David Wilkinson: “i preti sposati inaccettabili per le gerarchie vaticane”

di Sandra Matuella

La frenesia del mondo tecnologico e sempre connesso, per fortuna lascia ancora spazio alla poesia. “Mito e Amore” è il titolo dell’antologia poetica di David Wilkinson, edita da Francisci Editori, con la prefazione di Riccardo Cucciolla. Quella di Wilkinson è una poesia sospesa tra echi del romanticismo inglese, con il suo animo inquieto alla Lord Byron e alla Keats, espresso però con uno stile parnassiano che dialoga ininterrottamente con il mondo classico e la mitologia antica, mentre tutto il sentimento poetico è pervaso da una tensione mistica di matrice cristiana, unita ad sguardo lucido e tagliente sulla contemporaneità. Per Wilkinson l’amore è quello umano, per la moglie Caterina, e quello divino per Cristo; il mito rappresenta, invece, il mondo classico che si contrappone al mondo della “plastica americana” in cui viviamo, e che il suo animo poetico rifiuta.

Inglese di nascita e cosmopolita per formazione, David Wilkinson vive in Trentino dagli anni Ottanta: sposato con Caterina Dominici, nome noto della politica locale, Wilkinson insegna inglese al Liceo linguistico, tiene corsi di formazione per insegnanti di lingue e coltiva la sua vena poetica. La poesia di David Wilkinson riflette la sua formazione umanistica complessa, che si inserisce in una pluralità geografia che spazia da Manchester, dove è nato nel 1956 da una nobile famiglia inglese che da tre generazioni produceva seta e tessuti preziosi in India; è cresciuto poi fra Bahamas, dove il padre era viceconsole britannico, Mosca, Madrid, India e Pakistan. Svolge poi volontariato in Africa, in India o in Sud America, dove insegna la lingua inglese a chi non può permettersi di studiare: «è il mio ringraziamento a Dio – dice – per tutto quello che ho, così cerco di dare uno slancio all’apprendimento dell’inglese, una lingua franca, come il latino nel Medioevo, che dà a tutti più possibilità di muoversi nel mondo».

Nella sua poesia la figura di Cristo è molto presente, e per motivi religiosi ha messo in discussione anche il suo status nobiliare…

«Mio padre era protestante e monarchico, quindi io non sono nato cattolico, ma lo sono diventato dopo aver letto Giovanni della Croce: ho recitato una formula di fede nei dogmi della chiesa romana e alla morte di mio padre ho disdetto il titolo nobiliare di baronetto perché non credo nella monarchia; al massimo potrei accettare quella spagnola, che dopo il franchismo ha portato la democrazia in Spagna, e tutto sommato è rimasta semplice e non si dà tante arie come quella inglese».

Che rapporto ha oggi con la religione?

«Sono cattolico praticante, ma non bigotto, mi ritrovo molto in papa Paolo VI, un intellettuale tormentato dal dubbio: era un gesuita, come papa Francesco, quindi un guanto di velluto in un pugno d’acciaio. Per il resto, non vedo grandi cambiamenti in arrivo: le donne prete e i preti sposati ad esempio, sono cose inaccettabili per la gerarchia vaticana, mentre in questo senso c’è più progresso nei protestanti e negli anglicani».

Quale potrebbe esser un episodio particolarmente significativo della sua identità forgiata tra Oriente e Occidente?

«Durante l’università sono stato tre mesi a Mosca, che era sotto il comunismo e oltre alle lezioni di russo eravamo obbligati a frequentare corsi di marxismo e leninismo, che io, essendo cattolico, mi rifiutai di seguire: solo grazie all’intervento dell’ambasciata ottenni il permesso dal direttore del collegio di non frequentare quei corsi. In realtà non avevamo contatto con i russi, e nell’ostello per stranieri dove vivevo c’erano solo i figli dei ufficiali del Kgb che erano lì per spiarci».

Che ricordo ha della Russia sovietica?

«C’era rigore e ordine, anche in senso positivo: tornato nel 1991, dopo il crollo del comunismo e ho trovato un vero bordello tra anarchia e prostituzione, e tanta miseria, con la gente per strada che si vendeva le cose di casa; in effetti, sotto il comunismo il minimo vitale era garantito a tutti, mentre adesso il sistema di assistenza al cittadino è crollato completamente, e nelle fabbriche ci sono i liberi licenziamenti. D’altro canto, con il comunismo c’erano anche oppressione e un controllo feroce: ricordo quando da studente pronunciai a voce alta il nome dello scrittore Solženicyn in metrò, e i e miei coeteani-guardiani russi e comunisti, mi zittirono subito, perché potevo venire preso per un sovversivo e rinchiuso in un reparto psichiatrico: era il 1975, e sotto Brèžnev c’erano i gulag. Adesso, invece, non voglio tornare in Russia, perché c’è troppa miseria e questo mi fa pena: c’è una percentuale bassa che è molto ricca, ma la maggior parte della gente è povera».

Negli anni Settanta ha lavorato nel setificio di famiglia in Pakistan.

«Controllavo le condizioni di lavoro nella fabbrica, e ricordo che licenziai un dirigente perché faceva lavorare bambini di dieci anni».

Da conoscitore delle civiltà orientali, cosa pensa dello scontro tra l’Occidente e gli integralisti dell’Isis?

«Questi terroristi hanno fatto una lettura sbagliata del Corano in merito al concetto di infedeltà: Maometto non ha detto di uccidere i cristiani e tanto meno di trattarli come persone da sgozzare. Il problema di fondo è innanzi tutto culturale, esiste certamente anche quello economico e di gestione delle risorse, ma i tagliatori di gole vogliono ristabilire il califfato: è un fanatismo paranoico e regressivo, che vuole tornare al Mille. Il vero motivo però, è che vogliono il potere e hanno tanti seguaci perché prima della rivoluzione c’erano i dittatori arabi come Gheddafi, che reprimevano l’islam fondamentalista mandandolo al patibolo. Adesso, in mancanza di una infrastruttura nella società musulmana, si è creato un vuoto e così sono subentrati i fondamentalisti con gli ex collaboratori dei vecchi regimi».

Il mondo è a rischio per i conflitti di natura religiosa?

«Gli arabi fondamentalisti non arriveranno al loro traguardo del califfato perché ci sono tanti arabi sensati. In generale, però, più del problema religioso mi preoccupa quello ambientale: non vedo un grande orizzonte per la terra, le risorse si stanno esaurendo mentre la Cina con il carbone che brucia è il primo produttore di smog, seguita dagli Usa; anche il clima sta cambiando e lo stiamo vedendo».

Da inglese di nascita

e italiano d’adozione, come vede l’Europa?

«Auspico un ruolo sempre più forte della Comunità Europea, perché è una forza che può misurarsi facilmente con l’America, la Russia e la Cina. Il suo punto di forza è l’economia, la cultura e la forza militare».

trentino – Corriere delle Alpi

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