Diario di un parroco di campagna. Un’antologia scava tra gli scritti e le letture di don Mazzolari

A scavare fra le parole e gli scritti di don Primo Mazzolari si scoprono radici che attingono la loro linfa nella conoscenza dei più recenti o dei classici autori di ispirazione cristiana, da Bernanos a Chesterton, da Maritain a Unamuno, da von Ketteler a Mauriac, da Guardini a Barth, nella loro passione civile o nella ricerca religiosa. Questo retroterra culturale la dice lunga sul fascino esercitato dal parroco di Bozzolo, una cui antologia è ripresentata oggi ne In cammino sulle strade degli uomini (Ave editrice, Roma 2012, pag. 336, 16 euro).
Il volume, curato da Anselmo Palini, si raccomanda anche per il meritorio corredo di note (una trentina di pagine a caratteri minuti). Chiariscono, e talvolta svelano, la nascosta ricchezza di letture di un prete di campagna capace di andare oltre il provincialismo ecclesiale papiniano o giuliottiano, che godeva all’epoca del favore ufficiale, per proiettarsi in una dimensione europea. Si tratta delle stesse opere, va rammentato, alle quali, all’inizio degli anni ’40, si alimentavano in Germania, con la frequentazione di autori messi al bando, i giovani martiri della Rosa Bianca. Le fonti e gli scritti sono i medesimi, per loro e per Mazzolari.
Il libro raccoglie gli articoli pubblicati su settimanali diocesani e bollettini parrocchiali, su riviste di cultura; comprende alcuni ricordi di caduti della Resistenza (i due bei ritratti di Teresio Olivelli ed Emiliano Rinaldini) e le polemiche “politiche” (fra le quali quelle che gli costarono l’ingiunzione al silenzio); ripropone i discorsi, le commemorazioni e alcune omelie (bellissime quelle della missione di Edolo). Ma ciò non significa un’effusione di linguaggio clericale, anzi dimostra il controllo espressivo e la padronanza degli argomenti: come in occasione dello scontro con Guido Miglioli, il rappresentante della sinistra cristiana filocomunista, senza abbandoni all’invettiva, ma con un cristiano rispetto dell’interlocutore che non garbò a tutti.
Proprio prendendo spunto da questo libro (e tenendo conto dell’uscita anche recente di altri contributi sul personaggio) si potrebbe sollecitare un’attenzione accademica, attraverso qualche suggerimento di tesi di laurea, allo sviluppo delle tematiche culturali: la ragionata opposizione non tanto nascosta al fascismo, la ricchezza del personalismo cristiano (con corredo di citazioni di Maritain che non tutti conoscevano), l’adesione alla Resistenza, l’insistenza sul valore evangelico della pace tout court.
Lo stesso linguaggio di don Primo si è andato via via affinando nel tempo e, senza mai perdere la sua carica profetica, ha conquistato traguardi anche letterariamente pregevoli: basterà citare i due articoli pubblicati sul quotidiano L’Italia circa i “Lineamenti spirituali della nuova intelligenza cattolica” attorno ai «nostri torti di ieri» e ai «nostri doveri di domani». Sono del novembre 1941, attestano un inusitato coraggio politico, una visione in prospettiva e, ripetiamo, una solida cultura di fondo.
Tuttavia non bisogna mai dimenticare che il pregio maggiore della raccolta (lo rammentano in appendice alcuni contributi dopo la sua morte) sta sempre nella sincerità evangelica che anima don Mazzolari, sacerdote, parroco, pastore, testimone. Lasciamo stare i postumi riconoscimenti, l’acquisita consapevolezza che si tratti di un anticipatore dell’aggiornamento conciliare, accanto al ricordo dei ripetuti rimproveri istituzionali di disobbedienza.
Se Giovanni XXIII lo proclamò «la tromba dello Spirito santo della Bassa mantovana», e sulla scia di questa dichiarazione ci fu una generale corsa (anche da parte di chi lo aveva sanzionato) alla riabilitazione, resta la constatazione che tuttora le sue parole suonano amare e attuali, e che ancora oggi molti, nel gregge, potrebbero rispecchiarvi mancati riconoscimenti di responsabilità, tiepidezze e viltà.
Don Mazzolari sapeva pagare di persona. Durante il regime, nel duro periodo della Resistenza, al tempo della recuperata democrazia e della ricostruzione, nella critica contemporanea all’opportunismo/ affarismo dei tempi nuovi, nell’opporsi alla violenza delle proposte rivoluzionarie e all’acquiescenza dei «compagni di strada» (come nel citato confronto con Miglioli).
E, sempre, con l’appassionata difesa degli ultimi, dei poveri, dei suoi contadini; con la pietas per i “lontani”. A qualche istituzione, anche ecclesiale, non andava a genio il tono vivace con cui chiamava in causa una borghesia e un padronato incollati ai propri egoismi e all’ufficialità del potere. La politica non gli perdonava la strenua difesa della pace, contro tutti i conformismi di “guerre giuste”, di alleanze militari e di corse agli armamenti.
Alcune prediche e omelie potrebbero oggi dai pulpiti essere lette tal quali. Con tutta la carica di verità e senza chiamarsi fuori da una comune attribuzione di colpa; con interrogativi che interpellano tutti, in primis lui stesso che li propone. In una misura di umiltà che ha come referenti Agostino e Pascal, non soltanto letti ma vissuti.
Angelo Paoluzi – europaquotidiano
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