Sui preti sposati ancora chiusure teologiche non bibliche

L’articolo in basso ripropone tesi apologetiche e non ancorate biblicamente per cancellare la questione dei reti sposati nella Chiesa. Il teologo Valerio Mauro trascura dati storici e teologici rilevanti (ndr).

Vorrei riportare alla ribalta una questione che credo sia stata trattata molte volte. Mi riferisco alla possibilità che anche i sacerdoti cattolici si sposino, come i loro «colleghi» ortodossi e protestanti. Si potrebbe magari riservare ai non sposati la possibilità di diventare vescovo, come avviene tra gli ortodossi. Siccome anche nella nostra Chiesa non sempre c’è stato il celibato sacerdotale, si potrebbe rispondere così non solo alla carenza di vocazioni ma anche a eventuali mancanze di affettività che possano sfociare in scandali anche molto gravi.
Risponde padre Valerio Mauro, docente di teologia sacramentaria
La domanda della lettrice sull’opportunità di preti sposati anche nella Chiesa cattolica chiede una risposta che tenga conto delle varie questioni in gioco. Lei stessa ne accenna ad alcune, quali venire incontro alla carenza di vocazioni e una migliore stabilità affettiva nei ministri ordinati. Una risposta esauriente richiederebbe ben altro spazio di quello riservato a questa rubrica. Proviamo, tuttavia, a precisare meglio i contorni di una realtà che non cessa di interrogare molti fedeli. La possibilità o meno di ministri sposati nella Chiesa richiede risposte e motivazioni sia da un punto di vista propriamente teologico sia da quello pastorale e normativo. In ambito sacramentale il Signore Gesù ha lasciato pochissime indicazioni particolari, lasciando alla Chiesa sua Sposa l’autorità di stabilire parole e gesti necessari per celebrare i riti dei singoli sacramenti. Quest’opera di discernimento avviene sotto l’azione dello Spirito che guida la Chiesa alla verità tutta intera, aiutandola a scoprire lungo la storia come obbedire alla volontà di Cristo per il bene dell’umanità. In questo cammino di fede alcune decisioni appaiono definitive, anche se non hanno ancora ricevuto una formale conferma magisteriale. In esse si esprime la grande Tradizione della Chiesa, serva della Parola di Dio e responsabile della sua attuazione nella storia. Appartiene a questa Tradizione la consapevolezza che i ministri ordinati non possano sposarsi. Invito a prestare attenzione alle parole: si tratta di coloro che sono già ordinati, diaconi, presbiteri o vescovi. Questa Tradizione è condivisa da cattolici e ortodossi. Per il mondo legato alla Riforma del XVI secolo occorre precisare come la diversa interpretazione della persona dei ministri richiede di non considerarli in questo specifico confronto teologico. Quindi secondo la Tradizione non può darsi che «anche i sacerdoti cattolici si sposino, come i loro “colleghi” ortodossi e protestanti».
Una situazione diversa, invece, è l’ordinazione di persone sposate, come avviene nelle Chiesa orientali, sia ortodosse che cattoliche. Infatti, anche nella Chiesa cattolica le comunità di rito orientale conservano la tradizione di ordinare uomini sposati, sia al diaconato che al presbiterato. Anche qui, in sintonia con le Chiese ortodosse, vengono scelti come vescovi solo presbiteri celibi. Come la lettrice ricorda, la tradizione di riservare l’ordinazione presbiterale a uomini celibi si è diffusa nella Chiesa cattolica latina col tempo e attraverso varie decisioni magisteriali. Qual è il valore di questa riserva che si è imposta nel tempo? I teologi ne discutono, a volte con affermazioni perentorie che mi lasciano personalmente perplesso. Certamente decisioni di questo peso non possono non avere un fondamento teologico. D’altra parte, mi sembra onesto riconoscere come una storia così complessa e diversificata sia dovuta anche a motivazioni pastorali, che possono subire cambiamenti nel corso dei tempi, come di fatto è avvenuto. Una prima considerazione deve essere messa sul piano del dibattito teologico. Non si possono pensare diversi gradi della figura presbiterale, dipendenti dalla situazione esistenziale delle persone. In parole più chiare, non si può pensare un sacerdozio di serie B o di serie A, a seconda che il prete sia sposato o celibe. Il dono dello Spirito è uno solo e impegna la persona a dedicarsi al servizio della fede dei fratelli. Certamente, la modalità con cui può avvenire questo servizio dipende molto dalla situazione esistenziale dei ministri. La figura del prete cattolico latino è mutata lungo i secoli, ma ha assunto una sua forma caratteristica per via del celibato al quale è stata legata. I sacerdoti sposati secondo il rito orientale vivono il loro ministero in una forma diversa, ma in una dedizione ai fedeli loro affidati altrettanto valida e onorevole. Si potrebbe recuperare nella Chiesa cattolica latina la possibilità di ordinare al presbiterato anche uomini sposati, come avviene già per il diaconato? Da un punto di vista canonico è possibile. I teologi ne discutono, con posizioni diversificate che valutano in modo diverso la Tradizione che ci ha condotto a questo punto.
La lettrice invita anche a riflettere sulle conseguenze che deriverebbero dall’apertura di un’ordinazione a uomini sposati: un rimedio alla carenza di vocazioni e una stabilità affettiva, che i ministri riceverebbero dalla loro realtà coniugale, evitando così degenerazioni e delitti che purtroppo conosciamo bene. Certamente si tratterebbe di conseguenze possibili, ma non così decisive come potrebbe sembrare. Prima di tutto l’ordinazione di uomini sposati dovrebbe avvenire quando avessero mostrato stabilità nel matrimonio, cura nell’educazione dei figli, vita sociale degna di stima. Così invita a fare la Scrittura (cf 1Tim 3,1-13). Secondo la grande Tradizione sono questi uomini, degni di stima per il loro stile di vita (viri probati), che potrebbero essere ordinati presbiteri. In secondo luogo, siamo così sicuri che una vita coniugale metterebbe al riparo da scandali e delitti compiuti dai ministri della Chiesa? Purtroppo, le cronache riportano troppo spesso violenze contro donne e bambini compiute nell’ambito familiare. Mi sembra di poter affermare come il vero problema sia la persona, nella sua capacità di vivere le relazioni in modo sano e ordinato. Deviazioni e abusi sono compiuti da uomini celibi o sposati. Ringraziando Dio, nella Chiesa non vi è solo spazio per abusi e delitti, ma anche una diffusa dedizione coraggiosa. Quanti sacerdoti vivono il loro ministero nel celibato con fede operosa e dedizione di carità sincera.
Queste poche parole non pretendono di avere risposto in modo esauriente alla domanda della lettrice. Non avrebbero potuto vista la connessione della questione con molti altri aspetti della vita ecclesiale, una vita ecclesiale chiamata a rispondere alle necessità del popolo di Dio. Credo, infine, che possiamo rinnovare la nostra fiducia nello Spirito che soffia dove vuole, che guida la Chiesa, che la conduce a scoprire e realizzare la volontà del suo Signore. Possiamo farlo con spirito di fede e in comunione di preghiera, ognuno secondo i carismi ricevuti, nella comprensione sempre maggiore della Parola di Dio, come il Concilio ci ha ricordato con autorevolezza: «Questa Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con l’intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio» (Concilio Vaticano II, Dei Verbum, 8).

fonte. Toscana Oggi

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