«Nuovi atei»: opportunità oltre la sfida?

Che il successo dei “nuovi atei” nasca da un deficit di capacità apologetica della teologia contemporanea? Non è forse, paradossalmente, da salutare con favore la sfida razionale che i New Atheist pongono al pensiero credente? Insomma, per dirla con l’editoriale dell’ultimo numero della rivista “Credere Oggi”, bisognerebbe cambiare prospettiva: «Il nuovo ateismo è una sfida, ma nello stesso un’occasione propizia per purificare le immagini correnti di Dio, mettendole a confronto con l’unico e definitivo modello che ci viene dalla rivelazione: Gesù Cristo».

La provocazione del bimestrale diretto da Ugo Sartorio sta già nel titolo del contributo che apre il fascicolo dedicato a «Nuovo ateismo e fede in Dio» (per informazioni, www.credereoggi.it): «Il nuovo ateismo: sfida o kairòs per i cristiani?». E non mancano altre voci teologiche che, senza fare sconti ad una certa approssimazione teo-filosofica del nuovo ateismo, ne scorgono le provocazioni benefiche per il credere. E anzi riscontrano in certe posizioni “spirituali” e “neognostiche” maggiori rischi rispetto alle posizioni dei negatori di Dio, il “quadrilatero” Hitchens-Dawkins-Dennett-Onfray.

«Nel corso del XX secolo la teologia cattolica ha preso le distanze dai tentativi di dimostrare l’esistenza di Dio elaborate dall’apologetica del XIX e XX secolo. Sotto certi aspetti, questo cambiamento è stato positivo: la vecchia apologetica era troppo condizionata dal positivismo e non assumeva abbastanza il valore convincente della stessa fede. Ma è possibile che si sia esagerato in senso contrario: oggi, gli atei si lamentano che i credenti non si dedichino abbastanza a rispondere alle loro domande».

Il giudizio, tagliente, è di uno che se ne intende: monsignor Charles Morerod, domenicano svizzero, neo-vescovo di Losanna-Ginevra-Friburgo, teologo di vaglia: è stato segretario della Commissione teologica internazionale, braccio destro del cardinal George Cottier, teologo della Casa pontificia. Il giudizio di Morerod arriva dalla rivista francese “Sedes Sapientiae” in un contributo dedicato al rapporto tra «San Tommaso d’Aquino e l’ateismo contemporaneo». Nel quale – sorpresa! – il prelato rivaluta le critiche di Paolo Flores d’Arcais (quello del 2000, che dedicò un ottimo “MicroMega” alla questione-Dio, con tanto di dibattito pubblico con l’allora cardinale Joseph Ratzinger): «Flores d’Arcais accusa i cattolici di non interessarsi veramente alla questione di Dio». Secondo Morerod, che pare concordare con il direttore di “MicroMega”, «dal momento che i cattolici rinunciano a ogni tentativo di argomentazione per rifugiarsi nella pura fede, essi rinunciano del tutto a ogni dialogo con i non credenti. […] Oggi gli atei si lamentano che i credenti non si preoccupano di rispondere alle loro domande». E Morerod pone sul tappeto alcune questioni concrete che il nuovo ateismo rilancia alla teologia: il materialismo, l’origine e l’ordine dell’universo, il male, il ruolo del desiderio nella fede …
Dunque, è ora di prendere sul serio i nuovi atei. Andrea Toniolo, preside della Facoltà teologica del Triveneto, rilancia su “Credere Oggi” quella «purificazione, sempre necessaria, della religione vissuta» chiesta con forza da Benedetto XVI ad Assisi l’ottobre scorso: «La genesi dell’ateismo contemporaneo – scrive il teologo padovano – non è solo esterna, ma anche interna alla religione, e dipende dall’immagine di Dio e di fede che una tradizione religiosa veicola». E se già papa Ratzinger ha assegnato agli «agnostici in ricerca» uno <+corsivo_bandiera>status<+tondo_bandiera> di maggior vicinanza a Dio rispetto ai «credenti di routine», c’è chi si spinge oltre: «I cristiani (e le chiese) devono in qualche misura considerarsi responsabili del “nuovo ateismo”». Francesco Ghedini, docente di filosofia all’Issr di Padova, rincara la dose: «I cristiani ne sono responsabili se non si impegnano a comprendere il tempo in cui vivono, a intenderne le rinnovate dinamiche esistenziali e comunicative. Una comprensione che implica, nello spirito della Gaudium et spes, un’accettazione di fondo, una condivisione simpatetica che dice l’accoglienza degli uomini con i quali ci si incontra».
Ma c’è di più: alcune autorevoli voci teologiche non vedono nei neoatei il più pressante pericolo per la fede. Sono invece le «spiritualità senza Dio» di pensatori come André Comte-Sponville e Luc Ferry oppure il pensiero neognostico attuale i veri attentati attuali al cristianesimo nella sua essenza di proposta di verità. Ne sono convinti, rispettivamente, il teologo belga Jean-Marie Verlinde (“Avvenire” se ne è occupato qualche tempo fa per il suo libro autobiografico Da Cristo al guru, andata e ritorno, Paoline), e Giandomenico Mucci, gesuita scrittore de “La Civiltà Cattolica”. Sulla prestigiosa “Nouvelle revue théologique” di Bruxelles, Verlinde puntualizza: «L’ateo contemporaneo non cerca più di prendere il posto di un Dio inesistente. Il problema si è spostato. Un filosofo come Comte-Sponville si propone di costruire «una saggezza per i nostri tempi» sulla base di una «metafisica materialista, di un’etica umanista e di una spiritualità senza Dio».
Analizzando il pensiero del pensatore, ed ex ministro della cultura, Ferry, Verlinde conclude con un dato che fa riflettere: «Questa “spiritualità senza Dio” ci conduce a delle spiritualità senza soggetto personale. La persona umana paga il prezzo dell’abolizione di Dio. Negare l’Interlocutore primo, originario, porta a privare l’essere umano delle condizioni della sua umanizzazione integrale, ovvero l’accesso al suo statuto di soggetto personale, creato capax Dei (Sant’ Agostino)».

Da parte sua padre Mucci, sempre su “Credere Oggi”, punta i riflettori (citando un dialogo tra Giovanni Paolo II e Luigi Giussani) sulla neognosi, di cui si fanno esempi concreti: Paolo Rossi e Salvador de Madariaga. Una deriva che Mucci considera molto più nemica del cristianesimo di quanto lo sia il New Atheism: «Il fenomeno neognostico è di tale portata e pericolosità da collocare in secondo ordine la gravità dell’ateismo inteso nel senso classico e perfino nelle sue espressioni più radicali e pacchiane.

Oggi la cultura dominante è impegnata a instaurare una super-religione trasversale, un umanesimo etico e spiritualistico, in modo pacioso e sotterraneo, che non annulla le culture, le gerarchie, e aspira a incarnarsi in esse». Viene in mente il celebre romanzo di Robert H. Benson Il padrone del mondo (Jaca Book), in cui una religione umanistica senza Dio viene proposta come soluzione ai mali del mondo. Vien quasi da rimpiangere la provocatoria durezza del neoateo Richard Dawkins che nel suo L’illusione di Dio (Mondadori) chiedeva un nuovo pensare cristiano: «Se la religione sottile e raffinata dei Tillich e Bonhoeffer predominasse, il mondo sarebbe sicuramente un posto migliore e io avrei scritto un altro libro».

 

Lorenzo Fazzini – avvenire.it
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