Don Marco Pozza e gli auguri per le nozze di Matano: “Ho benedetto animali e bar, celebrato il funerale di Bilancia. Pregare per due amici gay invece non va bene?”

Parla il Prete, Cappellano del carcere di Padova e volto noto in tv, travolto da polemiche social e messaggi hater dopo un suo post per l’unione civile del giornalista Rai con Riccardo Mannino. «Ho solo gioito della felicità di un amico»

La Stampa

«Non posso gioire della felicità di un amico? Gente siate umani: non basta andare in Chiesa per essere tali». Don Marco Pozza, teologo e cappellano del carcere Due Palazzi di Padova, volto noto della tv in particolare per i programmi-interviste che ha condotto con papa Francesco, ha replicato così alle centinaia di proteste, insulti e critiche per avere «benedetto» un matrimonio gay. Nella pagina Facebook «Sulla strada di Emmaus» aveva scritto «un grande abbraccio e una preghiera per il mio amico Alberto Matano nel giorno del loro matrimonio. Che la vita vi sorrida!». Il prete veneto ha poi sostituito la parola matrimonio con unione civile.

Come è andata la vicenda?

«Quando vedo una persona amica vivere un momento di felicità personale, a prescindere se i motivi di quella felicità io li condivida o no, a me piace congratularmi e farmi sentire vicino. Quel post è l’augurio che mi è nato dal cuore nei confronti di un amico, Alberto, che si è unito civilmente con Riccardo. Mi è scappata la parola “matrimonio” che ho subito corretto appena mi è stato fatto presente (con garbo). Ma il cuore del mio messaggio non cambia: “Oggi, pur non essendoci fisicamente, ci sono col cuore. Perché vi voglio bene!”. Tutto qui, con semplicità».

La accusano di avere «benedetto un’unione peccaminosa»…

«Mi minacciano perché ho fatto una preghiera e ho dedicato un pensiero per Alberto e Riccardo: non ho benedetto alcuna unione, nemmeno usato la parola “benedizione”. A costoro dico che, da sacerdote, sono stato chiamato a benedire le stalle con i maiali, le oche e le anatre. Bar che, il giorno dopo, hanno indotto al gioco dell’azzardo, mettendo sul lastrico famiglie intere. Ho celebrato, ed è stata un’esperienza spirituale delicatissima, il funerale cristiano di mio “fratello Caino”, il signor Donato Bilancia: 17 omicidi dei quali solo Dio sa se si è pentito oppure no. Io stesso sono frutto della misericordia di Dio (e di tante persone). Pregare per due amici omosessuali, però, no: anatema!».

Con quale stato d’animo vive queste ore in cui è bersagliato?

«Guardi: da ciclista sono abituato al vento contro e agli insulti degli automobilisti. In carcere, poi, l’insulto è una grammatica che si usa assai. Provo tenerezza, davvero, per un certo cristianesimo da “posto prenotato in paradiso”. Poi, a dire tutta la verità, mi hanno fatto del bene questi attacchi: sentirmeli addosso mi ha fatto percepire, decuplicando le misure, di quali resistenze si sta facendo carico il nostro amato Papa Francesco. L’amicizia spirituale cresce anche condividendo gli insulti!».

Allargando lo sguardo, questa vicenda che cosa testimonia sulle dinamiche nel recinto cattolico?

«Un’immensa difficoltà a mettersi in relazione con il diverso, con chi cerca Dio e la sua felicità per strade che noi non condividiamo. Abituati a fare l’adorazione perpetua delle regole h24, ci siamo persi un piccolo particolare: che il vero “Giudizio Finale” sarà sul capitolo 25 di Matteo (quello dedicato all’amore per il prossimo), non su altro. Con il rispetto per ciò che il Catechismo ci trasmette. Invece che tanti piani di evangelizzazione forse dovremmo tornare, prima, a un piano di umanizzazione interna al cristianesimo».

Lei è una persona vicina a Bergoglio: pensa che questo c’entri con le contestazioni?

«C’è tutto un mondo, interno ed esterno alla Chiesa, che non accetta Papa Francesco, sin dal giorno dell’annuncio del Conclave. Io, a Papa Francesco, devo tantissimo, per non dire tutto per quanto riguarda la ricostruzione della mia anima. Se sono attacchi perché gli voglio bene, si tranquillizzino pure: non pareggeranno mai la grazia di poter vivere accanto a un profeta che, per gli ultimi, ha le sembianze trasparenti di Gesù di Nazareth».

Lei che cosa pensa dell’accoglienza della Chiesa nei confronti delle persone omosessuali?

«Il problema non è la Chiesa, è la “teologia dei post”».

Che cosa intende?

«Per quanto riguarda la misericordia cristiana, sembra ci siano tre gradi di giudizio: Facebook, Twitter, Instagram. La gente non ha voglia di mettersi in discussione, di capire che la fede o plasma la vita o è pseudo-fede. Ammiro quei confratelli preti che lavorano con le persone omosessuali, che sanno accompagnarli con discernimento. La prima volta che ho incontrato fratelli gay è stato nel carcere: vederli doppiamente discriminati, è stato motivo per volerli conoscere meglio. Amandoli, perché non si può capire Dio, e i suoi segreti misteri, se prima non lo si ama nelle creature».

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