Sui preti sposati interviene la teologa Vantini: “credo che la vocazione presbiterale e quella matrimoniale siano del tutto compatibili”

Sui preti sposati interviene la teologa Vantini: credo che la vocazione presbiterale e quella matrimoniale siano del tutto compatibili

Calo delle vocazioni, la teologa Vantini: «Perché non aprirle a donne e preti sposati?». Il Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati commenta l’articolo di Francesca Visentin pubblicato su corrieredelveneto.corriere.it.

La chiesa e i numeri sempre più bassi, Lucia Vantini: «Ripensare le comunità»: per i preti italiani è fondamentale ripensare alla riforma del sacerdozio aprendo alla riammissione al ministero dei preti sposati.
Chiese da ripensare, seminari in dialogo con il mondo, maggiore presenza delle donne nei luoghi di decisione, ascolto reale delle nuove generazioni. Sulla riforma della chiesa ha le idee chiare Lucia Vantini di Verona, docente di Teologia e Filosofia all’Istituto di Scienze Religiose di Verona, presidente del Coordinamento Teologhe Italiane. Nel sinodo in corso, in cui ferve il dibattito sulla trasformazione, che si concluderà nel 2025 e da cui usciranno scelte concrete di riforme ecclesiali, la professoressa Vantini è una delle esperte del Comitato nazionale.
Professoressa Vantini, come valuta la crisi delle vocazioni e la mancanza di nuovi sacerdoti?
«Perché non aprire la parola “vocazione” a tutte le vite, senza attribuirla solo a chi decide di consacrarsi Dio? Sarebbe una buona premessa per pensare la comunità ecclesiale in modo inclusivo, senza cadere in chiave gerarchica. Così potremmo immaginare nuovi scenari: comunità guidate insieme, nelle differenze, comprese quelle che fanno più paura, come per esempio l’omosessualità. Questo ci invita a immaginare nuovi scenari, comunità inclusive guidate da persone diverse dai presbiteri: laici e laiche, religiosi, suore».
Il celibato dei preti può influire nella diminuzione dei sacerdoti?
«La stessa diminuzione si registra anche nelle altre chiese cristiane, dove chi guida una comunità può sposarsi. In ogni caso, credo che la vocazione presbiterale e quella matrimoniale siano del tutto compatibili: dunque perché non lasciare che anche i preti si sposino, se lo desiderano? In generale, si tratta di ripensare le forme della ministerialità come un servizio che chiunque può fare nel nome del suo battesimo».
Cosa pensa del diaconato femminile?
«Le diacone esistevano già dal III secolo e le loro ordinazioni dal IV. Non ci sono certamente impedimenti né teologici né tradizionali per il ripristino. Quello che accade nella storia è una continua rimozione delle donne, che tanto nella chiesa come nel mondo dovrebbero essere più valorizzate. Per le donne, però, essere valorizzate significa qualcosa di molto ampio e profondo: essere riconosciute come soggetti che pensano, parlano, scrivono, decidono, immaginano, profetizzano, agiscono, guidano… Se tolgo un prete e metto una donna non ho risolto niente, se rimane lo stesso modello a piramide di prima, con una sola persona che comanda, bisogna fare in modo che tutto il popolo di Dio si senta e sia parte attiva della chiesa»
Le suore italiane ormai non esistono quasi più…
«Credo siano in gioco diversi fattori, tra questi conta l’immagine del femminile che viene proposta nelle nostre chiese, irricevibile per molte di noi che abbiamo conosciuto la libertà dei femminismi».
La chiesa è sessista?
«Il problema è che nella chiesa, le donne da un lato vengono esaltate e idealizzate e dall’altro si trovano mortificate se non addirittura demonizzate. Ho cercato di spiegarlo anche al Papa: esistiamo o come figure ispiratrici che non hanno potere e non decidono nulla, oppure come problema».
Perché non si riesce a coinvolgere i giovani nella messa?
«La liturgia ha un ritmo lento e per i ragazzi e le ragazze significa noia. È divenuta incomprensibile nei gesti e nelle parole, spesso ragazzi e ragazze si lamentano per il senso di distanza da quello che vivono. Se il vangelo è una buona notizia, occorre che queste generazioni possano riconoscerlo nella loro quotidianità, in quello che vivono. Non sarà certo attraverso qualche ritocco estetico nella comunicazione, che potremo recuperare il dialogo e i legami con loro, ma con una reale attenzione al presente».

Fonte: corriere.it 

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