Papa alla Cei: Chiesa lasci beni non necessari. E i preti “brucino sul rogo le ambizioni”

TRE giorni dopo la sua elezione, Francesco aveva invocato una “Chiesa povera e per i poveri”. Ora, davanti ai vescovi italiani riuniti in assemblea per discutere del rinnovamento del clero, il Papa dà un’indicazione ancora più precisa su come gestire le strutture e i beni economici ecclesiali: “In una visione evangelica – dice ai presuli – evitate di appesantirvi in una pastorale di conservazione, che ostacola l’apertura alla perenne novità dello Spirito” E poi raccomanda: “Mantenete soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio”.

Il discorso del pontefice arriva proprio nei giorni in cui verranno approvati dalla Cei i conti relativi all’otto per mille: un importo che in genere si aggira attorno al miliardo di euro, impiegato per supportare le attività di evangelizzazione e sovvenzionare opere di carità, ma finito in alcuni casi al centro di speculazioni e raggiri o dilapidato con operazioni finanziarie improbabili. Situazioni, queste ultime, che il cardinale Angelo Bagnasco, parlando a margine del Convegno di Firenze della Chiesa italiana, aveva definito “dolorosissime”. Bergoglio va oltre. E sottolinea che la discussione sulle riforme del clero non può può trascurare il capitolo del rapporto con il denaro.

E’ la terza volta che Francesco si trova ad aprire l’assemblea generale della Cei, sottraendo il privilegio della prolusione proprio a Bagnasco che, tra l’altro, vedrà scadere il prossimo anno il mandato che gli era stato rinnovato per un quadriennio nel 2013: a maggio 2017, secondo quanto disposto dai vescovi, che hanno ignorato l’invito di Bergoglio ad eleggere direttamente il loro presidente, i presuli di tutte le diocesi italiane si troveranno a votare la terna nella quale sarà poi il Papa a scegliere il successore dell’arcivescovo di Genova.

Nel frattempo, però, la Chiesa scossa da numerosi scandali, mette mano ai problemi del suo presbiterato, coinvolto in numerosi scandali e spesso alle prese con problematiche diverse rispetto a quelle per le quali è stato preparato: dalle infiltrazioni mafiose ai nuovi contesti familiari. Lo ribadisce anche il Papa nel suo discorso: il contesto culturale nel quale opera un prete, dice Francesco, è “molto diverso da quello in cui ha mosso i primi passi nel ministero” e “anche in Italia tante tradizioni, abitudini e visioni della vita sono state intaccate da un profondo cambiamento d’epoca”. E aggiunge il pontefice: “Noi, che spesso ci ritroviamo a deplorare questo tempo con tono amaro e accusatorio, dobbiamo avvertirne anche la durezza: nel nostro ministero, quante persone incontriamo che sono nell’affanno per la mancanza di riferimenti a cui guardare. Quante relazioni ferite. In un mondo in cui ciascuno si pensa come la misura di tutto, non c’è più posto per il fratello”.

Bergoglio traccia invece il profilo del prete che vuole vedere operare nella Chiesa. E se a Firenze nel novembre scorso aveva evocato il modello del don Camillo di Guareschi, stavolta cita davanti ai vescovi la figura anonima di “qualcuno dei tanti parroci che si spendono nelle nostre comunità”: personaggio che descrive senza ambizioni di carriera e potere, “bruciate sul rogo” come fece Mosè. Lontano da “un intimismo religioso che di spirituale ha ben poco”, distante dalla “freddezza del rigorista” ma anche dalla “superficialità di chi vuole mostrarsi accondiscendente a buon mercato”. Non si scandalizza di fronte alle debolezze umane. Non un “burocrate” o un “anonimo funzionario dell’istituzione”; libero da una mentalità di un “ruolo impiegatizio” e da quella dei “criteri dell’efficienza”. Il prete, aggiunge il Papa, deve essere “semplice ed essenziale, sempre disponibile” e “credibile agli occhi della gente”, in una esperienza di vita “libera dai narcisismi e dalle gelosie clericali”. Ma soprattutto deve essere sganciato dal denaro.

repubblica.it

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