C’è chi ci prova: “L’8 per mille non destinato resti allo Stato e non alla Chiesa”

C'è chi ci prova: “L’8 per mille non destinato resti allo Stato e non alla Chiesa”

Tempo di dichiarazioni dei redditi, tempo di otto per mille, e dunque tempo di consuete polemiche. Su come i soldi dei contribuenti vengono poi effettivamente spesi, ovviamente, e sul meccanismo di distribuzione dei fondi. È di questi giorni, infatti, la notizia che sempre più soldi dell’otto per mille vengono destinati dalla Chiesa – che è la prima e incontrastata beneficiaria – per il sostentamento del clero, a danno delle attività caritatevoli per cui sono spesi solo 270 milioni di euro, meno di un terzo del totale raccolto.

Trova così argomenti persino migliori del solito, il deputato che propone di modificare il meccanismo di distribuzione dell’otto per mille. Di fare cioè ciò che pure la Corte dei Conti ha detto di ritenere opportuno, già nel 2015 , analizzando il sistema e arrivando a scrivere che la sua mancata revisione «ha contribuito ad un rafforzamento economico senza precedenti della Chiesa italiana».

Come noto, infatti, il meccanismo vigente è così facilmente sintetizzabile: la quota dell’otto per mille non destinata dal contribuente viene ridistribuita alla confessioni sulla base delle scelte espresse dagli altri contribuenti. E così nel 2014, ad esempio, la Chiesa cattolica si è aggiudicata circa l’82 per cento del tesoro, a fronte di solo un 38 per cento di reali indicazioni ricevute.Un bonus niente male, che fa passare il bottino da 485 milioni di euro a oltre il miliardo. Che è molto rispetto a quello che prendono gli altri beneficiari, le altre confessioni che hanno siglato l’intesa con lo Stato e che però comunque non restano a mani vuote: la Chiesa valdese, l’Unione delle Chiese metodiste, quella delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno, i Pentecostali, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, la Chiesa evangelica luterana, l’Unione cristiana evangelica battista, la Sacra arcidiocesi ortodossa, l’Unione buddhista italiana e quella induista.

Ecco allora la proposta del deputato Gianni Melilla, che siede nei banchi di Sinistra Italiana. Depositata il 12 maggio la proposta di legge chiede che la parte non direttamente destinata dal contribuente vada invece allo Stato, che se la dovrebbe tenere, «per finalità sociali». «È stata la Corte dei Conti», dice Melilla, «a ricordare al governo, che dovrebbe vigilare e invece non fa nulla, che il meccanismo finora adottato alimenta un “pluralismo confessionale imperfetto”». «È un problema serio», sostiene dunque Melilla, «e non solo perché vengono così tolte risorse preziose, in un momento di tagli, che si potrebbero spendere in servizi». «La cosa incredibile», continua il deputato, «è che pare che a nessuno interessi, come se parlassimo di pochi soldi. Lo Stato avrebbe a disposizione oltre 700 milioni di euro che sono molti di più, per dire, di quelli del finanziamento pubblico ai partiti su cui pure ancora si dibatte moltissimo. A me sembra assurdo, invece, che ai partiti ormai sia dia poco più – in tutto 15 milioni – dei 12 che incassano i soli Avventisti. E parlo da cattolico praticante».

Che la proposta possa però diventare legge è difficile. Melilla non è infatti né il solo né il primo a provarci. Già Giuseppe Civati, l’ex dem ora fondatore di Possibile, in questa legislatura ha suggerito di modificare l’otto per mille indicando come finalità il contrasto alla povertà. Lo ha fatto, Possibile, con un disegno di legge dal titolo “Disposizioni concernenti la disciplina del finanziamento di attività religiose e caritative della Chiesa cattolica e di altre confessioni religiose e del sostentamento del clero”, primo firmatario il deputato Andrea Maestri. Ed è più avanti, il disegno di legge di Maestri, già assegnato alla commissione Affari costituzionali, ma anche per questo sui tempi non si può dire: «Io sono però fiducioso», dice Maestri, «perché questa legislatura l’otto per mille torna molto, anche negli interventi di forze meno caratterizzate di noi sul tema della laicità». «I 5 stelle», continua ad esempio il deputato, «più volte hanno indicato quello come il bacino da cui prendere i fondi per l’edilizia scolastica».

Potrebbe dunque esserci un fronte largo in parlamento – ma diverso dalla maggioranza di governo – consapevole che sarebbe potere dello Stato persino modificare, con la revisione triennale che mai è stata fatta, la percentuale indicata della legge, scendendo dall’attuale otto per mille al sei, come suggerisce l’Uaar . Questo perché ogni anno la cifra aumenta all’aumentare del reddito degli italiani, tant’è che rispetto ai 290 milioni elargiti alle confessioni nel 1990 ormai siamo a sei volte tanto. Senza toccare la percentuale, comunque, lo Stato potrebbe, come propongono i due progetti di legge, tenersi i soldi di chi non spunta nulla – che sono poi la maggioranza degli italiani visto che solo il 42 per cento dichiara una qualche preferenza.

E infine il Governo potrebbe poi, senza attendere nessuna legge, farsi pubblicità, come fanno le confessioni, raccogliendo così più del misero 15 per cento che adesso raccoglie dal calderone dell’Irpef, grazie ai contribuenti che spuntano l’opzione che destina i soldi espressamente allo Stato che li usa, ad esempio, per il restauro del patrimonio artistico o, appunto, per l’edilizia scolastica come da regolamento modificato nel 2013 e applicato nel 2014.

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