Lo storico Raymond Douglas, nel suo libro On being raped, è riuscito a parlare di quando un prete ha abusato di lui

«Statisticamente, è quasi certo che chiunque leggerà questo libro conosca un uomo che è stato stuprato, solo che non lo sa». Il libro di cui Raymond M. Douglas parla è quello in cui racconta la sua esperienza personale, di diciottenne abusato: si chiama On being raped ed è edito da Beacon Press. Per tanti anni non ha voluto parlare del suo dramma, di quando era un diciottenne è stato brutalmente violentato da un prete cattolico. Erano gli Anni Ottanta, e allora viveva in Europa.

Poi si è trasferito negli Stati Uniti, è diventato un importante storico e si è occupato della espulsione dei tedeschi dall’Europa orientale dopo la seconda Guerra mondiale. Ed è arrivato, per lui, il momento di mettere a nudo quello che aveva subito. Lo ha fatto con il metodo dello storico di professione, esaminando le ragioni del silenzio a proposito di questo problema e analizzando quanto sia pericolosamente comune e diffuso. Parla dello stigma che la vittima porta su di sé, del suo silenzio, della vergogna e dell’impotenza, mentre i responsabili restano impuniti per anni, se non per sempre.

E’ successo una sera di febbraio. Dopo la scuola Douglas lavorava come guardiano di notte in un college per insegnanti, e aveva il venerdì libero. In uno di quei giorni un prete lo invitò a un incontro, che poi era una festa, alla casa parrocchiale. Aveva una vasta collezione di dischi, una quarantina di anni, l’umorismo svelto. E, secondo tutti, il vizio dell’alcol. Oltre a Douglas, nel suo appartamento, c’erano un altro prete e cinque o sei dei suoi ex compagni di scuola.

Il prete si era sbronzato così tanto che, a un certo punto, i ragazzi gli offrivano solo bicchieri di acqua sporca, per evitare che si ubriacasse ancora di più. Alle due del mattino, concordi sul fatto che il prete fosse così sbronzo da non poter essere lasciato da solo, i ragazzi hanno tirato a sorte il nome di chi avrebbe dovuto prendersi cura di lui, assicurarsi che non scorrazzasse in giro in macchina da solo e metterlo a letto quando la botta dell’alcol l’avesse mandato k.o. E’ toccato a Douglas.

La camera da letto del prete era accanto al salotto con il divano, dove Douglas avrebbe provato a dormire. Ma il prete: «No, aspetta un attimo. Non riesco a dormire da solo al buio. Resta con me finché mi addormento. Ho bevuto un sacco. Non ci vorrà molto. Per favore?».

«A questo punto, sicuramente state arrivando alla conclusione che me la sono cercata – scrive Douglas nel libro -, che mi meritavo tutto quello che mi è successo. Non penserai davvero che la giuria creda che non sapevi cosa sarebbe successo, vero? In realtà, non lo sapevo. Il pensiero non mi ha mai attraversato la mente. Era un prete. Io ero un parrocchiano, e un ex ragazzo dell’oratorio. Ero anche vergine, anche se questo non aveva nessuna importanza dato che l’idea che potesse accadere qualcosa di vagamente sessuale nei miei immediati dintorni era lontana quanto quella che un asteroide si materializzasse quella notte per distruggere la terra».
Douglas aspettava che il prete si addormentasse. «Poi una mano è emersa dall’oscurità e mi ha afferrato la cintura. L’altra mano è seguita, ha iniziato a lavorare alla fibbia. Scioccato, ho iniziato a tirarmi su. Una voce ha parlato bassa ma enfatica da quelli che sembravano pochi centimetri di distanza dal mio orecchio destro. Una voce autoritaria, che non accettava repliche. “Voglio che me lo succhi”».

Douglas ha provato a divincolarsi. «Mi sono dimenato, con tutta la violenza di cui ero capace, con ogni briciola di disperazione adrenalinica che possedevo». Ma non ha funzionato. Il suo aguzzino ha mantenuto la sua posizione senza difficoltà, aspettando che smettesse di divincolarsi. E ha cominciato.

«Molti eventi nella mia vita per me, in ogni senso, sono circoscritti nel tempo: alcuni belli, altri orribili. Perché questa singola notte, tra tutte, non può essere relegata nel luogo a cui appartiene, una spiacevole esperienza del mio passato, ma una a cui sono sopravvissuto e andato oltre? La risposta, credo, è che lo stupro – il mio stupro, almeno; forse quello di molti altri – non ti permette quel tipo di separazione tra gli eventi e il tuo io. Lo stupro è conoscenza, ma non di quella che ti fa, o fa a qualcun altro, alcun bene. Quando sono stato stuprato, ho scoperto cose su me stesso e sul mondo in cui vivo che sarei stato molto meglio se non avessi saputo mai. E per gran parte della mia vita da adulto, questa conoscenza mi ha ucciso».

in http://www.vanityfair.it/news/storie/16/04/23/on-being-raped-douglas-stupro-uomo

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