Neomessa in latino, i primi contraccolpi

di MAURIZIO DI GIACOMO

Per la prima volta da quando Bendetto XVI con un suo motu proprio ha sancito il ritorno facoltativo alla celebrazione della messa in latino, un elemento di spicco dell’apparato vaticano è intervenuto per dire che c’è qualcosa che non và. Il segretario della congregazione per il culto divino e i sacramenti mons. Albert Malcolm Ranjith, originario dello Scri Lanka, ha parlato di ”crisi di disobbedienza verso il Santo Padre” e di ”resistenza di taluni” alle nuove norme.

Nulla di nuovo sotto il sole, appena domenica 11 novembre a Roma, alla Casa Tra Noi, un vescovo cattolico di Campos (Brasile) ha detto apertamente che ”anche in Italia e in Brasile e in molte parrocchie ci sono resistenze al ritorno alla messa facoltativa in latino”. Si noti bene che quel vescovo ha preso la parola nel contesto della riunione internazionale della federazione di ”Una Voce”.

Si tratta di un organismo nato in Germania negli Anni Settanta e punto di riferimento di quei cattolici tradizionali sul piano della dottrina, ma aperti al dialogo con la Santa Sede, lontani dalle posizioni radicalizzate e scismatiche dei seguaci del vescovo francese mons. Marcel Lefebvre che sotto Paolo VI consacrò abusivamente alcuni vescovi. E circostanza interessante quel vescovo di Campos raccontò che le sue valutazioni nascevano da una serie di contatti all’interno della congregazione per il culto divino e della pontificia commissione ”Ecclesia Dei”, istituita da papa Wojtyla per tenere aperto il dialogo con i cattolici lefebvriani.

Ma c’è di più. Un mese e mezzo fa era girata la voce che Benedetto XVI volesse celebrare una messa solenne col rito latino in piazza San Pietro. Poi non se n’è saputo più nulla. Forse è slitatta all’inverno 2008. Una messa in latino forse a New York è prevista durante il suo viaggio negli Stati Uniti d’America nell’aprile 2008.

Un gesto che farà scalpore, ma una volta celebrata quella messa, quanti saranno i sacerdoti giovani americani capaci di celebrarla tutta in latino. In Italia il fronte di chi non è d’accordo si sta muovendo con molta finezza.

Le Edizioni San Paolo hanno stampato a 3 euro un opuscolo col testo in italiano e in latino della messa seccondo il rituale approvato da Giovanni XXIII nel 1962 e fatto proprio da Bendetto XVI. Ma sul mensile ”Vita Pastorale” del gruppo periodici San Paolo un vescovo, mons. Sebastiano Dho titolare di Alba (Cuneo) non ha nascosto i timori di una spaccatura all’interno delle comunità parrocchiali.

Benedetto XVI e i suoi più stretti collaboratori sembrano aver sottovalutato un dato decisivo: la messa e le altre funzioni celebrate nelle lingue nazionali ormai ha sedinentato a livello diffuso e molecolare un sentire rispetto al quale il ritorno al latino appare incomprensibile e anacronistico e che sottopone i seminaristi e i sacerdoti più giovani a ulteriori stress.

Certamente Benedetto XVI non farà marcia indietro, non è nel suo stile e non gli è consebntito. Tuttavia sulla messa in latino rischia un’ondata negativa molto vasta, analoga a quella che colpì Paolo VI allorché nel 1968 con l’Humanae Vitae interdì per i cattolici il ricorso alla ”pillola ”antifecondativa.

Chissà che nella Curia Romana ci sarà un cardinale ricco della libertà interiore di cui è ricco il francese Roger Etchegaray, abituato a parlare franco e senza calcoli che mostri a Benedetto XVI il passo di una conferenza del marzo 1965 (il Concilio Vaticano II non era ancora terminato) del poeta-corsaro Pier Paolo Pasolini apparsa nel settimanale ”Rinascita”.

Pasolini seguendo le mutazioni della lingua italiana nei suoi anni era giunto a proiettarsi in avanti ”La lingua del futuro sarà quella della pubblicità lungo le autostrade non il latino patrimonio di un numero sempre più ristretto di ecclesiastici…”. Pasolini certamente era ateo e un ‘diverso’ sul piano psicosessuale,un peccatore secondo i canoni della morale cattolica, ma non era privo della caratteristica di saper leggere in anticipo la realtà.

E quanto sta avvenendo a oltre 40 anni da quel suo scenario, intorno alla messa facoltativa in latino rafforza quella sua nota caratteristica . Senza contare che gli stessi lefevriani, in un’intervista, al quotidiano ”Il Riformista”, hanno fatto sapere che se non c’è la cancellazione formale dello scisma giunto a maturazione sotto papa Wojtyla, di riconciliazione con Benedetto XVI non se ne parla. fonte: agenziaradicale

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