Giordania, scrittore ucciso dopo aver condiviso vignetta anti-Isis

Nahed Hattar

AMMAN – Il giornalista e scrittore giordano Nahed Hattar è stato assassinato davanti al tribunale di Amman, dove si recava per essere giudicato su un caso molto controverso. Lo scrittore aveva condiviso su Facebook una vignetta che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto mettere in ridicolo i jihadisti dell’Isis e la loro visione dell’Islam. Invece, Hattar si è ritrovato a dover rispondere all’accuse di oltraggio alla religione, settarismo e razzismo. Hattar era atteso questa mattina dalla corte giudicante. Ma all’esterno del tribunale lo aspettava anche un uomo armato di pistola, che lo ha freddato con tre colpi, come riporta l’agenzia Petra. L’assassino è stato arrestato.

Hattar aveva condiviso la vignetta il 12 agosto. Nel disegno, siglato “M80” e intitolato “Il Dio del Daesh”, si vede Abu Saleh, ministro delle finanze dell’Isis ucciso da un raid americano nel novembre 2015, che ritrovandosi in una tenda a letto tra due donne, chiede a un Dio ossequioso di portargli un bicchiere di vino. La reazione sui social e nella società giordana era stata di grande risentimento. Lo scrittore si era visto attaccare in quanto “cristiano” e allo stesso tempo “secolarista”. Sorpreso, definendosi semplicemente “non credente”, Hattar aveva cercato di spiegare, ancora su Facebook, che sua intenzione era non di causare offesa ai musulmani ma di ridicolizzare la visione dell’Isis, ma anche della Fratellanza Musulmana, riguardo Dio e il paradiso.

I toni non si erano calmati. I fratelli musulmani, che in Giordania restano una forza politica oltre che un gruppo religioso, avevano diffuso un comunicato in cui invitavano il governo ad adottare misure drastiche contro chi diffonde materiale che mina l’unità nazionale. Sempre su Facebook, Hattar aveva allora aggiunto, “in quanto non credente”, di provare “rispetto per i fedeli che non comprendono la satira dietro la vignetta”.

Intanto, sulla vicenda si era attivata l’autorità giudiziaria. Contro Hattar era stato spiccato mandato di arresto già nella giornata di venerdì 12 agosto, lo scrittore si era consegnato spontaneamente alla polizia il giorno seguente. Interrogato, era dapprima stato trattenuto in detenzione preventiva, poi rinviato a giudizio a seguito di un’indagine voluta personalmente dal primo ministro giordano Hani Mulki. Alle iniziali accuse di aver alimentato divisioni, odio, settarismo e razzismo, il pubblico ministero Abdullah Abul-Ghanam aveva aggiunto quella di insulto a sfondo religioso, per aver diffuso “materiale inteso a colpire il sentimento e il credo religioso”.

Nahed Hattar era noto in Giordania come un intellettuale polemico e controverso. Era ad esempio un aperto sostenitore di Bashar al Assad e come il dittatore siriano definiva “terroristi” quanti si oppongono al regime di Damasco. Inoltre, Hattar era pubblicamente a favore del ritiro dei diritti civili e legali ai giordani di origini palestinesi. Per queste sue posizioni, il giornalista e scrittore si era più volte trovato a difendere le proprie opinioni in tribunale, ribattendo anche all’accusa di aver insultato lo stesso re di Giordania. Accanto a sè aveva sempre avuto l’avvocato Faisal al-Batayneh, ma questa volta, subito dopo aver assistito Hattar nell’interrogatorio sostenuto davanti al magistrato, il legale aveva scelto, “per ragioni religiose”, di non occuparsi personalmente del caso. Retromarcia che rende l’idea del clima che si era creato attorno alla vicenda.

“Quando ho appreso i dettagli – aveva dichiarato Batayneh – ho deciso che la mia coscienza e il mio impegno con la nobile Sharia (la legge islamica, ndr) non mi avrebbero permesso di continuare a rappresentare il signor Hattar”. L’avvocato aveva poi aggiunto che, pur considerando la pubblicazione della vignetta da parte di Hattar un gesto di grande insensibilità e un grave errore, le accuse contro il giornalista e scrittore poggiavano su basi deboli e sarebbero cadute. Soprattutto in un paese come la secolarizzata Giordania, che pur riconoscendo nell’Islam la religione ufficiale mantiene una stretta separazione tra Stato e credo.

Forse, ad armare la mano dell’assassino è stata proprio la convinzione che Nahed Hattar alla fine non avrebbe pagato.

repubblica.it

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