Religioni. Cinque simboli

Colori, profumo di spezie, una musica leggera e travolgente. Siamo al Gurdwara, il tempio sikh di Sabaudia, punto di riferimento e di ritrovo per migliaia di sikh che vivono qui. Uno scorcio di India che rompe tutti gli schemi della rigida architettura fascista della città. Ogni domenica è una festa, “una festa aperta a tutti – dice fiero e sorridente Harbhajan, il custode del tempio – qui preghiamo e mangiamo, uomini, donne e bambini. Tutti insieme e anche voi siete nostre ospiti!”. La religione sikh, sorta in India nel XV secolo, si differenza dall’Induismo e dall’Islam anche se è stata influenzata da entrambe.

“Il Gurdwara è per noi il simbolo della fine delle caste, qui un ricco e un povero mangiano insieme, seduti uno accanto all’altro” spiega sempre Harbhajan. Qui si mangiano verdure fritte, dolci fatti di miele, un pane friabile e molto fino. Tutti sono vegetariani perché la religione vieta di mangiare carne, bere alcool e fumare. Combattere il male è la regola sui cui si basa la vita dei sikh che indossano sempre cinque simboli – le cinque K – che aiutano il fedele nel suo cammino verso il bene. Il kharna, un braccialetto di ferro che i sikh portano sul polso destro, è uno di questi.

“Vedete questo bracciale – dice Singh Gurpreet, il giovane che aveva il sogno di diventare ingegnere e si è ritrovato a fare lo schiavo a Sabaudia –, noi sikh lo portiamo perché così Dio ci ricorda che con queste mani non si devono commettere atti ingiusti”. La fedeltà coniugale è un altro valore basilare e gli uomini indossano delle calze – kashera – che servono a rammentare loro il vincolo esclusivo che hanno con le spose. Persino il pugnale – kirpan – non ha nulla a che fare con la guerra. È un pugnale che ha un solo significato: essere sempre pronti a combattere il male. Questa comunità, forse per questo, sembra convivere in modo naturale con la rassegnazione a una vita di soprusi e vessazioni. Così, nonostante siano passati anni da quando vivono in Italia, i lavoratori indiani difficilmente denunciano i padroni e i caporali.

“Oltre alla religione c’è però anche la paura. Paura che prende il sopravvento anche quando il lavoratore denuncia il padrone – spiega Omizzolo –, per questo in molti casi le denunce vengono ritirate”.

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