Preti sposati. Dal Vaticano qualcuno (l’asse Piacenza – Bagnasco) ha chiesto agli episcopati di alzare uno sbarramento: cardinale ucraino risponde ai vescovi italiani

Il sito www.chiesa.espressonline.it ha dato notizia in ottobre di una richiesta fatta dai vescovi italiani ai vescovi dell’Ucraina di non mandare più in Italia, per seguire gli immigrati di quella nazione, preti sposati, come è tradizione che siano nelle Chiese di rito orientale.

La richiesta non è piaciuto affatto all’arcivescovo maggiore della Chiesa ucraina, in comunione con il Papa, cardinale Lubomir Husar.

Ecco che cosa ha detto il cardinale in un’intervista al mensile “30 Giorni” di novembre:

“I vescovi spagnoli e anche quelli italiani ci hanno scritto chiedendo di non inviare nei loro paesi dei coniugati come sacerdoti per la cura pastorale delle nostre comunità. Ma noi non abbiamo abbastanza sacerdoti celibi da inviare in servizio pastorale, ora che i fedeli della nostra Chiesa sono sparsi in tutto il mondo. Io comprendo le ragioni dei nostri confratelli vescovi in Occidente. Hanno paura di ciò che forse a loro appare come un cattivo esempio, visto che nelle loro Chiese su questo punto c’è dibattito. Bisogna tener conto dell’attaccamento alle forme culturali, ma esse non vanno assolutizzate. Si può spiegare con serenità che ci sono sposati che vengono ordinati preti non solo nella Chiesa ortodossa, ma anche nella Chiesa cattolica. Io vengo da una famiglia di sacerdoti. Mio nonno era sacerdote, molti miei familiari erano coniugati e sacerdoti. Alcuni ottimi, altri un po’ meno. Allo stesso modo, conosco sacerdoti celibi esemplari, e altri che non lo sono affatto. La qualità del prete non dipende dall’essere sposato o no. In alcuni casi, per uno che cerca di vivere la vocazione, avere una famiglia può essere anche un vantaggio. Ma non voglio essere scortese coi miei confratelli latini. Vorrei solo che i nostri sacerdoti anche in Occidente siano trattati con lo stesso rispetto con cui sono trattati i nostri fratelli sacerdoti ortodossi”.

In Italia sono tre le realtà di rito orientale erette canonicamente: oltre alla diocesi di Piana degli Albanesi in Sicilia c’è quella di Lungro in Calabria e infine l’abbazia di Grottaferrata vicino a Roma. Un progetto prevede la costituzione di un’unica Eparchia Orientale (sul modello di quelle costituite recentemente da Benedetto XVI per la Gran Bretagna e la Francia) che possa prevedere all’assistenza religiosa dei tanti cristiani di rito orientale soprattutto da Ucraina e Romania e che vivono in altre città italiane, privi, spesso della possibilità di mantenere le proprie tradizioni.

I preti cattolici di rito latino sono obbligati a essere celibi, quelli d’oriente, pur cattolici anch’essi, sono per la grana parte sposati per tradizione antichissima. Il tema è il celibato. Ma finché gli uni e gli altri se ne stanno nei rispettivi paesi d’origine, questo va bene a tutti. Appena i preti orientali sposati emigrano e si mescolano ai celibi, c’è chi entra in allarme. Così dal Vaticano qualcuno (l’asse Piacenza – Bagnasco) ha chiesto agli episcopati di alzare uno sbarramento e la Cei l’ha subito fatto. Sconsigliando ai vescovi orientali dei due Paesi di inviare sacerdoti sposati al seguito degli immigranti.

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