COMPRENDERE IL VATICANO II

Paolo VI aveva spesso indicato come impegno centrale del suo pontificato quello di far calare il rinnovamento conciliare nella mentalità e nella vita del popolo cristiano.

Giovanni Paolo II, all’inizio del suo pontificato dichiarò: Desideriamo insistere sulla permanente importanza del concilio ecumenico Vaticano II, e ciò è per noi un formale impegno di dare ad esso la dovuta esecuzione… Consideriamo, perciò, un compito primario quello di promuovere, con azione prudente e insieme stimolante, la più esatta esecuzione delle norme e degli orientamenti del medesimo concilio, favorendo innanzitutto l’acquisizione di un’adeguata mentalità (17 ottobre 1978).

In un’intervista concessa a La vie (n. 1624) il cardinale Marty affermava: Certo non si è fatto abbastanza per tradurre gli orientamenti del concilio in un linguaggio semplice. Troppo spesso l’insegnamento del concilio è rimasto privilegio dei dotti e dei sapienti.

Tutta colpa dei vescovi e dei preti?

La maggioranza dei laici sono pigramente fermi al ruolo di utenti passivi, di clienti, mentre il loro battesimo e la loro cresima li chiamano a gestire in prima persona il vangelo e ad essere corresponsabili maggiorenni all’interno del popolo di Dio.

Sacerdoti e laici dobbiamo leggere insieme, forse per la prima volta, il concilio. Dobbiamo leggerlo e rileggerlo da soli o, meglio, in gruppi di lavoro e di preghiera, analizzando i sedici documenti punto per punto.

Il concilio Vaticano II deve essere assimilato dal popolo di Dio, da noi, diversamente lasceremo passare invano la grazia del secolo.

Dopo oltre trent’anni dalla chiusura del concilio (8 dicembre 1965) non è troppo tardi, ma è ora.

 

I documenti conciliari

Il concilio Vaticano II è durato tre anni (11 ottobre 1962 – 8 dicembre 1965) e ha prodotto sedici documenti:

– Quattro COSTITUZIONI, su:

la divina rivelazione: Dei Verbum,

la sacra liturgia: Sacrosanctum concilium,

la chiesa: Lumen gentium,

la chiesa nel mondo contemporaneo: Gaudium et spes;

– Nove DECRETI, su:

l’attività missionaria della chiesa: Ad gentes,

l’ufficio pastorale dei vescovi: Christus Dominus,

il ministero e la vita sacerdotale: Presbyterorum ordinis,

la formazione sacerdotale: Optatam totius,

l’apostolato dei laici: Apostolicam actuositatem,

il rinnovamento della vita religiosa: Perfectae caritatis,

l’ecumenismo: Unitatis redintegratio,

le chiese orientali cattoliche: Orientalium ecclesiarum,

i mezzi di comunicazione sociale: Inter mirifica;

– tre DICHIARAZIONI su:

l’educazione cristiana: Gravissimum educationis,

le relazioni della chiesa con le religioni non cristiane: Nostra aetate,

la libertà religiosa: Dignitatis humanae.

Una costituzione è un documento dogmatico che ha un valore dottrinale autorevole e permanente. Esprime la fede.

Un decreto è un insieme di decisioni che hanno una portata pratica, pastorale, disciplinare, per il nostro tempo.

Una dichiarazione si avventura su un terreno più nuovo e dà degli orientamenti, delle piste di riflessione e di comportamento, nella situazione attuale del mondo e della ricerca.

Leggendo questi testi non lasciamoci scoraggiare da alcuni passi un po’ difficili. Sovraccarichi di aggiunte, torturati dagli emendamenti di oltre 2300 padri conciliari, i testi del concilio non sono una composizione letteraria. Sono una miniera da sfruttare, un filone d’oro.

Lasciamoci guidare dallo Spirito: è lui che parla nelle pagine del Vaticano II.

 

COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA DIVINA RIVELAZIONE
“Dei verbum”

I – La rivelazione

La Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum è uno dei documenti più brevi del concilio: una decina di pagine. Rimarrà, tuttavia, come uno dei più grandi testi dottrinali. È stato rielaborato cinque volte. È stato votato con 2344 voti favorevoli e 6 contrari. È stato chiamato la perla del concilio.

La costituzione dogmatica “Dei Verbum” è il culmine, il fastigio di tutto il concilio Vaticano II… Il concilio ha avuto l’intuizione più grande perché anzitutto ha riaffermato il primato della Parola (E. Bartoletti).

È logico cominciare da questo testo. La divina rivelazione ci fa entrare nella chiesa e ci introduce a tutto ciò che essa racchiude: Gesù Cristo, la liturgia, i sacramenti, l’apostolato, tutto… Non c’è riga del concilio che non si proponga di attualizzare la rivelazione divina e le sue conseguenze. Essa è il fondamento della fede, della chiesa, di tutto l’edificio cristiano.

La rivelazione divina ha detto la sua ultima parola in Gesù Cristo: dopo il vangelo, nessuna rivelazione può aggiungere qualcosa.

L’economia cristiana, in quanto è alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcuna rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (DV 4).

Cos’è la rivelazione divina?

È il messaggio cristiano della salvezza, l’annuncio della buona notizia: Dio ci ama e ci salva in Gesù Cristo.

Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cf. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cf. Ef 2,18; 2Pt 1,4). Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (cf. Col 1,15; 1Tm 1,17) nel suo immenso amore parla agli uomini come ad amici (cf. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cf. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé (DV 2).

La prima novità importante del concilio Vaticano II è quella di impostare il discorso sulla religione in termini di relazioni tra persone: non ci mette di fronte a formule da imparare, ma a Qualcuno… che vive, che agisce, che ama l’uomo fino a divinizzarlo.

La rivelazione divina è molto più di un contenuto dottrinale: è un avvenimento. È un incontro che richiede accoglienza, un gesto che sollecita una risposta. È una storia d’amore: la storia sacra di ieri, di oggi e di domani.

Il Padre ci ha creati per amore. Il libro della creazione deve essere letto come libro di Dio: tutta la natura ci parla di lui.

Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cf. Gv 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé (cf. Rm 1,19-20). (DV 3).

La rivelazione del Padre comincia nella nostra vita di creature e nel nostro universo segnato dall’amore. Come per un bambino voluto e amato la rivelazione dei genitori comincia il giorno in cui vede la luce, così la creazione è già un incontro nella fede, una verità di fede: Credo in Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra. È il primo gesto d’amore del Padre all’inizio di una storia d’amore.

E la storia d’amore progredisce: il Padre incontra i suoi figli che crescono, dialoga con loro e ne condivide la vita.

Inoltre, volendo aprire la via della salvezza celeste, fin dal principio manifestò se stesso ai progenitori. Dopo la loro caduta, con la promessa della redenzione, li risollevò nella speranza della salvezza (cf. Gen 3,15), ed ebbe costante cura del genere umano, per dare la vita eterna a tutti coloro, i quali cercano la salvezza con la perseveranza nella pratica del bene (cf. Rm 2,6-7). A suo tempo chiamò Abramo, per fare di lui un gran popolo (cf. Gen 12,2-3), che dopo i patriarchi ammaestrò per mezzo di Mosè e dei profeti, affinché lo riconoscessero come il solo Dio vivo e vero, Padre provvido e giusto giudice, e stessero in attesa del salvatore promesso. In tal modo preparò lungo i secoli la via al vangelo (DV 3).

Dio che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose (Eb 1,1-2).

Così dopo il Padre, ecco il Figlio: ancora una persona, non un sistema filosofico: Il Verbo (colui per mezzo del quale e nel quale il Padre si esprime) si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,14).

La profonda verità su Dio e sulla salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione (DV 2): il mediatore: (= per mezzo del quale) perché la gloria divina rifulge sul volto di Cristo (2Cor 4,6) e perché chi vede lui vede il Padre: lui e il Padre sono una cosa sola (Gv 14,9; 10,30); la pienezza perché il Figlio è il dono più grande che il Padre ci possa fare (Rm 8,32); vivendo e morendo per noi il Figlio non può amarci di più; con l’invio dello Spirito santo il Risorto non può colmarci di più: tutto questo è pienamente rivelato nel vangelo vissuto da Dio in mezzo a noi. La rivelazione divina è la rivelazione cristiana: raggiunge la sua piena luce nell’incontro con una persona divina che si manifesta nella storia: il Cristo. Il cristiano non fa riferimento a una teoria, ma ad una persona: Gesù. Credere è venire a Gesù, ascoltare Gesù perché proferisce le parole di Dio (Gv 3,34), guardare Gesù per vedere il Padre (Gv 14,9).

La rivelazione piena è Gesù nella sua vita, morte e risurrezione.

Lo Spirito ci guiderà nella verità tutta intera (Gv 16,13), ma non verso un’altra verità (perché tutto è stato detto in Gesù); ci guiderà nell’intimo di Gesù, più a fondo nella sua vita, morte e risurrezione.

La rivelazione consiste prima di tutto nei gesti di Dio, nell’azione di Dio in Gesù Cristo. Le parole possono essere necessarie per far comprendere gli atti, ma gli atti sono ben più eloquenti delle parole. La liberazione degli ebrei dalla schiavitù dice di più di qualsiasi discorso sull’attenzione che Dio rivolge agli infelici.

Il Figlio di Dio che si fa uomo – un uomo povero, un operaio – e che muore sulla croce per noi, è più eloquente di qualsiasi blablabla politico. Nella rivelazione divina, fatti e parole sono intimamente connessi tra loro: vanno di pari passo, si sostengono e si rinforzano a vicenda.

Questa economia della rivelazione avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto(DV 2).

Come è avvenuta la rivelazione?

La parola di Dio si è fatta uomo in Gesù; la parola della rivelazione si è fatta linguaggio umano in Gesù. Dio si fa uomo per intrecciare un dialogo d’amore con gli uomini e annuncia con la sua bocca umana il vangelo.

La chiesa continua quest’opera e si rivolge, in nome di lui, a tutti i popoli e le nazioni (Mt 28,19) fidando sulle sue divine promesse: Chi ascolta voi ascolta me (Lc 10,16);Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28,20).

Una lunga tradizione scritta e orale sembra frapporsi tra la parola di Dio e la nostra fede. Perché Dio si comporta così e non si rivela personalmente ad ogni uomo? Simone de Beauvoir protesta: Se avesse voluto essere incontrato da tutti, doveva parlare direttamente a ciascuno di noi! E Jean-Jacques Rousseau: Ha incaricato degli uomini di trasmettermi la sua parola… Preferirei ascoltare Dio stesso; a lui non costerebbe di più, e io non rischierei di essere ingannato.

Riduciamo ai minimi termini la risposta.

La rivelazione ci viene necessariamente attraverso la storia, perché si concentra in Gesù Cristo. Dio si è incarnato in un uomo e da quel momento si è condannato a un linguaggio umano che può essere trasmesso solo per mezzo di uomini. La parola di Dio donata alla chiesa non impedisce che Dio comunichi con ciascuno nel segreto del cuore: Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio (Rm 8,16). A dispetto di tutti gli intermediari che spaventano Rousseau, la nostra fede è anche un incontro immediato con Dio: nella fede ascoltiamo Dio stesso. È lui (Cristo) che parla quando nella chiesa si legge la sacra scrittura (Conc. Vat. II SC 7).

Tradizione e Scrittura

Al centro delle nostre liturgie, nel cuore della nostra fede c’è un libro: la Bibbia (in greco biblia significa libri).

È il libro che è stato ricopiato il maggior numero di volte, che è stato stampato per primo, il più tradotto e il più commentato di tutti i tempi, che ha battuto i record di tiratura.

Ci poniamo una domanda fondamentale: La rivelazione per i cristiani, coincide con i testi divinamente ispirati: la sacra Scrittura?

– Sì, la sacra Scrittura solo, sostengono i seguaci di Lutero.

– La sacra Scrittura e la tradizione, insegna la chiesa cattolica.

Sacra Scrittura e tradizione non sono due fonti della rivelazione: la Scrittura ci dà tutta la rivelazione, la tradizione ci dà tutta la rivelazione. Scrittura e tradizione non si sommano, né si completano a vicenda: si confermano. La Scrittura è tutto, la tradizione è tutto. Scrittura e tradizione sono come i due occhi che insieme ci fanno vedere la verità e il rilievo delle cose (P. Congar).

La parola di Dio non è come l’acqua che arriva a noi dopo essere passata attraverso i tubi della tradizione e della Scrittura. No. La parola di Dio si trova prima dell’una e dell’altra: è la sorgente.

Una sorgente unica le cui acque arrivano fino a noi attraverso due canali diversi: la tradizione e la Scrittura; ma sono le stesse acque da una parte e dall’altra; complete da una parte e dall’altra; e in continua comunicazione le une con le altre.

La sacra tradizione e la sacra scrittura sono dunque strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra scrittura è parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito divino: la parola di Dio, affidata da Cristo signore e dallo Spirito santo agli apostoli, viene trasmessa integralmente dalla sacra tradizione ai loro successori, affinché questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; accade così che la chiesa attinge la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola sacra scrittura. Perciò l’una e l’altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e rispetto (DV 9).

La Scrittura ha un ruolo privilegiato come riferimento e nutrimento della fede. La tradizione ha un ruolo privilegiato ai fini della custodia e dell’interpretazione della Scrittura. Ma né l’una né l’altra sono la sorgente. La prima e l’ultima parola di Dio non è un libro, non è una tradizione, è il suo Figlio incarnato, il Verbo di Dio (Dei Verbum): In principio era il Verbo (Parola di Dio). E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1,1.14).

La parola di Dio si concentra tutta, si esprime tutta, in modo supremo, in qualcuno: il Figlio incarnato.

La sorgente della nostra fede non è né la tradizione né la Scrittura. Alla sorgente della nostra fede c’è Qualcuno: Gesù preparato e annunciato (= antico testamento); Gesù che con la sua parola e la sua vita porta a compimento tutta la rivelazione del sommo Dio (DV 7).

Nella sua vita, morte e risurrezione, tutto è detto, tutto è compiuto (Gv 19,30). La sorgente è qui. È lui.

Gesù non ha scritto nulla. Non ha ordinato di scrivere. Ma ha inviato i suoi discepoli a predicare la buona notizia della salvezza fino ai confini del mondo e fino alla fine dei tempi. Nasce così la tradizione. Di questa tradizione orale, appoggiata alle antiche scritture, all’antico testamento, la chiesa primitiva ha vissuto senza problemi per qualche decennio.

Gesù aveva promesso: Lo Spirito santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto (Gv 14,26). Proprio lo Spirito ispirerà ai discepoli di stendere infallibilmente l’essenziale di questa tradizione: è il nuovo testamento, la nuova alleanza. Così si è formato il deposito delle sacre scritture, che si chiude con la morte dell’ultimo apostolo. Non è che uno specchio della tradizione, sia per il protestante di oggi che per il cattolico.

A distanza di venti secoli, abbiamo in mano la scrittura ispirata. Ce la mette tra le mani la chiesa: sessanta generazioni di chiesa ci hanno trasmesso il nuovo testamento, cento generazioni di fedeli ci hanno trasmesso la Bibbia. Ora facciamo attenzione: trasmissione e tradizione sono la stessa cosa. È la tradizione sempre vivente nella chiesa che ci ha trasmesso le scritture.

Ma chi ha detto alla chiesa che quei determinati libri, non uno in più né uno in meno, facevano parte della Scrittura? Chi ha respinto i libri falsi?

Nel N.T. non si trova nessun elenco: il catalogo delle Scritture non appartiene alla Scrittura, ma alla tradizione. Il discernimento dei libri sacri è un atto fondamentale della tradizione infallibile della parola di Dio nella chiesa.

Ogni giorno la tradizione trasforma i testi della Scrittura in parola viva nell’assemblea: Cristo si fa presente, parla e adempie per noi qui, oggi, quanto noi udiamo con i nostri orecchi (Lc 4,21). La parola di Dio, orale e scritta, è sempre affidata a uomini che l’accolgono, l’annunciano e la trasmettono.

Tradizione, Scrittura, magistero

Tradizione e Scrittura non sono altro che il Verbo (la Parola di Dio) incarnato, risorto, diffuso e comunicato.

La tradizione scritta o orale irrompe con forza oggi nella nostra vita: è Cristo vivo che illumina e risolve i nostri problemi del momento.

Tutto questo è molto bello! Ma, esegeti (specialisti dell’interpretazione della Scrittura) e teologi non di rado si accaniscono a contraddirsi a vicenda. E allora dov’è Gesù Cristo?

Il Cristo vivente non può essere lacerato né diviso. Da sempre c’è un giudice della tradizione orale e scritta: il papa in comunione con il collegio dei vescovi, il collegio dei vescovi in comunione col papa.

Con una parola recente, questo si chiama magistero ma la realtà ha duemila anni e fa parte della tradizione e della Scrittura.

L’ufficio di interpretare autenticamente la parola di Dio scritta o trasmessa è stato affidato al solo magistero vivo della chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo (DV 10).

I vescovi hanno la missione di custodire la rivelazione e di esporla con fedeltà, ma non di ampliarla o di inventare qualcosa di nuovo.

Papa e vescovi devono sottostare anch’essi alla Scrittura e alla tradizione e soltanto in questa sottomissione sono infallibili.

Il magistero non è al di sopra della parola di Dio, ma la serve, insegnando ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito santo, ampiamente l’ascolta, santamente la custodisce e fedelmente la espone, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone da credere come rivelato da Dio (DV 10).

Per tutto ciò che riguarda la fede, tradizione, Scrittura e magistero non si pronunciano mai isolatamente. Non c’è dogma di fede se non c’è accordo fra questi elementi.

Nessuno può dunque predicare o insegnare staccandosi dalla Scrittura o interpretare la Scrittura staccandosi dalla chiesa, cioè dalla tradizione vivente.

È chiaro dunque che la sacra tradizione, la sacra scrittura e il magistero della chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere, e che tutti insieme, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime (DV 10).

Nessuna di queste tre realtà – tradizione, scrittura e magistero – può stare in piedi senza le altre!

La fede non cambia: non sarebbe più la fede degli apostoli. Niente di sostanziale o di nuovo può essere aggiunto alla predicazione degli apostoli. La rivelazione divina èchiusa con loro. A noi non tocca ampliarla o prolungarla, ma capirla sempre più profondamente. Perché la rivelazione sia penetrata esattamente e sia espressa in termini adeguati, il romano pontefice e i vescovi prestano la loro vigile opera usando i mezzi convenienti; però non ricevono una nuova rivelazione pubblica (LG 25).

Questa tradizione che trae origine dagli apostoli, progredisce nella chiesa sotto l’assistenza dello Spirito santo: infatti la comprensione tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cf. Lc 2,19 e 51), sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un

carisma certo di verità. La chiesa, cioè, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa giungano a compimento le parole di Dio (DV 8).

Cammin facendo, la chiesa scruta e comprende meglio, prega e si accosta più da vicino, contempla e scopre più a fondo, celebra e esprime con maggior chiarezza, vive e allarga la sua esperienza di Dio. In tal modo chiarisce ciò che la tradizione e la Scrittura contenevano di oscuro per noi. Acquisisce mezzi di comprensione più perfezionati attraverso la scienza e le scoperte moderne. Interpreta la tradizione e la Scrittura per il tempo presente e la applica di continuo con modi nuovi ai popoli nuovi e alle questioni nuove. Ogni secolo porta la sua luce, rendendo esplicito ciò che la rivelazione conteneva da duemila anni, ma che restava più o meno nascosto, implicito, cioè nelle pieghe.

A pentecoste lo Spirito di verità ha guidato i discepoli alla verità tutta intera, secondo la promessa di Gesù (Gv 16,13), ma questa rivelazione rimane aperta sul futuro, in cammino verso la piena conoscenza e il pieno possesso di nostro Signore Gesù Cristo. Il Cristo ci è stato donato totalmente allora, ma chi l’ha conosciuto fino in fondo? Chi ha esaurito la pienezza del Padre in Gesù Cristo? Chiusa con gli apostoli, la divina rivelazione è viva ancora oggi: ha un presente e un futuro: il presente e il futuro di Gesù Cristo meglio conosciuto e più amato.

Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito santo, per mezzo del quale la viva voce del vangelo risuona nella chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti a tutta intera la verità e fa risiedere in essi abbondantemente la parola di Cristo (cf. Col 3,16). (DV 8).

 

II – LA RIVELAZIONE NELLE SCRITTURE

I capitoli I e II della Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione fin qui trattati ci illuminano sulla rivelazione in generale: la parola di Dio nella tradizione e nella scrittura. I capitoli III, IV, V e VI si riferiscono tutti alla Scrittura, non perché sia più importante della tradizione, ma perché pone oggi molteplici e delicate questioni.

Il capitolo III si intitola L’ispirazione divina e l’interpretazione della sacra Scrittura. Ogni parola è stata studiata, scelta e collocata con meticolosità e con un ruolo ben definito.

Pochi fedeli sanno dire una parola precisa sull’ispirazione dei libri sacri, sulla loro verità e sulla loro interpretazione.

La santa madre chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell’antico che del nuovo testamento, con tutte le loro parti (DV 11).

La sacra scrittura o Bibbia (= libri) è un’intera biblioteca: 46 libri formano l’antico testamento, 27 il nuovo.

In totale, 73 libri, redatti e composti nel corso di undici secoli e che ci portano duemila anni di rivelazione divina. Insieme essi formano il libro delle azioni di Dio raccontate e spiegate da Dio stesso.

Le cose divine rivelate, che nei libri della sacra scrittura sono contenute e presentate, furono consegnate sotto l’ispirazione dello Spirito santo… I libri… hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla chiesa (DV 11).

È la natura divina delle scritture. Gesù è figlio di Maria: si può dire di lui che è tutto sua madre. Ma è anche Figlio di Dio: assomiglia totalmente a suo Padre. Di conseguenza, quando parla, è Dio che parla.

Allo stesso modo, ciò che dice la Bibbia è Dio che lo dice. I libri sacri hanno Dio per autore.

Tuttavia questi libri non cadono dal cielo: Dio non è stato lo scrittore in senso proprio. Per seguire le nostre vie umane, ha suscitato e animato redattori umani.

Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse degli uomini, di cui si servì nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori tutte e soltanto quelle cose che egli voleva (DV 11).

Dopo la natura divina delle Scritture, ecco la natura umana: è ancora e sempre il mistero dell’incarnazione del Verbo, parola di Dio. Il Cristo, così come è pienamente Dio è anche pienamente uomo, un uomo ben definito: Gesù, di Nazaret, di razza ebraica, di lingua aramaica parlata con accento galileo. Così Geremia, Amos, Paolo, Marco, Giovanni e altri, sono pienamente autori del libro della Bibbia che porta il loro nome. Non sono strumenti, non sono macchine da scrivere e neppure segretari che scrivono sotto dettatura. Sono i veri autori insieme con Dio autore. Lo Spirito santo non ha fornito a questi autori particolari conoscenze scientifiche né anticipazioni clamorose sul futuro dell’umanità; non ha eliminato lo sforzo di ricerca e di gestazione di un libro (Luca 1,3 parla del suo lungo lavoro di raccolta di notizie…); non ha tolto di mezzo le debolezze umane dell’autore ispirato.

Di conseguenza si trovano, nella Bibbia, punti oscuri, errori di grammatica, mancanza di stile, accanto ad alcune fra le più belle pagine della letteratura mondiale. Si sente l’eco di una inesatta conoscenza della storia, della fisica, della biologia, dell’astronomia. Un esempio: il Levitico 11,6 classifica la lepre tra i ruminanti… E si potrebbero moltiplicare gli esempi.

Allora dobbiamo ammirare la logica di Dio che non viene meno alle leggi dell’incarnazione e si adegua alla nostra condizione umana.

Perché non venga screditata l’autorità della Scrittura, è necessario parlare sinceramente e senza ambiguità, senza artifici e senza paure: bisogna dire che le conoscenze storiche dell’autore sacro erano necessariamente limitate, secondo la situazione del tempo, e che Dio le ha utilizzate così come erano. Affermando in questo modo la condiscendenza della parola di Dio, che si è resa in tutto simile alla parola umana, difenderemo meglio la parola di Dio presente in queste parole umane (card. Koenig, 2 ottobre 1963).

Nella sacra scrittura dunque, restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si manifesta l’ammirabile “condiscendenza” dell’eterna sapienza… Le parole di Dio, infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze della umana natura, si fece simile agli uomini (DV 13).

Il cardinale Koenig contesta la formula rigida proposta dallo schema in discussione: I libri della Scrittura, integralmente e in tutte le loro parti, insegnano la verità senza nessun errore (se così fosse, la lepre dovrebbe diventare un ruminante anche se non lo è mai stata, dico io!) e chiede che si precisi il campo di questa infallibilità nel modo seguente: “I libri della Scrittura insegnano la verità della salvezza fermamente, autenticamente, integralmente e senza errore.

Tutto il concilio gli dà ragione. Il testo conciliare definitivo dice: Poiché tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono, è da ritenersi asserito dallo Spirito santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre lettere (DV 11).

La Bibbia non insegna errori (inerranza biblica) per quanto riguarda le verità della salvezza e non necessariamente per quanto riguarda le scienze o altro. La Bibbia non fornisce notizie scientifiche sull’origine del mondo o sui dischi volanti, ma rivela infallibilmente la storia e il mistero della salvezza, nel passato, nel presente e nel futuro. E nient’altro. La rivelazione divina non ha altri scopi.

La Bibbia è una storia, uno svolgersi di avvenimenti nell’arco di duemila anni. Ma si tratta essenzialmente di una storia sacra, nel senso che i fatti e i detti sono scelti e riferiti nella misura in cui entrano nel disegno di Dio che si realizza attraverso di essi, nella misura in cui esprimono il disegno di salvezza. Questa è la verità delle Scritture: l’amore salvifico di Dio nei confronti degli uomini.

Nella Scrittura la parola di verità è il vangelo della vostra salvezza (Ef 1,13). Le sacre scritture possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona (2Tm 3,15-16).

L’interpretazione delle Scritture

La Bibbia è parola di Dio portatrice del mistero: per questo fatto sbalorditivo è evidentemente meno accessibile di un romanzo a puntate.

In più, la Bibbia è stata scritta da uomini molto diversi da noi, sotto tutti i punti di vista: altri tempi, altre culture, altre lingue.

Per questo la DV ci dà indicazioni per l’interpretazione delle Scritture: Poiché Dio nella sacra scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra scrittura, per vedere bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve cercare con attenzione, che cosa gli agiografi in realtà hanno inteso significare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole.

Per ricavare l’intenzione degli agiografi si deve tener conto tra l’altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi in varia maniera storici, o profetici, o poetici, o con altri generi di espressione (DV 12).

La Bibbia è stata formata nel corso di millenni. Un numero imponente di autori, o di gruppi di autori, l’hanno scritta in situazioni molto diverse, di guerra o di pace, di schiavitù o di libertà…

Ogni brano biblico deve essere collocato nel suo contesto storico.

È necessario dunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo intese esprimere ed espresse in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso (DV 12).

La DV richiama la nostra attenzione sui generi letterari. Ci troviamo di fronte a una delle chiavi più importanti per comprendere le Scritture.

Cosa sono i generi letterari?

I romanzi, le raccolte di poesie, i libri scolastici, la costituzione italiana, il messale, il libro delle barzellette… Ogni genere letterario ha la sua verità e il suo modo di dirla. Tocca a noi coglierla senza far confusione. Se in una favola, il lupo parla dell’agnello, mi sta bene; ma se in un libro di scienze si afferma che il lupo è un animale parlante, non mi sta più bene. Lo stesso dicasi della frase: la luna è una falce d’oro gettata a caso nel campo delle stelle: in un libro di poesia è un’espressione felice e forse splendida; in un libro di astronomia sarebbe un’autentica fesseria.

I generi letterari variano secondo l’oggetto dell’opera (storia, poema, parabola) e secondo le persone: un pastore e un laureato non si esprimono allo stesso modo. Il profeta Amos è un pastore, Luca evangelista un medico, Matteo un esattore… I generi letterari variano secondo il periodo storico (e la Bibbia non è storia scritta oggi), secondo le lingue (l’ebraico e il greco non sono l’italiano) e secondo i paesi (Palestina, Babilonia, Egitto, l’Italia antica, non sono l’Italia di adesso e ancora oggi la gente di quei paesi è tanto diversa da noi).

La Bibbia è formata da 73 libri, che portano duemila anni di rivelazione progressiva e appartengono a 20 generi letterari diversi. Ma chi ha parlato a questi uomini e in questi secoli è lo stesso Spirito santo che garantisce la tradizione viva nella chiesa. La sacra scrittura deve essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta (DV 12).

Questo presuppone la fede, la preghiera, l’umiltà, la fedeltà alla chiesa, senza le quali non c’è aiuto dello Spirito.

Per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare al contenuto e all’unità di tutta la Scrittura, alla viva tradizione di tutta la chiesa e all’analogia della fede (DV 12).

1) L’unità del contenuto

Tutta la Bibbia è la medesima parola di Dio rivelata allo stesso popolo di Dio. I vari autori sono coscienti di collocarsi in una tradizione unica in cui le loro opere affondano le radici e al cui servizio essi si pongono. Inseriscono il loro messaggio personale in un messaggio globale che forma un tutto unico, dalla vocazione di Abramo fino alla morte dell’ultimo apostolo. Ogni testo si ricollega organicamente ad un’architettura d’insieme che gli conferisce le sue giuste proporzioni. La chiave di volta di questa architettura è Cristo stesso il cui mistero è rivelato dalla totalità del nuovo testamento. Il senso dei testi dell’antico testamento si scopre soltanto se si mette in evidenza il loro rapporto con questa rivelazione di Gesù Cristo.

2) La viva tradizione

La Scrittura scaturisce da un’unica fonte, Il Verbo di Dio, e confluisce in un unico fiume, che è la viva tradizione del popolo di Dio. Per questo l’interprete deve immergersi personalmente nella corrente della tradizione per poter comprendere dall’interno la parola di Dio. Tradizione e Scrittura sono un tutt’uno. La Scrittura è nata dalla tradizione; staccarla dalla tradizione degli apostoli e dei padri della chiesa, significa ucciderla. Come togliere un pesce dall’acqua.

3) L’analogia della fede

Questa espressione un po’ oscura indica una realtà molto semplice: Dio non si contraddice mai. Dunque le affermazioni della sua parola non possono essere in contraddizione tra loro, anzi si illuminano a vicenda. Un punto oscuro si spiega attraverso quelli chiari e si capisce nel senso che si accorda con l’insieme della fede della chiesa.

Bisogna essere degli intellettuali per accedere alla parola di Dio?

No, perché siamo salvati da Cristo e non è necessario essere studiosi per comprendere l’amore di un amico e ricambiarlo. Ma, questo amico ci ha scritto una lettera d’amore e dobbiamo fare tutti gli sforzi necessari per leggere e capire le sue parole. Ciascuno deve applicarsi, secondo le sue capacità, a scoprire la Bibbia. Come una lettera d’amore.

 

L’antico testamento

Il giorno di Pasqua, Gesù spiega il mistero della sua morte e della sua risurrezione spiegando l’antico testamento e svelando ai due discepoli le cose scritte su di lui nella legge di Mosè, nei profeti e nei salmi (Lc 24,13-49). Quello che stupisce in questo racconto fondamentale, è che l’antico e il nuovo testamento si intrecciano come la trama e l’ordito dello stesso tessuto. Il culmine nel nuovo testamento è il mistero pasquale: È risorto! Ma la spiegazione di questo messaggio si trova nell’antico testamento.

L’antico testamento può essere capito pienamente solo alla luce della risurrezione. Il giorno di Pasqua, Cristo inaugura l’interpretazione piena dei due testamenti: alla luce dell’evento pasquale l’antico si illumina e il nuovo viene preparato e annunciato.

L’antico testamento non è superato: rimane parola di Dio per i cristiani.

L’economia della salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori, si trova come vera parola di Dio nei libri dell’antico testamento; perciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne: “Quanto infatti fu scritto, per nostro ammaestramento fu scritto, affinché mediante quella pazienza e quel conforto che vengono dalle scritture possiamo ottenere la speranza (Rm 15,4)” (DV 14).

L’antico testamento segna le tappe della pedagogia millenaria di Dio per far crescere il suo popolo verso Gesù Cristo. Tutti noi dobbiamo ripercorrere questo itinerario di maturazione per arrivare alla conoscenza di Dio e dell’uomo (DV 15).

È bene insistere sul carattere progressivo dell’antico testamento.

Ogni vero pedagogo sa assumere le debolezze del bambino e dell’ignorante. L’antico testamento conserva quindi un carattere di incompiutezza e di provvisorietà finché non viene investito dalla piena luce del vangelo.

Dio educa gli uomini a partire da quello che sono e lascia loro il tempo di crescere. L’antico testamento porta con sé determinate realtà che sono utili agli inizi, ma sono passeggere, imperfette, temporanee, attraverso le quali, tuttavia, bisogna passare.

La Bibbia deve essere vissuta come un lungo viaggio, o una escursione alpinistica, durante la quale si lasciano alle spalle alcuni bagagli e attrezzature che furono indispensabili all’inizio e ora non servono più.

I due testamenti sono un’unica realtà: ciascuno è nascosto nell’altro e svelato dall’altro. Dio, ispiratore e autore dei libri dell’uno e dell’altro testamento, ha sapientemente disposto che il nuovo fosse nascosto nell’antico e l’antico diventasse chiaro nel nuovo. Poiché, anche se Cristo ha fondato la nuova alleanza nel suo sangue (Lc 22,20; 1Cor 11,25), tuttavia i libri dell’antico testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro completo significato nel nuovo testamento (Mt 5,17; Lc 24,27; Rm 16,25-26; 2Cor 3,14-16) e a loro volta lo illuminano e lo spiegano (DV 16).

 

Il nuovo testamento

A nessuno sfugge che tra tutte le Scritture, anche del nuovo testamento, i vangeli meritatamente eccellono, in quanto sono la principale testimonianza relativa alla vita e alla dottrina del Verbo incarnato, nostro salvatore (DV 18).

Il punto cruciale del dibattito e del messaggio conciliare verte sulla storicità dei vangeli. I quattro racconti evangelici sono storie inventate per presentare in maniera interessante il messaggio della fede o sono storia, fatti reali in cui si annuncia e si incarna la salvezza?

Rudolf Bultmann (1884-1976) e la sua scuola dicevano:

I vangeli ci presentano il vero messaggio di salvezza portato dal Cristo, ma non gli avvenimenti della sua vita terrena. Questa affermazione è contraria alla verità e alla fede cristiana. Il concilio afferma senza esitazione la storicità dei vangeli (DV 19).

La chiesa sempre e in ogni luogo ha ritenuto e ritiene che i quattro vangeli sono di origine apostolica. Infatti, ciò che gli apostoli per mandato di Cristo predicarono, dopo, per ispirazione dello Spirito divino essi stessi e gli

uomini della loro cerchia tramandarono a noi in scritti, come fondamento della fede, cioè il vangelo quadriforme, secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni(DV 18).

Storicità dei vangeli in che senso? La scienza storica moderna non ha più di cent’anni. I vangeli sono stati scritti 1900 anni fa. Non sono dunque una storia scientifica nel senso moderno della parola, una storia anedottica in cui il fatto è raccontato in quanto tale.

Sono una storia religiosa, una storia della salvezza, dove l’annuncio della buona notizia è più importante dei fatti reali, in cui si radica.

La santa madre chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima, che i quattro suindicati vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro salvezza eterna, fino al giorno in cui fu assunto in cielo (cf. At 1,1-2). Gli apostoli poi, dopo l’ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dalla luce dello Spirito di verità, godevano. E gli autori sacri scrissero i quattro vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già per iscritto, redigendo una sintesi delle altre o spiegandole con riguardo alla situazione delle chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere (cf. Lc 1,2-4) (DV 19).

Leggere le Scritture

La chiesa ha sempre venerato le divine scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli (DV 21).

C’è un solo pane di vita, Gesù Cristo. La chiesa lo offre in due modi: attraverso la mensa eucaristica e attraverso la mensa della Parola.

Dobbiamo riconoscere che, fra i cattolici, il ritorno alla Bibbia è un fatto recente. Il concilio Vaticano II spinge decisamente al largo i fedeli, in quattro direzioni:

1) Tradurre;

2) Studiare e far conoscere;

3) Costruire sulla roccia della parola di Dio;

4) Leggere assiduamente i libri sacri.

 

1) Tradurre

È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla sacra scrittura (DV 22).

Poiché la parola di Dio deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo, la chiesa cura con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, a preferenza dai testi originali dei sacri libri. Queste, se secondo l’opportunità e col consenso dell’ autorità della chiesa saranno fatte in collaborazione con i fratelli separati, potranno essere usate da tutti i cristiani (DV 22).

Dunque tradurre in tutte le lingue e in tutti i dialetti, aggiornare le traduzioni secondo le ultime scoperte e secondo l’evoluzione delle lingue vive e parlate; e tradurre a preferenza dai testi originali (DV 22): ebraici, aramaici, o greci. Tradurre sempre di nuovo, di generazione in generazione perché la parola di Dio deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo (DV 22). Così la Pentecoste sboccerà in pienezza: ogni popolo ascolterà Dio che gli parla nella sua lingua e attraverso la sua cultura.

Esistono già traduzioni ecumeniche della Bibbia, fatte in collaborazione con i fratelli separati (DV 22): esse sono la dimostrazione evidente che i cristiani non sono stati divisi dalla parola di Dio, ma dai teologi che l’hanno strumentalizzata alle loro tesi preconcette.

2) Studiare e far conoscere

Gli esegeti devono offrire con frutto al popolo di Dio l’alimento delle Scritture che illumini la mente, corrobori le volontà, accenda i cuori degli uomini all’amore di Dio(DV 23); per questo si impegnino a studiare e spiegare con mezzi adatti le divine lettere (DV 23).

Studiare per spiegare: il lavoro è vano e tradisce lo Spirito, se non ha uno scopo pastorale. La sposa del Verbo incarnato, la chiesa, istruita dallo Spirito santo, si preoccupa di raggiungere una intelligenza sempre più profonda delle sacre scritture per nutrire di continuo i suoi figli con le divine parole (DV 23).

3) Costruire sulla roccia della parola di Dio

La costituzione DV scarta quella teologia e quella catechesi che si fondano sulla sabbia delle filosofie e della ragione. L’uomo dalla mente limitata si costruisce un Dio secondo le sue piccole idee.

La teologia e la catechesi non possono essere una serie di tesi in cui diciamo a Dio cosa pensiamo sul suo conto. Bisogna scrutare le Scritture nelle quali Dio ci rivela chi egli è, chi siamo noi, che cos’è il mondo. Il fondamento della vera conoscenza di Dio sta qui. Bisogna costruire su questa roccia (Mt 7,24-27).

Nella scrittura è Dio che parla. Lasciamolo parlare. Ascoltiamo la sua Parola.

Lo studio delle sacre pagine sia dunque come l’anima della sacra teologia. Anche il ministero della parola si nutre con profitto e santamente vigoreggia con la parola della scrittura (DV 24).

4) Leggere assiduamente i libri sacri

È la prima volta che un concilio invita alla lettura assidua dei libri sacri perché è anche la prima volta che un concilio si rivolge a una cristianità quasi completamente alfabetizzata. Sappiamo leggere, ma cosa leggiamo? Omettiamo, per carità cristiana, tutta la serie umiliante di letture che noi preferiamo alla parola di Dio. L’ignoranza delle Scritture, è ignoranza di Cristo (s. Girolamo).

Dunque leggere, approfondire, spiegare e pregare la Bibbia.

(I cristiani) si accostino dunque volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei pastori della chiesa lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della sacra scrittura dev’ essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché “gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini”

(s. Ambrogio). (DV 25).

Bisogna evitare una lettura selvaggia della Bibbia (es. testimoni di Geova, avventisti): c’è un uso corretto e un uso scorretto delle Scritture, come di ogni cosa, del resto! Tutti gli eretici della storia si sono richiamati alla Bibbia… interpretata a modo loro.

Qual è la legge fondamentale della lettura biblica? La Bibbia cessa di essere quello che è se la si sottrae alla corrente della predicazione apostolica di cui costituisce la parte principale; non può essere letta correttamente fuori dalla tradizione della chiesa apostolica. Il concilio affida quindi le traduzioni e le spiegazioni dei testi biblici alla responsabilità dei vescovi, depositari della dottrina apostolica.

Il capitolo VI della DV, che è anche l’ultimo, si chiude con lo stesso profondo pensiero che l’aveva aperto: il mistero eucaristico e la parola di Dio sono le due presentazioni dello stesso pane di vita. È una affermazione tradizionale presso i Padri della chiesa antica e del medioevo. Le sue radici affondano nel cap. VI del vangelo di Giovanni, dove si parla del pane della vita: il Cristo è il pane della vita in quanto rivelatore e parola del Padre (Gv 6,22-50); ed è il pane della vita in quanto cibo e bevanda nell’eucaristia (Gv 6,51-59).

Come dall’assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso di vita spirituale dall’accresciuta venerazione della parola di Dio, che “permane in eterno” (Is 40,8; 1Pt 1,23-25)(DV 26).

La fede nutrita della Parola è sufficiente ad accendere la vita eterna: chi crederà sarà salvo.

È necessario, dunque, che tutta la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla sacra scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con loro; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della chiesa e per i figli della chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale (DV 21).

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