Forse i preti sposati non sono poi i preti di serie B che si vuol far credere

Il Blog esvaso.it pubblica la testimonianza di Damaso Feci prete sposato

Preti sposati? E’ un dibattito di molta attualità e vorrei portare il mio mattoncino attingendo, in parte almeno, alla mia personalissima esperienza senza per altro pretendere di farne un caso esemplare. Abborderò il soggetto in modo sereno e pacato, non volendo dare lezioni a nessuno o indicare una via di uscita. Il mio unico scopo? Facilitare una riflessione seria tra i pochi interessati che mi vorranno leggere.

Non mi sono mai vantato di aver lasciato la talare, ma non me ne sono mai pentito. Se qualcuno pensasse, leggendomi, che sto preparando un mio ritorno, è sulla strada sbagliata. Anche solo per limiti di età. Non vi stupirò ricordandovi che i primi preti sui quali è sceso lo Spirito Santo il giorno della Pentecoste, e che furono inviati da Gesù nel mondo a convertire le genti, erano sposati. E si sarebbero meravigliati se avessero saputo che quindici secoli dopo la Chiesa di Roma, proprio quella fondata da Pietro,  avrebbe imposto ai preti il celibato. La loro cultura ebraica glielo impediva. Il primo Papa, Pietro,  era sposato e tutti i Papi dopo di lui erano sposati con tanto di prole da mantenere.

Ma ritorniamo ai nostri giorni. Trovo avvilente il modo in cui la nostra stampa italiana tratta il tema “preti sposati” come fosse una soap opera. Per vendere bene il pezzo ecco che appare la donna fatale che fa innamorare l’inesperto, e spesso bell’ uomo di chiesa, che avendo incontrato l’amore in età un po’ avanzata, si mette a cinguettare Strangers in the night con una struggente cantilena che neanche Frank Sinatra. Sono i casi più frequenti. Forse si tratta di persone che di vocazione non ne hanno mai avuta.
Tanti anni fa le nostre buone mamme  sognavano di avere un figlio prete e di fare un giorno la madre del prete in una canonica. Era uno stato sociale di prestigio. Dài oggi e dài domani, il piccolo si lasciava convincere. Oppure lo mettevano a studiare in seminario o dai salesiani perché lì si studiava meglio. E il ragazzino si innamorava dei suoi maestri e poi cominciava a sognare di diventare come loro da grande.

Una legge ecclesiastica, non un dogma, adottata dopo secoli di discussioni e censure, e si noti, solo dalla Chiesa latina di Roma, decretò che il prete che si sposa non può più esercitare il sacerdozio. Siamo al Concilio di Trento del 1563. Si sa che non si è arrivati a Trento di punto in bianco, ma è in quel Concilio che la dottrina del celibato è stata definitivamente adottata e i seminari sono stati istituiti. Devo sottolineare una cosa importante. Il giorno dell’ordinazione la Chiesa canta al nuovo eletto: “Tu sei sacerdote in eterno”. Il sacerdozio è un sacramento e, come il battesimo, ti si attacca alla pelle e non lo perdi più. La Chiesa può toglierti la possibilità di esercitarlo, ma il prete resta prete.
La Chiesa aveva tutto il diritto di imporre questa norma ai suoi chierici. Il Papa è come un impresario che dirige una grande fabbrica: deve poter scegliere tra gli operai quelli che gli sembrano più atti ai fini dell’obiettivo che si è imposto. Soprattutto in un’epoca in cui gli operai erano in sovrannumero. Del resto buona parte dei preti fa il suo dovere e rispetta la regola.

Spiace solo notare che lo stesso rigore non sia stato messo in atto negli ultimi tempi per i preti pedofili di cui non abbiamo ancora finito di contare la folta falange e gli effetti devastanti. Scopriamo che i vescovi li spostavano da una parrocchia all’altra, a volte da una diocesi all’altra, senza prendere la sola misura giusta: privarli dell’esercizio sacerdotale tout court. A volte mi viene da pensare che la stessa sorte avrebbe potuto essere riservata senza se e senza ma a quei preti che avendo messo incinta una donna ne hanno avuto un figlio. E poi si sono girati dall’altra parte continuando a insegnare la morale cristiana e ad impartire i sacramenti. Don Abbondio, che era prete e certe cose le sapeva,  diceva: “Il coraggio uno se non ce l’ha, mica se lo può dare”.

I  casi di preti che lasciano il sacerdozio per innamoramento sono tanti. La maggioranza? Forse. C’è però tutta una tipologia di preti che si sono consacrati alla vita sacerdotale in modo serio e hanno esercitato la loro funzione senza sconti, ma poi poco a poco hanno capito che non era la loro strada e hanno chiesto la dovuta dispensa. Non c’è, nell’armadio, nessuna dama bianca. Questi ex-sacerdoti non si sono più riconosciuti nell’insegnamento teologico, morale e sociale della Chiesa e, ad un bivio del loro cammino si sono posti una domanda: posso continuare a predicare quello in cui non credo più io stesso? Perché quello che fa la differenza tra il prete e un monaco è che il prete deve predicare, la parola fa parte essenziale del suo mestiere come la preghiera per il  monaco. “Andate e predicate” .

Cominciavano a crescere anche in me molti dubbi su quello che predicavo. La teologia della famiglia così come è stata presentata dall’Enciclica Humanae Vitae di Paolo VI nel 1968, fu per me, che stavo terminando gli studi di teologia all’Università di Milano, il big bang che accelerò la mia riflessione e crisi spirituale. Un mio collega prete, con una battuta un po’ semplicistica, lo ammetto, disse: “Per un celibe trattare dell’amore tra due sposi e dei metodi anticoncezionali è come per un astemio andare ad un concorso enologico“.
Che un uomo abbandonato da sua moglie (o viceversa) e obbligato al divorzio sia anche privato della Comunione, è per me un’insopportabile ingiustizia alla quale la carità cristiana dovrebbe opporsi. Alcune tesi della dottrina Mariana non trovano riscontri nei vangeli e per questa ragione essa diventa purtroppo un ostacolo nella ricerca dell’Unità con le altre famiglie di fede cristiana. La divisione tra le Chiese è un scandalo che dura da troppo tempo e trovo incomprensibile che la pastorale per lo più lo ignori.

Penso che la Chiesa dovrebbe dirigere il greggio camminando davanti e non dietro. Che dovrebbe aiutare i credenti a distinguere il grano dall’orzo. Trovo molto opportuno dal punto di vista pastorale che Papa Francesco abbia aperto un’inchiesta sui miracoli di Madjugorje. Ci sono credenze che sono nate in pieno Medioevo e che dovrebbero essere affrontate con uguale risolutezza, pena qualche mal di pancia. Si è diffusa nella cristianità in quell’epoca una tendenza al miracolismo e al sensazionalismo (ricordate il capolavoro “Il nome della rosa”?) che perdura ai nostri giorni mettendo a repentaglio i fondamentali. Il sangue di San Gennaro che si scioglie tre volte l’anno a date ben precise, la casa della Sacra Famiglia arrivata a Loreto nel XIII secolo per vie misteriose, il lino esposto a Torino come Sacra Sindone che gli scienziati fanno risalire all’alto Medioevo quando per la prima volta se ne fa menzione nella storiografia cristiana… I miracoli di Gesù erano tutti destinati a curare gli infermi e saziare la gente. Non avevano nulla da spartire con l’incantesimo.
Per motivi di riservatezza tralascio altre credenze/insegnamenti sui quali io la certezza non l’avevo più.

Non pretendo in alcun modo di possedere la verità assoluta sulle cose che scrivo. Non mi ritrovo la vocazione del rivoluzionario. Proprio per questo un giorno, dopo tanti indugi, ho pensato che fosse più coerente da parte mia levare gli ormeggi, e lasciare il pulpito ad altri che hanno solo certezze. Era l’anno 1975 ed ero missionario in Congo. E l’ho fatto con molto riserbo. Che mi accompagna tuttora. Non è stato facile levare gli ormeggi. Tanti sacerdoti l’hanno fatto come me, e per gli stessi motivi. L’emorragia continua senza sosta. E dovrebbe preoccupare ogni cristiano. Tacere e mettere la testa sotto la sabbia non aiuta. Nelle chiese non se ne parla.

Non siamo più nel ‘500. I seminari sono chiusi. I preti sono diventati merce rara e la tendenza, statistiche alla mano, non si invertirà. Contate le canoniche vuote di Val Taro e Val Ceno. Cinquant’anni fa ogni campanile, un prete. Come escamotage stiamo spogliando dei loro sacerdoti le chiese extra-europee, soprattutto africane e asiatiche, perpetuando in qualche modo quella brutta esperienza che fu la colonizzazione. Abbiamo il dovere di preparare il futuro della Chiesa, alla quale continuo risolutamente ad appartenere, senza ingiustificate paure. Il tempo comincia a mancarci sotto ai piedi. Forse un prete sposato non è poi il prete di serie B che si vuol far credere. Gli apostoli, i primi preti sposati, erano tutti di serie B? E Pietro il primo Papa, era di serie B?

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