Omicidio di Don Amos, l’appello dei familiari a Papa Francesco

Reggio Emilia, 29 dicembre 2015 – «Francesco, ascoltaci. Aiutaci tu». Tre mesi fa i parenti di don Amos Barigazzi hanno scritto una nuova sofferta lettera al Papa: gli chiedono che dia loro udienza in Vaticano. L’ultimo tentativo di risolvere il giallo, prima di perdere le speranze ormai ridotte al lumicino: la sorella, i suoi tre figli e un fratello non si arrendono, a distanza di 25 annivogliono sapere chi uccise il loro congiunto tendendogli un agguato nel garage della canonica di Montericco e perché; e – solo dopo – perdonarlo.

A costo di far venir fuori verità scomode, retroscena, mai provati, di molestie. Sono convinti che nella Chiesa qualcuno sappia e possa aiutare a indirizzare le indagini. L’assassino potrebbe essere ancora vivo, indisturbato e impunito. Il timore dei parenti, che si sono affidati all’avvocato Ernesto D’Andrea, è che una prima lettera con richiesta di colloquio, inviata a Papa Francesco due anni fa subito dopo la sua proclamazione, non sia mai arrivata a destinazione. Ha risposto, qualche tempo dopo, il segretario di Stato, all’epoca il cardinale Tarcisio Bertone. Il porporato, in una nota di due righe, dichiarava: «Non sono situazioni di nostra competenza». Un messaggio freddo, non nello stile di Bergoglio, e i parenti ne sono rimasti profondamente delusi.

In quel pugno di anni compresi tra il 1990 e il 1992 Reggio era rimasta traumatizzata da tre feroci omicidi, tuttora senza un colpevole: vittime un ricoverato dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio in permesso esterno, don Barigazzi parroco di Montericco e cappellano di quell’Opg, un chirurgo dell’ospedale cittadino. Un tris di «cold cases» sconvolgenti. L’assassinio di un prete, per i reggiani di una certa età, non costituiva una novità. Durante e dopo la guerra ce n’erano stati molti, finì ammazzato anche un seminarista di 14 anni, Rolando Rivi, di recente proclamato beato. Ma quelli erano stati delitti politici. Qui comunismo e anticomunismo non c’entravano.

Don Amos aveva 63 anni quando il 17 ottobre 1990 rientrò a Montericco dopo una riunione. Mancava poco alle 22. Mise la Panda in garage, scese con in mano l’agenda e i paramenti sacri. Qualcuno lo stava aspettando: gli sparò con un fucile da caccia dopo averlo sorpreso alle spalle. Ci fu prima una discussione fra loro? L’assassino fece inginocchiare la vittima quasi a farle recitare l’ultima preghiera? Voleva solo minacciare e invece gli partì il colpo al solo sfiorare il grilletto? Tante ipotesi. Il sacerdote morì dissanguato, lo trovarono la sorella Adua, la domestica e una vicina di casa la mattina dopo.

Da tre anni don Amos era il parroco del santuario della Beata Vergine di Lourdes che si affaccia su un balcone panoramico delle prime colline, scelto dalle coppie per sposarsi. Era stato mandato là dal vescovo Gilberto Baroni dopo la segnalazione di tensioni nella parrocchia cittadina dell’Immacolata Concezione, guidata da don Amos da vent’anni. Fin da subito si pensò che all’origine del delitto ci fosse l’abitudine del prete di «sperimentare» le uscite dei ricoverati dall’Opg, consentendo loro di respirare qualche ora di libertà. Il cappellano dell’ex manicomio criminale là dentro era cercato dagli internati, per la disponibilità a scommettere sul loro reinserimento. Li portava in gita, li faceva socializzare.

Ma tra i parrocchiani c’era paura: si racconta che le mamme si dessero il cambio per fare la guardia quando i bambini giocavano nel campetto della chiesa o quando frequentavano il catechismo. Un clima insostenibile, che si sarebbe riproposto a Montericco. Ne è indizio la drammatica corrispondenza tra il prete e un ex ricoverato che si era fidanzato con una parrocchiana: don Amos osteggiò la relazione, voleva impedire il matrimonio.

Il sacerdote temeva di essere ammazzato, lo aveva scritto sul diario trovato nel garage. Era stato messo a parte in confessionale di segreti criminali o economici? C’era un movente affettivo o sessuale? Qualcuno covava un odio represso? Oggi c’è da chiedersi perché, oltre a trasferirlo di parrocchia, non fu tolto a don Amos l’incarico di cappellano dell’Opg. Lui si era opposto ben sapendo di rischiare la pelle. Ma si sarebbe potuto rimuoverlo d’imperio.

di MIKE SCULLIN – ilrestodelcarlino.it

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