Una delibera taglia i fondi ai familiari delle persone affette da gravi disabilità e promette maggior interventi diretti. Ma è giusto?

La parola “caregiver” deriva da “I care”, il verbo preferito da don Lorenzo Milani. Significa prendersi cura di qualcuno, con un affetto profondo, proprio come quello dei “caregivers” coloro che si prendono cura dei propri familiari con disabilità, come i malati di Sla, ma non solo. Questa figura è stata finalmente normata e riconosciuta (anche economicamente) e soprattutto distinta dai professionisti che assistono i disabili. Ma il legame profondo che lega dei congiunti a un disabile non potrà mai essere equiparato a quello di un professionista. Diventa cruciale la collaborazione di queste due figure, che si compensano vicendevolmente, prendendo qualcosa l’uno dall’altro (la professionalità, l’affetto per il paziente).

Ma la delibera approvata dalla giunta lombarda a fine dicembre, confermata a maggioranza dal Consiglio regionale, disegna per il 2024 uno scenario diverso. Pare che tutto vada verso l’assistenza professionale, poiché migliaia di persone con disabilità grave o gravissima vedranno ridursi il sussidio per l’assistenza familiare, finanziato da risorse statali e regionali (da 750 a 400 euro al mese, quasi dimezzati). È giusto tutto questo? A nulla è valsa la protesta di tante associazioni e alle realtà del Terzo settore. Eppure il caregiver è una risorsa fondamentale e insostituibile, che ha bisogno di protezione e aiuto. Ora quelle famiglie che hanno in casa una persona con disabilità grave vengono messe in difficoltà. La Regione ha giustificato questa decisione ribattendo che il contributo economico tagliato verrà convertito in servizi erogati dai Comuni.  Ma l’assegnazione di “servizi” di Welfare non potrà mai sostituire il lavoro di cura e il prezioso capitale umano che le famiglie investono nell’assistenza ai propri cari malati.

Ma, a parte l’esigenza del disabile di avere un padre, una madre, un fratello, una sorella che lo assiste accanto a sé (e a riconoscere e supportare, anche economicamente, questa situazione) il piano “sostitutivo” di assistenza previsto – ma per ora si vedono solo i tagli ai sussidi –  non può essere sufficiente, perché tali servizi non possono coprire in modo adeguato i bisogni di una persona non autosufficiente. Il costo orario del personale messo a disposizione dalla Regione ai Comuni, per garantire assistenza igienico-sanitaria a una persona completamente paralizzata, tanto per fare un esempio, non copre nemmeno tre giorni al mese. E il resto dei giorni? Con quei contributi tagliati i caregiver pagavano privatamente terapie riabilitative piuttosto che personale di supporto (proprio in virtà di quella collaborazione necessaria cui abbiamo accennato), come un’infermiera o una badante, il cui costo con l’inflazione è notevolmente cresciuto nell’ultimo anno. Si va quindi in controtendenza. Il legislatore poi aveva sancito un altro principio di grande umanità: il riconoscimento del lavoro di cura dei nostri cari, che invece con la decisione della giunta lombarda ora viene in qualche modo mortificato. Su questi principi si è abbattuta la logica dei tagli lineari da parte di una Regione che non ha certo bisogno di risparmiare sulle persone non autosufficienti. Secondo i dati diffusi da “Confad” e “Nessuno è escluso”, il bilancio del 2023 della Lombardia si aggira sui 36 miliardi di euro, praticamente una legge di bilancio, eppure nonostante questa cifra, il Pirellone non ha saputo aggiungere i fondi che sarebbero stati sufficienti a scongiurare questi tagli. Sarebbero bastati 15 milioni di euro per far rimanere tutto come prima, una goccia nel mare per proteggere i cittadini più fragili e bisognosi di cure. Cos’altro viene prima nella lista delle priorità lombarde?

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