CHIESE E AFFARI Principesse e nobildonne alla corte di don Scarano

Dalla Parodi Delfino alla Frescobaldi ecco le benefattrici del sacerdote. Quadri e donazioni, l’elenco nell’interrogatorio a Salerno

corriere del mezzogiorno

SALERNO — Alla corte di monsignor Nunzio Scarano c’erano tutti: principesse, baroni, contesse e industriali. E lui, monsignor “500” che aveva scelto in tarda età di seguire il richiamo della Chiesa, alla povertà cristiana in fin dei conti non si è mai convertito. Ma il lusso, i quadri d’autore, gli appartamenti pieni di opere d’arte e gli investimenti immobiliari, ad un certo punto, lo hanno tradito. Ora il sacerdote salernitano, scaricato dal Vaticano, dalla sua cella di Regina Coeli, nella speranza che gli siano concessi i domiciliari (la perizia medica è stata depositata), cerca in tutti i modi di dare una spiegazione a quel patrimonio milionario che gestiva indossando l’abito talare. E se nel 2005 è riuscito a contestare all’Agenzia delle Entrate gli accertamenti fatti sui suoi beni, l’ex bancario, adesso, non riesce a convincere la magistratura della bontà delle sue azioni e della sua innocenza. Anche quando tira fuori nomi eccellenti che un sacerdote venuto da un quartiere di una città di provincia non avrebbe mai pensato di annoverare tra le sue amicizie. L’elenco dei suoi benefattori lo fa ai finanzieri di Salerno durante l’unico interrogatorio reso nella sua città, il 6 giugno scorso: prima dell’arresto della procura di Roma e prima dello scandalo che la sua vicenda ha cucito addosso alla Santa Sede. La principessa Donna Mimosa Parodi Delfino, dice il prete, gli avrebbe fatto donazioni fin dai tempi della lira. «Nell’ordine – specifica – anche di 5/6 mila euro». La contessa Frescobaldi, invece, gli avrebbe dato 500 euro al mese. Quando è stato ordinato sacerdote, il cavaliere Giuseppe Amato gli avrebbe donato dieci milioni di lire e Anita Menna avrebbe fatto lo stesso. Nel 1987, quando era parroco a Santa Cecilia di Eboli, il barone Benito Iemma gli avrebbe donato in sei o sette mesi 50 milioni di vecchie lire. Quello stesso anno, grazie ad un’altra donazione da parte di una donna di Eboli (A.R.) riuscì a comprare un appartamento a Pastena. La donna gli lasciò 250 milioni, l’immobile gli costo 50 milioni in più.

I QUADRI – E poi ci sono i quadri, quelli di cui Scarano denunciò il furto nella sua casa museo di via Romualdo Guarna a Salerno. I sei quadri di De Chirico – “la cui autenticità deve essere comunque provata”, si difende Scarano – sarebbero stati un regalo della principessa Giudy Caracciolo di Castagneto, cognata di Gianni Agnelli. Mentre il Marc Chagall lo avrebbe acquistato “a titolo di investimento” da Enrico Gaudiano, titolare di un negozio nei pressi della stazione ferroviaria di Salerno. Monsignor 500 non ricorda bene quanto lo avrebbe pagato: forse tra i mille e i 1.500 euro. Il capostipite degli armatori D’Amico, Antonio, prima di morire gli avrebbe regalato il “piccolo” crocefisso del Bernini. Mentre sua nipote Maria Cristina gli avrebbe fatto dono di due quadri di Labella e tre Clemente Tafuri. Oltre a 40.000 euro circa che ogni anno versava sul suo conto corrente. Quello di Unicredit, tiene a precisare Scarano ai finanzieri di Salerno, perché sarebbe stato quello il conto destinato alle donazioni. Il conto allo Ior, invece, serviva per le sue spese personali. E non è dato sapere se tra queste rientrano anche i prestiti che il sacerdote faceva ad amici e conoscenti. Come i 50.000 euro prestati alla sua ex commercialista Tiziana Cascone, su cui ha riversato tutte le responsabilità degli assegni ritirati dai 58 indagati a Salerno in questa storia di riciclaggio e ricatti celati sotto le vesti di un prete.

Angela Cappetta

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