Il Patriarca li richiama alla carità, i preti si dividono: «Le parole non bastano»

di Alvise Sperandio

VENEZIA – Tutti d’accordo e non poteva essere diversamente. Però, il monito lanciato da monsignor Francesco Moraglia, l’altro ieri in basilica di San Marco, «Preti, ritornate tra la gente», ha fatto riflettere il clero veneziano.

Il Patriarca ha parlato della carità pastorale come cuore del presbiterato con una sottolineatura che non è passata inosservata: «Fuor di metafora – ha detto – si rischia di amare più le opere, i titoli accademici, le nostre pubblicazioni, le strutture che abbiamo costruito e ci circondano e servono alla nostra attività pastorale, che non il fine per cui quelle cose sono state create, ossia le anime. Il rischio è essere organizzatori, impresari, docenti, intellettuali, psicologi, assistenti sociali e non pastori».

Tra i destinatari del messaggio il coro dei favorevoli è ovviamente unanime, ma non mancano le opinioni.
«Le parole del vescovo mi hanno posto in una situazione di verifica interiore – dice don Armando Trevisiol, padre di quattro centri don Vecchi e da molti considerato un “palazzinaro” – Tutti noi seguiremo le sue indicazioni e faremo del nostro meglio per convertirci, certo è che la carità verso i bisognosi non si fa solo con le chiacchiere. Chiederò a monsignor Moraglia di specificare meglio il suo pensiero per capire come possa essere declinato concretamente nella vita di tutti i giorni, perché le strutture servono; sono strumenti senza i quali l’aiuto nei confronti dei deboli resta aria fritta».

Mentre l’arciprete del Duomo, monsignor Fausto Bonini, si riserva di parlare perché occupato nella preparazione delle celebrazioni pasquali, il direttore del settimanale diocesano “Gente veneta”, don Sandro Vigani, afferma: «È necessario interpretare correttamente il senso di quanto il patriarca ha voluto comunicarci, ovvero che il prete non è ciò che fa ma ciò che è, perché tutto è legato al sacramento dell’ordine».

Don Natalino Bonazza, parroco, preside della Fondazione Giovanni Paolo I del Marcianum, docente e delegato per il centro storico alla rappresentanza presso le autorità civili, d’incarichi ne somma molti: «Il vescovo ha voluto ritornare al centro della faccenda, invitando i preti a mettersi nelle condizioni di una verifica interiore – spiega – Il punto è convertire la persona al cuore del ministero affinché il soggetto del fare sia l’essere ministro ordinato: il sacerdote fa ciò che è, laddove viene mandato».

L’intervento di monsignor Moraglia fa discutere anche a Carpenedo che, notoriamente, è una parrocchia molto attiva sul fronte operativo. «Credo che ogni persona sia unica e quando è vitale, è normale che questa vitalità sia espressa in tutti gli ambiti del suo impegno quotidiano per la pastorale – sostiene l’arciprete don Gianni Antoniazzi – Io mi sento profondamente prete nel mio costante contatto con la gente che mi è stata affidata per la cura spirituale e sono dell’avviso che l’evangelizzazione abbia bisogno di spazi ben curati per le persone».

Monsignor Dino Pistolato, da 20 anni direttore della Caritas, soggetto che gestisce grosse quantità di denaro, propone un distinguo: «Il Patriarca ha ragione, la priorità dev’essere la capacità di spendersi per i fedeli – osserva – In altre parole la cura pastorale viene prima di tutto, più che perdere il sonno per i debiti contratti per realizzare un’opera, bisognerebbe prestare maggior attenzione ai problemi delle persone. Ciò che monsignor Moraglia ha voluto dire è che importante essere strumenti e mai fini dell’azione».

Sabato 31 Marzo 2012 – 14:39

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