L’amore sboccia in canonica: la scelta di una vita coerente e limpida. La storia della donna di un prete sposato

L’amore sboccia in canonica

LA STORIA. Nella piccola frazione di Chia, in provincia di Viterbo, si era gridato allo scandalo per una presunta convivenza tra l’ex parroco don Giuseppe Serrone e una ragazza albanese, Albana Ruci. Oggi i due sono sposati, lui ha dismesso i panni di prete ed è il fondatore dell’associazione sacerdoti sposati. La moglie però vuole dire la sua e raccontare la storia da un altro punto di vista

Giovedì, 19 luglio 2012 – 11:27:00

La storia è venuta alla luce come quella di un amore clandestino consumato sotto il tetto della casa canonica di Chia, piccola frazione del comune di Soriano nel Cimino, in provincia di Viterbo. Una specie di scandalo di paese che ha travolto l’ex parroco di Chia don Giuseppe Serrone e Albana Ruci, una giovane ragazza albanese che venne ospitata nella canonica con il permesso del vescovo di Civitacastellana.

Oggi lui ha dismesso i panni del prete, ha chiesto la dispensa dagli obblighi del celibato e ha regolarizzato questa unione con un matrimonio, diventando il fondatore e il presidente dell’Associazione sacerdoti sposati e iniziando una battaglia per far accettare all’interno della Chiesa la comunità dei preti che si sposano e decidono di formare una famiglia.

 

Oggi i due sono sposati e la loro unione è stata riconosciuta come matrimonio religioso a tutti gli effetti. E oggi Albana Ruci, sua moglie, vuole ricordare la sua storia, quella di un rapporto di collaborazione con l’ex parroco per l’apertura degli oratori e dei centri estivi per i ragazzi. E dire la sua sullo scandalo che l’ha travolta e che periodicamente riaffiora.

“Venni ospitata presso la casa canonica con il permesso del vescovo Divo Zadi. Prima che io mi trasferissi nella casa canonica con mia madre don Giuseppe prese il suo letto ed andò a dormire in sacrestia, lontana dalla casa canonica 100 metri, sempre sotto il consiglio del vescovo che conosceva la situazione. Come donna non avevo bisogno di essere l’amante di don Giuseppe sotto il tetto della casa canonica, dato che don Giuseppe ed io eravamo grandi amici: non c’e realtà più umiliante per una donna di essere definita l’amante del prete, perché l’amore e la dignità dell’amore sono la forma più alta della conoscenza di Dio. E don Giuseppe, a quel tempo giovane teologo, non aveva proprio bisogno di spogliarsi di principi e valori per fare l’amore con una donna. La sua vita era piena di umanità”.

Quello che segue è la scelta di una vita coerente e limpida. Don Giuseppe si dimette e solo dopo aver riposto le vesti di parroco decide di convivere con la ragazza. “Dopo le dimissioni – racconta ancora la moglie – abbiamo inoltrato richiesta di dispensa dagli obblighi del celibato e subito regolarizzammo la nostra posizione con il matrimonio riconosciuto come matrimonio religioso dal Papa Giovanni Paolo II. Questo atto di matrimonio è pubblico. I sacerdoti con percorso regolare, come quello di mio marito, non hanno niente da nascondere alla verità per la loro vita alla ricerca dell’amore e di un limpido sentimento nel rispetto della figura di una donna, nel mio caso con problemi relativi all’immigrazione da regolarizzare. I veri uomini di chiesa non hanno bisogno di giustificare il rapporto tra il loro essere e il volto di una donna”

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