La dura eredità dei preti scomodi: la Chiesa bresciana e il futuro

La coincidenza degli eventi ci offre talvolta interessanti spunti di riflessione. È il caso della settimana che si è appena conclusa e che martedì ha riportato agli onori della cronaca – è il caso di dirlo – la figura di un prete risorgimentale e operaio: Lodovico Pavoni. Papa Francesco lo proclamerà presto santo dopo il riconoscimento di un miracolo avvenuto, per sua intercessione, in Brasile. E proprio il Sudamerica è uno dei luoghi dove il sacerdote bresciano, morto ai tempi delle X Giornate, è più venerato, lui che ha scelto di coltivare il suo carisma parlando di lavoro e di diritti in epoche difficili, credendo nella formazione professionale dei giovani in anni in cui esisteva solo lo sfruttamento. Temi sui quali Brescia vantò poi una grande tradizione con figure importanti di preti-santi come Arcangelo Tadini e Giovanni Battista Piamarta. Ma se i cattolici bresciani martedì hanno gioito per un nuovo santo, giovedì si sono sentiti tutti un po’ più soli per la scomparsa di don Piero Verzelletti, «campione» di misericordia, sacerdote di frontiera, scomodo e acuto come pochi. «Non mi era sufficiente la teologia, la filosofia, le teorie studiate in seminario: avevo bisogno di incontrare l’uomo reale, soprattutto quello che stava ai margini» aveva raccontato don Piero sul Corriere in un’intervista del dicembre 2014. E in quelle parole ci stava l’essenza di un impegno che lo aveva portato a lavorare in fabbrica (erano gli anni 70, quelli dei preti operai,degli scioperi e delle contestazioni) e a raccogliere le sfide sociali più aspre in tempi in cui l’eroina si portava via la meglio gioventù. Così don Piero, con altre «tonache di strada» come don Serafino Ronchi e don Redento Tignonsini, rappresentò in quegli anni la risposta pronta e tempestiva (i Sert pubblici si organizzarono anni dopo) della Diocesi bresciana a un flagello. Si interpretò a pieno quel ruolo oggi tanto caro a Papa Francesco che vuole una Chiesa aperta, capace di camminare nelle periferie. Sia Lodovico Pavoni che don Piero Verzelletti seppero, insomma, ciascuno nella propria epoca, essere testimoni di una Chiesa in grado di cogliere i bisogni della società, non timorosa di apparire scomoda e non facile alla resa. Viene da chiedersi se quell’eredità troverà interpreti all’altezza, entusiasti e «resistenti», per dirla con le parole di Fabio Corazzina in ricordo di don Piero sul Corriere. Basta ripercorrere le omelie del vescovo Luciano Monari ai suoi preti, le esortazioni a lasciarsi alle spalle sfiducia, stanchezza, debolezze, per capire che il dubbio non è peregrino e che quello che sta attraversando la Chiesa bresciana è un momento molto delicato.
corriere.it

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