quelli dell’assicurazione generale dell’Inps.
Si tratta, in altri termini, di un livellamento esclusivamente in positivo, che senza necessità di riforme lo stesso Inps avrebbe potuto introdurre direttamente, così come previsto nella legge 903/1974 che regola il Fondo: «Si applicano al Fondo, ai contributi e alle prestazioni ivi previste, i benefici e i privilegi stabiliti dalle leggi che regolano l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti (art. 27)».
La norma di rinvio all’assicurazione generale già consente di riconoscere ai ministri di culto, ad esempio, ricongiunzioni, riscatti o altre particolari contribuzioni, che non comportano nuovi oneri di finanza pubblica, essendo totalmente a carico dei richiedenti, e che incrementerebbero in pari tempo le entrate contributive. Ma l’Inps percorre altre strade, malgrado precisi interventi della magistratura, mentre gli interessati subiscono nel frattempo oggettive disparità di trattamento.
68 anni. Per la solidità del Fondo, gli iscritti hanno aderito alla elevazione dell’età pensionabile da 65 a 68 anni sin dall’anno 2003. La stessa età è da poco in vigore solo in alcune Casse professionali per propria scelta statutaria. I lavoratori agganciati all’Inps raggiungeranno invece questa età non prima del 2039, per effetto degli aumenti periodici di tre mesi per maggiore speranza di vita. Sebbene i 68 anni già in vigore per il clero precorrano i futuri aumenti per i lavoratori fino a questo traguardo, l’Inps, con una strana interpretazione, ha elevato l’età pensionabile per i sacerdoti a 68 anni e 3 mesi di età.