Senza i preti sposati la Chiesa non è veramente cattolica

“In un palazzo di Leopoli, in Ucraina, vivono due famiglie cattoliche, una di rito latino, l’altra di rito greco, entrambe hanno un figlio seminarista. I futuri sacerdoti, che da bambini erano compagni di scuola, una sera d’estate, mentre sono in vacanza, escono insieme per bere una birra e conoscono in un pub due ragazze di cui si innamorano. Ma quando tornano a casa e si confidano sul sentimento sbocciato nei loro cuori, e ognuno lo fa ovviamente con i propri genitori e fratelli, la famiglia di rito greco festeggia e l’altra famiglia piange”.

Lo raccontò ai suoi confratelli vescovi di tutto il mondo, riunti in Vaticano per il Sinodo, un uomo anziano e saggio, la cui vastissima cultura e profonda umanità erano da tutti riconosciute, il cardinale Lubomyr Husar, l’arcivescovo emerito della chiesa greco-cattolica in Ucraina, scomparso alla fine di maggio a 84 anni di età. Con quest’episodio, se non vero almeno verosimile, il porporato voleva sottolineare la difficoltà che indubbiamente esiste, nell’unica Chiesa Cattolica, di comprendersi tra i fedeli delle diverse tradizioni. Eppure, diceva, cattolico vuol dire universale e non si può esserlo se non si rispettano i diversi riti e tradizioni, la cui presenza rende la Chiesa veramente universale.

Mentre l’Ucraina intera piange per la morte di uno dei suoi figli più illustri, strenuo difensore del suo popolo nelle controversie politiche e diplomatiche con la Russia, sfociate poi in un conflitto militare dal quale si era dissociato, anche fuori dai confini del suo Paese, in  molti stanno rendendo omaggio a Husar, che aveva trasferito la sede da Leopoli a Kiev, per atto di omaggio all’indipendenza nazionale.

Monaco studita, per molti anni era stato superiore del Monastero di San Josafat a Castelgandolfo, la sua vocazione era dunque celibataria. Da bambino, nel dopoguerra, era emigrato con la sua famiglia in Usa: suo padre e suo nonno erano preti sposati e lui ha difeso con fierezza la santità delle famiglie sacerdotali, denigrata in Vaticano durante i lavori di più di un Sinodo. A farlo insorgere era stato in particolare un intervento dell’allora segretario di Stato Angelo Sodano, che aveva descritto i preti sposati come meno disponibili dei preti celibi riguardo alle esigenze delle comunità loro affidate.

Preti martiri con le loro mogli

Lo stesso cardinale Husar aveva ottenuto da Giovanni Paolo II la beatificazione, il 27 giugno 2001, tra 25 martiri della Chiesa greco-cattolica ucraina perseguitata da Stalin, anche di alcuni preti coniugati e padri di famiglia, come da tradizione nelle ChieseOrientali, anche cattoliche. Il primo di essi in ordine di decesso, Leonid Fedorov, era in realtà di nazionalità russa e non ucraina, ma la sua causa di beatificazione, iniziata per prima, fu poi aggregata a questo gruppo in quanto a quel tempo anche l’odierna Russia dipendeva dal metropolita con sede a Leopoli.

E sono in corso altre cause relative a martiri del regime comunista nell’ex Unione Sovietica, una delle quali, denominata “Pietro Mekelyta e 47 compagni”, comprende anche il sacerdote Anatolii Hurhula e sua moglie Irina Durbak. In un telegramma indirizzato a Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, attuale arcivescovo maggiore, Papa Francesco ha ricordato lo straordinario impegno di Husar per la “rinascita della Chiesa Greco-cattolica ucraina”.

Ricordo, si legge nel testo, “la sua tenace fedeltà a Cristo, nonostante le privazioni e le persecuzioni contro la Chiesa, come anche la sua feconda attività apostolica per favorire l’organizzazione dei fedeli greco-cattolici discendenti dalle famiglie forzatamente trasferite dall’Ucraina occidentale”, nonché “il suo sforzo di trovare vie sempre nuove di dialogo e di collaborazione con le Chiese ortodosse”.

Ma Husar non è stato l’unico metropolita orientale a battersi in Vaticano  in difesa dei preti sposati. Intervenne al Sinodo sull’Eucaristia del 2005 ad esempio Sua Beatitudine Gregoire Laham, allora patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti, replicando polemicamente al cardinale Angelo Scola, relatore generale, che aveva chiuso ogni spiraglio alla revisione della disciplina canonica sul celibato dei preti.

“Nella Chiesa orientale sono ammessi i preti sposati e inoltre il matrimonio è simbolo dell’unione di Cristo con la Chiesa”, aveva affermato.  Anche al Concilio Vaticano II un patriarca greco-melchita, Maximos IV, aveva chiesto l’abolizione del celibato sacerdotale, ma Paolo VI proibì che tale argomento fosse posto in discussione.

Una realtà significativa, non solo nei riti orientali

Le statistiche non precisano il loro numero, ma si calcola che nella Chiesa cattolica i preti sposati regolarmente ammessi a celebrare si avvicinino ai 4 mila. Su un totale, in tutto il mondo, di 260 mila preti diocesani. La gran parte di questo preti sposati sono di rito orientale. Nella sola Ucraina, ad esempio, se ne contano circa 1.800. Anche in Italia ci sono infatti le diocesi di rito greco albanese in Calabria (a Lungro) e in Sicilia (a Piana degli Albanesi) che hanno clero sia celibe che sposato

Mentre grazie a un provvedimento di Benedetto XVI gi ordinariati anglo-cattolici in Gran Bretagna, Australia e in Nordamerica contano parecchie decine di preti che esercitano il loro ministero abitando le canoniche con moglie e figli.

Infine c’è il caso della Slovacchia e della Repubblica Ceca dove  negli anni del regime comunista la Chiesa cattolica clandestina si era dotata di numerosi preti e vescovi sposati di rito altino che sono stati fatti passare negli ani ‘90 al rito orientale mentre ai vescovi con moglie e figli è stato chiesto di limitarsi a svolgere le funzioni di semplici preti, così come i vescovi anglicani passati al cattolicesimo vengono riammessi al ministero come semplici sacerdoti conservando in qualche caso la potestà di ordinario, cioè di capo della diocesi, pur non potendo ordinare preti e vescovi.

Il Sinodo dell’Amazzonia

Completa il mosaico di una diversità di tradizioni in merito al celibato dei preti cattolici la situazione dell’America Latina, dove in Chiapas e Amazzonia la vita della Chiesa e affidata a ministri sposati (ma non ancora ordinati preti). Papa Francesco ha recentemente annunciato ai vescovi del Perù la sua intenzione di convocare un Sinodo dell’Amazzonia che, sottolinea il blog specializzato Terre d’America, “non potrebbe eludere è quello dei ministri ordinati locali, sposati o meno, abilitati ad impartire i sacramenti e guidare le comunità”.

Una indicazione che già può essere acquisita è che debbano essere identificati direttamente dalla loro comunità e affiancati dai vescovi. Si tratta di una strada che va imboccata con convinzione da cui dipende una presenza capillare dei sacramenti e dell’insegnamento cristiano. Una maniera diretta di affrontate anche l’invadenza sempre più massiccia degli evangelici neo-pentecostali.

Don José Albuquerque de Araújo, vescovo di Manaus (Stato di Amazonas), ha affermato in proposito che “il pastore evangelico ha una sua famiglia ed è vicino alla persona in difficoltà nella situazioni più periferiche, è subito al suo fianco se sorge qualche problema”. Un punto di forza che secondo il vescovo deve essere imitato: “In certi luoghi, aspettare che siano le persone a cercarci è un metodo che non funziona”. Secondo il presule, “dar forza ed autonomia ai ministri ordinati locali certamente sarebbe d’aiuto in questo processo, renderebbe la Chiesa più dinamica e ‘in uscita’, come vuole Papa Francesco”.

Agi

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