«Difficile essere innocentisti, di fronte a quanto emerge dalle indagini e dal silenzio di don Andrea»

Spariti. Nessuno sa indicare dove. Certamente lontano dalle domande inespresse, dagli sguardi indagatori, dai sommari giudizi. Inutile bussare alla porta di Paolo e Adriana Contin, al piano rialzato della palazzina che domina la piazza di Busiago Nuovo, frazione di Campo San Martino che si è coagulata nei secoli attorno a villa Busetto. Dei Contin si sono perse le tracce. Gli scuri in legno dell’alloggio dei genitori sono chiusi ermeticamente, come si usa quando si va in vacanza per un lungo periodo. Porte e finestre serrate anche nell’alloggio accanto, quello in cui abita Alessandro, il fratello più piccolo di don Andrea. Solo la scorsa estate, proprio qui, aveva iniziato la sua nuova vita dopo la festa per il matrimonio. Poco lontano, nel nuovo quartiere residenziale abita, con la sua famiglia, la sorella di don Andrea: Paola. Anche qui, a casa non c’è nessuno. Ma dove sono finiti i genitori di don Andrea? Ospiti di qualche parente? In qualche struttura?
«Per la verità, li avevo visti molto provati e non me la sono sentita di chiedere loro ulteriori informazioni prima che si allontanassero», spiega don Andrea. Che di cognome fa Battagin ed è il parroco di Busiago. Di nuovo, rispetto a Busiago Vecchio, c’è soltanto la chiesa consacrata negli anni Cinquanta del secolo scorso. È qui che don Andrea Contin ha maturato la sua vocazione, abbandonando in fretta e furia il consiglio comunale, in cui era stato eletto in una lista di opposizione nel 1990.
«Scaltro e intelligente», lo ricordano i compagni d’avventura d’allora quando, nell’egemonia della Dc, l’opposizione era tutto quello che non veniva fagocitato dalla Balena bianca. Si era guadagnato uno scranno in consiglio, il giovane Andrea, scuotendo le coscienze in nome dell’identità veneta chiedendo la tutela degli affreschi di villa Breda, lo storico complesso adibito in quegli anni a presidio sanitario. Ma si fermano qui i fulgidi ricordi. Sulle successive “imprese” dell’Andrea sacerdote cala un velo di tristezza collettiva. Un senso di vuoto e di abbandono. Nei due bar della piazza e nei negozi non si parla in presenza d’estranei, ma il sentimento che accomuna tutti è quello di una comunità ferita, colpita a morte, incapace di rialzarsi.
«Difficile essere innocentisti, di fronte a quanto emerge dalle indagini e dal silenzio di don Andrea», riflette il sindaco Paolo Tonin, «ma rilevo come la piazza abbia già processato, condannato e crocifisso il sacerdote, prima ancora del giudizio». E resta solo quel pugno nello stomaco. Quel dolore che non va via.
Giuliano Doro
Mattino Padova

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