Cristianesimo in crisi: l’Asia

Sintesi di un articolo del nuovo "Papa nero", superiore generale dei gesuiti.
Su "Concilium" N. 3/2005
Cristianesimo in crisi: l’Asia

di Adolfo Nicolás
[…] La crisi del cristianesimo in Asia non è nuova. […] È cominciata nel momento stesso in cui i primi missionari europei hanno messo piede in Asia. […] Se guardiamo soltanto ai tempi moderni, Francesco Saverio ha dato inizio a una crisi per il cristianesimo quando ha aperto un dialogo con i bonzi buddisti in Giappone. Valignano l’ha ulteriormente approfondita. Ricci, Ruggieri, de Nobili e tanti altri, che volevano veramente coinvolgere la cultura, la religiosità e la comunità locale, tutti loro hanno dato inizio a una crisi che talvolta ha trasceso la situazione locale e sfidato l’intera Chiesa. […]

In questo tipo di crisi siamo trasformati da coloro che giudicano in coloro che sono giudicati. Questo non perché gli altri siano interessati a giudicarci, ma perché nella loro presenza le nostre stesse parole ritornano per giudicarci. L’altro ci giudica ascoltando il nostro messaggio e confermandone la profondità, il suo potere di invitarci a cambiare. L’altro ci giudica prendendo sul serio le nostre parole, e divenendo un testimone per la nostra vita. L’altro ci giudica forzandoci a mantenere vive le più profonde questioni, non permettendo alle parole di confondere la realtà. Quando all’altro è dato il benvenuto con amore ed è rispettato nella sua integrità non possiamo evitare di sentirci sfidati a domandarci quanto siamo veraci, quanto cristiani, quanto discepoli. […]

La crisi è attenuata ogni volta che siamo benedetti dall’esistenza di persone sante come Madre Teresa o molti altri cristiani che danno la vita per il bene degli altri. Ma vi sono anche in seno alle altre religioni migliaia di persone, note e ignote, che vivono una vita di compassione e di servizio. […]

In Asia siamo in situazione di crisi perché il nostro messaggio non è reso visibile dalla nostra vita. Il Vangelo della misericordia e della riconciliazione è negato dalla nostra incapacità di riconciliare […]. La gioia e la semplicità del perdono e del servizio hanno lasciato il posto a un complicato sistema di controlli e regolamenti che rendono il Vangelo qualcosa di distante dalle persone. Nelle Chiese occidentali o più antiche c’è la possibilità di spiegare come e perché alcune di queste anomalie si sono sviluppate, ma in una conversazione a cuore aperto con persone di altre religioni in Asia, quelle stesse spiegazioni provocano solo meraviglia e disappunto.

Il campo naturale di questa crisi è quello pastorale, dove, per nostra stessa vergogna e costernazione, sembrano occupare molto più spazio, nella predicazione e nelle direttive dei pastori, le norme e gli obblighi rispetto alla gioia, alla speranza e alla libertà: dove l’apprendere dottrine (spesso meno che intelligibili e raramente interessanti) occupa più spazio che la comunione, il servizio e l’ospitalità. […]

Il lavoro pastorale è un invito continuo a divenire vuoti di sé, per essere “ricettivi” dell’altro e dell’altra, con le sue preoccupazioni, gioie, domande, scoraggiamenti o speranze. La relazione tra servizio e vuoto interiore è così pertinente che Paolo non esita ad applicarla a Gesù Cristo in molte lettere. È anche una relazione che ha pieno senso nella tradizione asiatica buddista. Perciò quando, in Asia, scegliamo di diventare un pastore di successo, piuttosto che uno che fa il vuoto interiore e dona se stesso, perdiamo qualcosa della nostra natura in Cristo, ed entriamo in crisi.

La crisi non è meno profonda per ciò che riguarda la teologia. Le religioni asiatiche – specialmente il buddismo – sono una sfida continua per ogni parola teologica che produciamo. Mettono in questione la supposta “chiarezza” di molte delle nostre affermazioni e spiegazioni. Fondamentalmente perché è una chiarezza senza trasparenza, che esplica meglio i concetti e le definizioni che la vita, in tutti i suoi dolori e le sue gioie. Il senso critico verso il linguaggio religioso non è specificamente asiatico. Il cardinal Ratzinger, in uno dei suoi scritti sulla fede cristiana affermava, diversi decenni fa, che “tutte le affermazioni teologiche hanno un valore soltanto approssimativo” o qualcosa di analogo. Questa saggia e ispirata affermazione troverebbe nelle religioni asiatiche il più profondo assenso e la più radicale delle interpretazioni.

Al tempo stesso, i pensatori asiatici, imbevuti delle proprie tradizioni religiose, continuano a stupirsi dell’ambiguità e della leggerezza con cui usiamo termini così centrali e importanti quali “salvezza”, “fede”, “liberazione”, e simili. Il tipo di teologia che è diventata moneta corrente nei nostri seminari è rimasta distante dalla vita delle persone in Oriente e in Occidente; distanza che raddoppia quando viene utilizzata in Asia come se fosse “senso comune cattolico”. È un linguaggio in tensione, in conflitto, in disarmonia con altri linguaggi, immagini, percezioni, simboli ed espressioni religiose che hanno dato una direzione, un senso e una speranza, a milioni di persone. E per rimanere fedele alla metodologia delle domande accademiche occidentali, ha fallito nell’integrazione di conoscenze serie e modi di saggezza religiosa più liberanti, impossibili da sistematizzare, di svuotamento radicale, non-dualismo e trascendenza. […]

I veri maestri spirituali di tutte le età sono più propensi a insegnare vie per arrivare a Dio che a dare risposte a domande che riguardano Dio. L’Asia ha prodotto una ricchezza incredibile di tali “vie”. La ricerca di saggezza o della divinità è molto concreta, e i maestri continuano a guidare le persone nel loro viaggio dell’anima. È in questo contesto che noi cristiani dobbiamo pensare e riconsiderare le nostre pratiche, dalle semplici devozioni alle celebrazioni sacramentali.

Qual è la “via” cristiana nei paesi asiatici? La crisi delle nostre pratiche spirituali date per assodate dovrebbe essere un invito a riscoprire la loro ispirazione autentica […]. La Chiesa deve recuperare la sua umile posizione nel piano della salvezza. Come tutte le mediazioni umane, è soggetta alla legge della crescita e del decadimento, del peccato e della grazia, della morte e resurrezione. Fingere che sia altrimenti che così è un auto-inganno, è il rinnegamento della croce e della condizione di servo che Gesù ha assunto su di sé per tutte quelle persone (e istituzioni) che vogliono seguirlo fino alla fine. La chiesa in Asia è stata spesso povera, perseguitata in molti luoghi e per lunghi periodi, senza alcun potere e quasi invisibile in non pochi paesi… Molti vescovi e altre figure religiose in Asia erano felici di questo essere umile della Chiesa. Questa è l’immagine della Chiesa di Cristo che ha più senso in Asia; una Chiesa di casa nella povertà delle masse, e nell’ospitalità – mai discriminante – della speranza.

E tuttavia non è questa l’immagine che noi “ecclesiastici” comunichiamo più chiaramente. C’è una brama di visibilità, di influenza, di diverse forme di potere (incluso, specialmente, il potere “spirituale”), di successo visibile, cosa che svilisce la gioia di accompagnare Cristo in povertà e umiltà. La Chiesa è stata molto restia ad aprire le proprie porte e a cambiare le proprie strutture in obbedienza allo Spirito di Cristo che le ha parlato nel Concilio Vaticano II. Per questo in Asia la Chiesa appare spesso incoerente, e produce talora stupore e disappunto. Se fossimo consapevoli della crisi che stiamo di fatto attraversando, riconsidereremmo il nostro stile, il nostro linguaggio, le nostre celebrazioni alla ricerca di una maggiore armonia.

L’Asia non riuscirà mai a comprendere come una Chiesa “umile” possa tanto facilmente trascurare “altre vie di salvezza” o giudicarle come “minori della nostra”. L’Asia, con i suoi santi e mistici, i suoi testimoni ed eroici fedeli non comprenderà mai come una Chiesa nata dal Vangelo e condotta dallo Spirito di Gesù Cristo possa praticamente ignorare la ricchezza religiosa delle altre religioni e la salvezza reale ed efficace che esse hanno portato a migliaia di generazioni. […]

Dobbiamo ritornare nel viaggio pasquale dello svuotamento di sé; è la sola possibilità che abbiamo di incontrare il Cristo sofferente nel povero dell’Asia, nelle vittime di millenni di terremoti, tsunami, oppressione e ingiustizia. Lo svuotamento di sé giunge fino ai nostri concetti, alle nostre teologie, alle istituzioni, ai mondi teoretici o devozionali. Aloysius Pieris parla di un nuovo battesimo nella religiosità asiatica, e della croce della povertà asiatica. […] Proprio come Gesù che “da ricco divenne povero così che potessimo partecipare della sua ricchezza”.

Prima daremo il benvenuto alla crisi, e ci muoveremo in compagnia dello “Spirito creatore”, meglio sarà.

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