La riforma della Chiesa

“Non siamo condannati ad una stanca riforma delle cose che sono, ma la rivoluzione è ancora possibile”.

Non è l’ultimo urlo zapatista che sale dal Chapas o la rabbiosa dichiarazione fidelista a Cuba. È il direttore di Civiltà cattolica Antonio Spadaro che sintetizza il senso della vita del suo confratello gesuita Papa Francesco. Lo fa con un lucidissimo e sbarazzinosaggio su Wired, la Bibbia della rete, già diretta da Chris Anderson.

Un testo che parla in molte lingue e può essere letto attraverso molte lenti. Innanzitutto offre un’autorevole e attendibile decrittazione della strategia del Pontefice. “Un cambiamento redentivo” lo definisce padre Spadaro usando proprio le parole di Francesco, in cui la novità, spiega non senza una sua ispirata poesia, è come “la preparazione di una tazza di mate, che richiede che l’acqua si scaldi e che le foglie di erba rilascino lentamente le sostanze antiossidanti”. Un’azione protesa a cogliere il meglio di quello che già esiste, dove “…l’innovazione non avviene conquistando territori di potere e influenza, ma guidando o accompagnando processi in corso”.

Parole che colpiscono e rivelano per chi si sta arrovellando da tempo sul turbinio indotto dal Papa che viene dalla fine del mondo. In particolare appare stupefacente la semplicità con cui si connette l’azione del vicario di Cristo a quanto già sta agendo sulla terra, fra gli uomini. Il magistero di Pietro agisce non insegnando o spostando la traiettoria dell’umanità, ma “accompagnando processi in corso”. Francesco pensa ad una Chiesa che coglie e accompagni i segni del tempo, non che giudichi e decida la direzione dell’umanità. Ma quali sono i segni del tempo? Cosa sta accompagnando Francesco? Il direttore di Civiltà Cattolica non ha esitazioni o prudenze verbali: l’innovazione è oggi la buona novella.

Un’innovazione forte, che muti il destino dell’umanità, che passi per “infrazioni a regole rigide che sono lì solo per tramandare istituzioni”. Un passaggio che a me pare davvero fortemente innovativo rispetto ad ogni lettura della dottrina. L’effrazione alle regole come valore, lo sconvolgimento delle istituzioni come obbiettivo, l’innovazione come “rivoluzione”.

Ce n’è d’avanzo per rendere “i riferimenti al Che parti di una mitologia museale” come, palesemente divertendosi, Padre Spadaro racconta le emozioni suscitate dall’incontro del Papa in Bolivia con i giovani locali nel corso del suo ultimo viaggio in america latina. In questa sede, frenando ogni tentazione di improvvisazione teologica, voglio rimanere sullo specifico digitale. Tale è infatti il tema iniziale dello scritto di Antonio Spadaro che ha per titolo Un Papa vestito di bit. Papa Bergoglio dice di non essere un esperto digitale, di non avere neanche un tablet, ma padroneggia come pochi la filosofia, la cultura di una rete dove sono le relazioni umane a intrecciarsi e diventare un ambiente dove, dice lo stesso Papa “la rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone”.

Una riflessione che ancora non è stata maturata dalle élites intellettuali, o politiche del nostro paese, che continuano a vedere il web, quando lo percepiscono, come una sequenza di soluzioni tecnologiche da acquisire e adottare per meglio parlare con i propri utenti. Padre Spadaro segna un confine rispetto a questa visione mediocentrica della rete, che omologa il sistema digitale ad un apparato di comunicazione come la Tv o i giornali. “La rete è il luogo dove la socialità diventa solidarietà” cita da Francesco padre Spadaro. La rete dunque è vita, un “ambiente di vita, non strumento” precisa il vescovo di Roma,non un surrogato di informazione, da mercificare o misurare con gli stessi criteri di redditività o di attendibilità. Con la stessa disinvoltura, di chi si sente a casa propria, continua a spiegare Spadaro, non vi sono confini o steccati fra reale e virtuale, tanto che lo stesso Giubileo sarà vissuto indifferentemente nelle due dimensioni.

Ma perché questo manifesto digitale? Perché padre Spadaro insiste nella concezione della rete che ha il Pontefice? Il passaggio non è indolore. È ovvio che comporterà ulteriori attriti, nuovi borbottii, maggiori resistenze. Ma, come sempre, quando si parla della rete, ci si trova a destreggiarsi nelle forme delle relazioni sociali che la rete induce, a cominciare da quelle di potere, dalle gerarchie. E a quale gerarchia parla padre Spadaro citando esplicitamente il Papa? Il pensiero torna ai corridoi vaticani, a quelle stanze da cui, fisicamente e culturalmente Francesco rifugge. Anche in questo caso il messaggio che propone Spadaro non potrebbe essere più trasparente e decifrabile: la storia è storia dei popoli più che delle élites. Non potrebbe essere più chiaro il ragionamento e il destinatario. E per rendere più intellegibile la prospettiva che abbiamo dinanzi padre Spadaro si fa trasportare dal suo amore per l’arte: “Per Papa Francesco, scrive, la realtà è come per i futuristi, dinamica, si muove, non sta mai ferma”.

Ma è ancora la rete a fornire lo scenario in cui collocare il futuro. La potenza dei sistemi digitale è enorme, scrive, addirittura si hanno risposte prima di formulare la domanda. Ma senza serendipity, senza imprevedibilità umana, senza sorpresa, “i dati divengono reperti, pezzi da museo”. Ma per non essere travisato, per non rischiare di fornire materia a chi vuol resistere all’innovazione, Padre Spadaro apre un’altra porta “sorprendente”: l’algoritmo che governa la rete deve essere oggetto di contesa, non basta la potenza di calcolo univoca, perché l’algoritmo dominante serve un sistema che non può sostituirsi alla community. Ci vuole un pensiero digitale ma critico. Incompleto, come intende Francesco. Mentre il pensiero sferico, dominante è inerte, vive di equidistanze di equipollenze. Insomma non è conflittuale.

Ed è questo il vero passaggio, che assegna allo scritto di padre Spadaro uno spessore storico: immergendosi nella rete papa Francesco intende assumere una logica conflittuale, dialettica, rivoluzionaria. Di cui la rete è naturale “ambiente”. Non la perfezione della sfera ma la spigolosità del poliedro, le sfaccettatura della dialettica. Del resto, aggiunge Spadaro riportando l’ennesima citazione del pontefice con cui mostra assoluta famigliarità e dimestichezza: “I grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro ma dalla periferia”. Qualcosa di più di una constatazione detta dal Papa che viene da cosi lontane periferie.

Un ragionamento quello del gesuita direttore di Civiltà cattolica, che sembra parlare al sacro ma anche al profano. Ad una curia refrattaria che viene allertata per un anno di grandi nuovi terremoti, e ad una società politica ed istituzionale italiana che viene spinta oltre il ciglio della rete, oltre il burrone dell’immobilismo, constatando che il processo è in movimento, non è deviabile o esorcizzabile.

Questa è la vera constatazione che affiora da questo testo che si chiude con una citazione del fondatore dei gesuiti, Ignazio di Loyola che sembra descrivere profeticamente la pervasività dell’ambiente digitale:

“Non essere limitato dallo spazio più grande, ed essere capace di stare nello spazio più piccolo. Questo è il divino”.

fonte: http://www.huffingtonpost.it/

Traghettilines BOMPIANI 1+1 Abbonanti ad un 2024 di divertimento - Mirabilandia Pittarello - Saldi fino al -70% Frigo vuoto e voglia di vino? Te lo consegniamo in 30 minuti alla temperatura perfetta! Duowatt - Banner generici con logo Tekworld.it Bus Terravision Aeroporto Milano Malpensa Plus Hostels Transavia 2021 Radical Storage Bus notturno Fiumicino Aruba Fibra veloce Hosting Aruba - Scopri di più