La figlia del Papa

DARIO: Sulla vita, sui trionfi e sulle nefandezze più o meno documentate dei Borgia, si sono scritti e stampati grandi romanzi e drammi ad opera di autori celeberrimi quali John Ford, elisabettiano collega di Shakespeare, che mise in scena una propria opera ispirata alla nostra Lucrezia dal titolo un po’ osé, eccovelo: Peccato che sia una puttana (Vi avevo avvertito dell’osé!), e inoltre Victor Hugo, Dumas e la nostra Maria Bellonci. Ancora, negli ultimi anni, sempre sullo stesso tema, sono stati realizzati film di notevole fattura con attori di fama e, ultimamente, anche due serie televisive di straordinario successo.
Ma perché mi è venuto in mente di raccontare e mettere in scena questa storia?

Vedendo una di queste serie televisive mi sono reso conto che era tutto fonte di invenzione tesa a meravigliare e stupire.
Si raccontava solo quello che interessava al pubblico, l’emozione e la sessualità, e ho capito che tutto era giocato con l’intento di andare nel fango, nello sporco pruriginoso di queste storie dove il ludibrio era talmente pretestuoso, da distruggere ogni credibilità della storia. E allora ci siamo messi a studiare, la mia casa si è riempita di libri su Lucrezia Borgia, sul papa suo padre, sulle lotte, sulle guerre e sui macchinamenti feroci e ipocriti, così piano piano mi sono reso conto di quante infamie e menzogne siano state raccontate su questi personaggi, in particolare proprio su Lucrezia Borgia, la figlia del Papa.

Il clima in verità a Roma nel tempo che raccontiamo era a dir poco osceno. Vi leggiamo un passaggio sulla situazione in Vaticano e sul comportamento di qualche papa.
[prendi il libro]

Il 23 luglio 1492 papa Innocenzo VIII entra in coma, e si attende la sua fine entro pochi giorni. Questo pontefice era stimato come uomo colto e grande mecenate dell’arte.
Tutti questi personaggi di grande potere, a cominciare da Papa Innocenzo VIII, assicuravano di essere profondamente esaltati dalla bellezza e dall’arte, ma in particolare, proprio di questo specifico personaggio, Savonarola, accanito fustigatore delle infamie perpetrate da vescovi e papi, diceva: «Il pretesto dell’arte è la stessa dannazione che sta dissacrando con la libido il trono di San Pietro in Roma». E sempre Savonarola concludeva: «Stiamo parlando di papa Innocenzo VIII, nella cui esistenza la sola cosa innocente è il nome, Innocenzo, appunto.»
E pure Dumas, che ha scritto una stupenda storia di Rodrigo Borgia e dei papi che l’hanno preceduto, dice che Innocenzo VIII era chiamato «padre del popolo», poiché grazie alle sue attività amatorie aveva riempito decine di culle – in una vita trascorsa con gran voluttà – naturalmente con amanti sempre diverse. Oltretutto, essendo egli fortemente miope aveva difficoltà ad individuare la bellezza e la grazia delle amanti da scegliere e non poteva certo arrivare immediatamente a mettere loro le mani addosso allo scopo di sceglierle. Ma, possedendo di contro un olfatto eccezionale, riusciva a classificarle annusandole una per una col pretesto di inchinarsi a omaggiare le loro grazie. E ci azzeccava sempre! Quindi assicurava ognuno: “Pecunia non ha odore e non profuma, ma le giunture femminili sì, e di molto profumano!”.
[Chiude il libro]

E adesso, chiarito il clima, è proprio da questa morte di papa, e da ciò che avvenne nell’immediato seguito, che andremo a incominciare.

Il protagonista di tutta questa storia è senz’altro Rodrigo Borgia, di origine spagnola, allora cardinale, che da qualche anno era stato eletto vice cancelliere papale. E qual’era la sua mansione?
Si può dire che la scelta di tutti i nuovi papi che alla fine del ‘400 hanno occupato il trono di Pietro sia stata frutto della abilissima gestione di questo straordinario Rodrigo Borgia. Egli ormai è inamovibile dalla sua preziosa carica ma bada bene di condurre una vita privata assolutamente integerrima. Anzi, a nessuno si doveva dare occasione di sparlare di lui. Egli si era organizzato in modo degno, producendo di sé l’idea di una persona casta ed onesta. Non si era sposato di nascosto, come altri facevano, viveva senza contorno di altre femmine che non fossero sua sorella e una nipotina, con aggiunta di tre piccoli nipoti. Insomma, viveva in famiglia, dove esisteva anche un paterfamilias, cioè il marito della sorella. Ma era lui, Rodrigo, che si era accollato le spese della casa, era lui che aveva sottoscritto l’acquisto di quel palazzo. E per sé aveva tenuto solo una piccola camera dove spesso veniva a riposare.
Egli aveva verso la sorella, più giovane di lui, tenerezze piene di pudore, e con i nipoti mostrava un autentico amore, carico di indulgenza. Cioè a dire, permetteva che si scherzasse con lui anche in modo sguaiato, zio Rodrigo non li riprendeva mai dicendo: “Un po’ di rispetto, altrimenti vi scomunico tutti in blocco!”. Anzi rideva, complice di quei manigoldi.
Intanto il valore della carica vaticana del nostro cardinale cresceva ad ogni occasione. Come abbiamo già detto, egli aveva scelto e decretato l’elezione di ben quattro papi, uno appresso all’altro. Ma a un certo punto esclamò: “Basta, sono stufo di sfornare papi come torte di Pasqua! Adesso tocca a me! Al primo pontefice che tira gli ultimi, sul trono ci vado io!”.
Ed eccolo subito esaudito. Il papa atteso entra in un coma irreversibile.
“Via! Bisogna prepararsi al cambio!” .
A questo punto è inutile preoccuparsi ancora di mantenere integerrima la sua reputazione.
Ormai, giacché sarà fra poco il padrone della santa cattedra di Roma, può buttare nel pattume ogni eventuale pettegolezzo su di lui.
Indice immediatamente un piccolo concistoro di famiglia. Convoca la madre dei bimbi, Vannozza Cattanei, il marito (il secondo, giacché il primo nel frattempo è tornato al Creatore. E giacché una vedova intonsa porta male subito lo zio Borgia la fa rimaritare). E convoca anche i quattro figlioli. Il maggiore, che si chiama Juan, il secondo, Cesare, il birbante di casa, la piccola venere, Lucrezia, che ha undici anni ed esibisce una bellezza e un’intelligenza che non ha eguali, e l’ultimo Jofrè di nove anni. “Eccoci qua, tutti riuniti” li accoglie il pre-papa. Quindi ordina: “Sedetevi in cerchio intorno a me!.
Cari figlioli, ho una straordinaria notizia da darvi, il vostro zio fra poco diventerà papa.””. E Lucrezia manda un grido festante.

SARA: Hamemus papam! Lo zio è pontefice!

DARIO: «Basta così». Lucrezia, saltando fra le braccia di Rodrigo, gli chiede:

SARA: A proposito, noi potremo sempre chiamarti zio o dovremo aggiungere Santità?

DARIO: No figlioli, non mi dovrete più chiamare così, poiché da questo momento tutto cambierà. Per ragioni che appresso vi spiegherò ho dovuto, in certi momenti, anzi, lungamente, recitare, anche con voi tutti, un ruolo completamente inventato.

SARA: Inventato? E perché?

DARIO: Fatemi parlare vi prego, altrimenti mi inceppo. Sono commosso, non credevo fosse così difficile svelare finalmente la verità. No, non mi dovrete più chiamare zio, perché invero non sono il fratello di vostra madre, come vi ho sempre fatto credere…

SARA E JACOPO: Ah no?

DARIO: Così è. E Carlo Canale non è l’autentico secondo marito di vostra madre, e il defunto vostro padre non era affatto vostro padre. Perdonatemi, forse è troppo venire a sapere tutto questo in una volta sola,… Infatti vi vedo annichiliti, prendete fiato e insultatemi pure se non ne potete fare a meno!

SARA: Perché insultarti? Non mi pare cosa tanto grave… Perdona, tu ci vieni a dire che i padri che abbiamo avuto di fatto non sono i nostri genitori. Ma scusa, almeno la madre, è lei che ci ha partoriti? O ci ha sfornati una che passava di lì per caso?

DARIO: Sì, Vannozza è l’unico personaggio reale, autentico in questa storia.

JACOPO: Oh, finalmente una verità!

SARA: E’ proprio vero: di mamma ce n’è una sola! Ma il padre che l’ha ingravidata è vero o è preso in prestito?

DARIO: Ti prego, non usare quel termine, sei troppo bimba… “Ingravidata”…

SARA: Sì, hai ragione, troppo bimba per usare certe parole, ma già pronta per essere a mia volta sedotta.

DARIO: Eh no, per Dio!

SARA: Per favore signor pontefice, permettimi questa libertà di linguaggio. Non ne trovo altro in questo momento. Dicevo, chi è il padre di tutti noi? O abbiamo più padri?

DARIO: No, sono io l’unico uomo di vostra madre.

SARA: Quindi tu facevi la parte dello zio di giorno e l’amante di notte, mettendola ogni tanto incinta! E’ normale! Come la va la va! È bello scoprire di avere un padre così disponibile! Ma è una storia divertentissima, spassosa! (Sara e Jacopo ridono)

DARIO: Lucrezia, non far dell’ironia. Sono già distrutto per conto mio…

JACOPO: Oh questa poi! Un creatore di pontefici, prossimo papa, che si trova a mal partito con le favole raccontate ai figli! C’è da gridare Alleluja! E avete continuato a raccontarci questa fandonia, hai recitato la parte dello zio munifico per tutto questo tempo? Perché?

DARIO: Ma chi ho generato? Delle creature senza pietà! È vero, ho mentito come un lestofante, chiamatemi come vi pare, ma non dimenticatevi che vi ho sempre amato con l’autentica affettuosità di un padre.

SARA: Hai ragione, di fatto anche nel vangelo non si brutalizza un bugiardo… Anche Giuda lo era! A proposito, non hanno mai eletto un papa di nome Giuda? Con due mariti che lo sostituiscono, che si trucca da zio… Zio Giuda! Ecco il suo vero nome!

DARIO: Sì, pestate pure, me lo merito, ma le mie non erano fandonie dette senza fatica. Ho dovuto fingere perché sarebbe stato uno scandalo far venire alla luce la verità, e con quella anche voi ne avreste avuto disdoro.

SARA: Beh, meno male che non siamo riusciti stòrpi, o accecati, come certi gatti fatti in fretta!

DARIO: Ti prego, Lucrezia!

SARA: (prosegue, spietata, singhiozzando)
Ci avete sempre raccontato che non bisogna mentire, che la verità non si può tradire né insozzare. Ed ora veniamo a sapere che tutto nella nostra casa era finto, truccato. Gli uomini che ci avete indicati come nostri padri mentivano, prendendoci in braccio, mentivano sdraiandosi nel letto con nostra madre, e anche lui, il nostro precettore, tutto finto. Cosa diremo ai nostri amici, alla gente che con ironia ci chiederà “Come stanno i vostri padri?

DARIO: ‘Annate a morì ammazzati!’ gli direte!

Tutta questa scena ha luogo quando Lucrezia ha undici anni.
Due anni dopo il Papa e il figlio Cesare decidono che sia giunto il tempo di dare un marito alla bambina. Viene scelto Giovanni Sforza, nipote di Ascanio Sforza, il potente cardinale che aveva favorito l’elezione di Alessandro VI Borgia.
È un matrimonio combinato per giochi politici. Serve a legare strettamente il papa a Lodovico il Moro, famoso Duca di Milano, potentissimo.
Il 12 giugno 1493 Lucrezia sposa il giovane rampollo degli Sforza in pompa magna. Il nuovo palazzo dove vivranno felici per ben quattro anni si trova a Pesaro, nelle Marche, dove il marito è il regnante ufficiale.
Il ménage fra i due sposi sta navigando in acque tranquille. E come potrebbe essere altrimenti? Basta ammirare il famoso ritratto di Lucrezia, che vi mostriamo, per dover esclamare: “Che splendida figliola!”
Ma gli interessi del papa e di tutta la famiglia dei Borgia cambiano all’istante. Rodrigo Borgia ha nuovi progetti: ha deciso di eliminare dal proprio carnet nientemeno che il re di Francia e, al contrario, di riversarsi completamente verso il regno di Napoli. Quindi bisognerà togliere Lucrezia dalle mani dello Sforza cha ha impalmato ormai da quattro anni e spostarla fra le braccia di un nuovo marito legato alla corte partenopea. Lucrezia nota subito uno strano atteggiamento che il padre e il fratello da qualche giorno dimostrano verso il suo giovane sposo, e ha intuito che i due nobili malandrini hanno deciso di eliminarlo. Come? Con che mezzi? Ce lo svela Lucrezia, che va da Giovanni Sforza, suo marito, e subito gli confida di essere molto preoccupata.
[entra in scena Graziano]

SARA: Le cose non si mettono bene, mio caro. So di sicuro che mio fratello Cesare e il padre mio hanno intenzione di toglierti di mezzo.

GRAZIANO: Ma sei sicura? Da chi l’hai saputo?

SARA: Sì, ho le prove, e chi me l’ha detto è persona del tutto ragguardevole quindi ascolta il mio consiglio, tieniti pronto a fuggire e a startene dove puoi trovarti più sicuro.

DARIO: Lo Sforza non si fa ripetere due volte il consiglio. [esce Graziano] Scende alle scuderie dove il suo cavallo turco è già sellato e pronto… un colpo di sperone e lo sposo di Lucrezia parte al gran galoppo, non fermandosi nemmeno un attimo alle fonti per dare il tempo al cavallo di abbeverarsi. Le cronache assicurano che lo sposo era riuscito a raggiungere le Marche in ventiquattr’ore, una corsa che avrebbe ucciso ogni cavallo. Infatti, giunto alle porte di Pesaro, il destriero nitrisce EHEHEHEHEH e crolla a terra, morto.
A sua volta Lucrezia sparisce dal palazzo del Vaticano e il padre, santo padre s’intende, è molto preoccupato, teme che la ragazza combini qualche gesto irrimediabile. Alla fine grazie ai suoi informatori – di cui il Vaticano era già allora ben fornito – riesce a scoprire dove Lucrezia si sia nascosta, e la trova in un convento delle suore di San Sisto a Roma, e lì la raggiunge.
[Alzati]
Ecco il dialogo fra il papa e la figlia nel convento delle suore.
“Lucrezia, credimi, io ti voglio bene davvero, non so cosa farei per te. Ti giuro, tu sei la persona che ho amato e amo ancora maggiormente nella mia vita”.

SARA: Padre, un amore come quello che tu mi offri non mi interessa, è a mezzo servizio. Ti pare un’esistenza degna quella che mi hai imposto di vivere? Mi fai trascorrere tutta l’infanzia convinta che quell’uomo di poco talento che dormiva con mia madre fosse il mio autentico padre. Se non altro dimostrava di volermi davvero bene!
Nello stesso tempo tu ti presenti a me e a tutti i miei fratelli come il benefico cardinale, uomo di religione e di grande potenza. E poi, bello come il sole, all’improvviso ti riveli per quello che sei, prima di tutto non un munifico amico di casa ma l’amante di mia madre da vent’anni, e in questo tempo, scusami se mi ripeto, l’hai ingravidata per quattro volte a tuo piacere. E per finire ti scopriamo essere il cardinale più potente di Roma, prossimo papa, uno sciupafemmine che colleziona avventure amorose a non finire. Tant’è che ti invaghisci di una bellissima mia amica, Giulia Farnese, una ragazzina!, e te la confezioni da amante ma, per una questione di opportunità la fai maritare, e con chi? Col figlio della mia nutrice, un povero tapino senza né arte né parte e mancante pure d’un occhio.

DARIO: Sì, è vero, ma si presenta sempre di profilo così non si nota. Oh scusa, m’è scappata, non lo dico più…

SARA: Per favore, ti sembra il momento di far dello spirito… spirito neanche un po’ Santo oltretutto! Ah, poi viene il mio turno. Decidi con l’aiuto di mio fratello Cesare, tuo degno figlio, che ti posso servire per coinvolgere nel vostro progetto il duca di Milano, che normalmente ti impedisce di muoverti come ti pare. Scegli un suo nipote, anche lui figlio illegittimo come me, figlio illegittimo guarda caso del signore di Pesaro, altro Sforza, e me lo acconci per marito senza neanche chiedermi dopo avermelo presentato (nota bene, io ho tredici anni) senza neanche venirmi a chiedere se un uomo che ha il doppio della mia età mi possa interessare.
Ti sei comportato con più delicatezza quando nelle scuderie papali mi hai mostrato un puledro di razza e hai aggiunto: “Questo è il meglio fra i cento cavalli del papa. Prima provalo, e poi se non t’aggrada e hai adocchiato un altro che ti dà più piacere cavalcare, fai tu, gli infili la cavezza, lo fai strigliare come conviene e te lo porti a casa”. Ecco chi sono, una puledra di razza da cavalcare! Ma tornando all’altro puledro da monta, il giovane Sforza, anche quello mi inviti a portarlo a casa. Io mi ci adatto, non è l’uomo che sognavo per la mia vita, ma prima di tutto si innamora di me, e con lui finalmente scopro per la prima volta cosa significhi venir considerata un essere umano e non solo una pedina da giocare sullo scacchiere dei tuoi affari.

DARIO: Brava! Devo ammettere che tu dimostri di conoscermi meglio di quanto io conosca me stesso. Quindi non sto a cercare nella retorica e nella commozione una difesa a ciò che ho combinato, per come ho condotto e sto conducendo la mia storia. Ma ti giuro che farò di tutto per uscire da questo labirinto dove mi trovo a sbattere qua e là, spesso, credimi, disperato al punto di pensare seriamente ad abbandonare tutto.

SARA: Ma non mi dire, padre. Quando dici abbandonare tutto pensi ad abdicare, o meglio dimetterti e ritirarti a tua volta in un convento? Padre, mi dispiace di non essere nello stato d’animo adatto ad emettere una serie di risate fastose. AHAHAHA (ridacchia)

DARIO: Va bene, ho capito. Oggi per me non è giornata, ma spero che soprattutto tu abbia scelto di rimanertene fra queste mura, per meditare e tentare di comprendere e perdonare la follia che ci ha presi e trascinati tutti fuori di senno e pietà, anche per noi stessi.»

Quindi, con un’uscita di scena degna di un ipocrites del teatro greco, il papa se ne va mostrando lacrime che scendono a rigargli il volto.
Applauso per favore. Un finale così non si può lasciarlo cadere nel vuoto! Come finisce la storia?

JACOPO: Finisce che io, Cesare Borgia, riesco a convincere il marito di Lucrezia, Giovanni Sforza, a lasciare la giovane moglie, a meno che non voglia rischiare di finire ammazzato. E glielo dico chiaramente tout court, in faccia!
Il marito che non ha certo lo spirito di un eroe, accetta, e si ritira dichiarando davanti a una giuria che in quei quattro anni non ha mai consumato il matrimonio. Dormivano insieme ma casti, assolutamente, “buona notte cara”, “buona notte anche a te caro” (Russio) GLU GLU GLU GLU!

DARIO: Ed ecco che all’istante Lucrezia si trova nel mercato delle debuttanti da marito, non solo libera ma di nuovo intonsa, purissima.
Ed ora, come si può impostare un altro matrimonio con i reali di Napoli, o meglio, con il figlio del re d’Aragona senza dare nell’occhio agli interessati?
Si organizza un vero e proprio dialogo di teatro con incontro fra i due sposi e scene d’amore degne di un testo di Shakespeare, Giulietta e Romeo. Chi fra voi ha avuto l’occasione di recitarlo avrà il piacere di rendersene conto… ma la scena in questione non avviene subito, prima, a Roma, succede qualcosa di veramente tragico, sconvolgente.
Il mattino di due giorni appresso i barcaioli dell’Urbe vedono galleggiare sulla corrente del Tevere il corpo di un annegato vestito con panni sontuosi, decorati in oro luccicante. Si scopre trattarsi nientemeno che di Juan Borgia, figlio primogenito del pontefice Alessandro VI. E’ stato gettato in acqua già morto trafitto da colpi di pugnale.
A Roma tutti sanno tutto di tutti e chi sa, dice che quello è un delitto avvenuto in famiglia. L’assassino è senz’altro Cesare Borgia che aveva concordato col padre che sarebbe stato lui a gestire il potere a Napoli ma di colpo eccolo scavalcato dal fratello maggiore Juan. Di qui l’eliminazione.
Il papa Borgia, disperato fino alla follia, non parla, non denuncia, non ordina alcuna inchiesta quindi, dalla pubblica opinione, è dichiarato connivente.
Quel giorno stesso Lucrezia va dal padre.

SARA: Padre, da quello che leggo sulla tua faccia devi star soffrendo davvero senza requie. Ho parlato col tuo maestro di camera, mi ha detto che nelle ultime notti hai urlato disperato per ore. Vorrei poterti aiutare, ma non so come…

DARIO: Grazie di essere venuta da me… Avevo pensato di inviarti una lettera nella quale ti promettevo di lasciarti libera di decidere quel che ti pare… Anzi, fammi un favore, non andartene subito, rimani qua, anzi laggiù, dove siedono gli ospiti. Assisterai a qualcosa che di certo ti sconvolgerà.”

SARA: Perdonami ma le tue riunioni con la Curia non riesco ancora a sopportarle.

DARIO: Ma stavolta, vedrai, resterai stupita, te lo garantisco. Sistemati laggiù, in fondo alla sala e ascolta quello che dirò fra un attimo. Se non altro potrai godere di un concistoro di vescovi e cardinali all’istante trasformato in monumenti di sale, proprio come a Gomorra”.

Ci ritroviamo nella sala degli arazzi gremita di alti prelati che attendono trepidanti l’intervento del pontefice annunciato senza indicare alcun programma. E’ inutile sottolineare che tutta questa scena del grande capovolgimento religioso e politico che il papa dichiarerà di voler attuare, sulle biografie e sui testi ufficiali che narrano dei Borgia non la ritroverete mai, tutto è stato puntualmente censurato. Il perché lo capirete fin dalle prime battute.
Alessandro si leva in piedi dal suo trono e inizia a parlare in tono largo, quasi con difficoltà.

«Permettetemi di comunicarvi il mio stato d’animo di fronte all’assassinio del mio figlio maggiore. Dolore più grande non poteva colpirmi, per lui provavo un amore esagerato, come ogni padre deve provare per un suo figliolo dolce e chiaro com’era Juan. Davanti al colpo che ho subito non riesco più a stimare in assoluto né il papato né qualsiasi altro impegno di valore».
Un lieve brusio si leva dalla sala, il pontefice si guarda intorno, quasi a decifrarne la ragione, e continua: «Se la mia carica mi permettesse la gestione di sette papati, tutti li darei per riavere la vita di questo mio figlio. Di certo una punizione che ha travolto tutta la mia vita non perché egli la meritasse ma sicuramente per qualcuno dei miei peccati, primo fra tutti l’aver pensato ai vantaggi che da questo ufficio io avrei potuto ricevere, dimenticando che sono stato eletto non per lasciare le cose come le ho trovate ma per modificarle nella loro totalità. Ebbene, se questo duro segnale rimarrà inascoltato, d’altro non può accadere che ancora io e tutta la chiesa si venga di nuovo avvisati da chi di lassù ci giudica e quindi ancor più duramente puniti.
Finora è perdurata la consuetudine di alienare beni ecclesiastici, cioè venderli, farne commercio e trarne il massimo utile che, badate bene, non è mai andato di certo nel senso della carità evangelica, ma si è sciolto dentro rivoli di potere che tutti voi qui conoscete.
Da questo istante il perpetrarsi di questa indegnità è completamente cancellato.
E già che ci siamo, chiaramente parliamo di banche. Mi sono riletto con attenzione i sacri testi del Vangelo e, pensate, non ho mai trovato un accenno purché minimo al fatto che, perché la Chiesa prenda corpo e valore fra i disperati, sarà necessario fondare un palazzo dove, attraverso i prestiti e i movimenti commerciali in cui si coinvolgono affari e scambi, si raccolgano beni per una stravolgente emancipazione dell’umanità. Mai ho trovato un accenno a questo!
Di contro nel rileggere il Vangelo mi sono imbattuto in un profeta che sferra colpi di bastone sulle teste dei mercanti che dentro il tempio facevano affari, grazie ai sacerdoti che permettevano di metter banco agli usurai e agli sfruttatori.
Tanto per essere chiari, d’ora in poi nessun cardinale potrà possedere più di un vescovado e non potrà ricavare dai suoi benefici un reddito annuale che superi i seimila ducati. La simonia, che io stesso ho praticato, sarà da oggi punita con anatema, cioè a dire scomunica. Sì, lo ribadisco, voglio per primo impedire che mi si possa indicare come uno sproloquiatore che nel momento stesso in cui punta il dito accusando di ignominie i propri fratelli si intasca con l’altra mano denari e vantaggi, prebende e cariche, per sé e per i propri figli e parenti. L’unico modo di salvare questa chiesa e di rinnovarsi e potersi presentare ad ogni credente trasformato in un altro uomo è quello di spingere con forza il pedale del tornio così da forgiare nuove coscienze e rinnovata carità.
E quindi vi chiedo: come possiamo noi che ci diciamo tramite di Dio, incaricati di preparare la giustizia fra i sottomessi, godere di una paga che sale fino a cento volte di ammontare rispetto ai nostri servi, a cominciare dai preti di parrocchia? Vi ricordate dell’episodio in cui il figlio del ricco crapulone chiede a Gesù: <Maestro, cosa devo fare io per esser degno di camminare appresso a te verso il Regno del Signore?>, e vi ricordate cosa risponde il Maestro? Ebbene, immaginate che oggi lo stesso giovane ponga ancora al Messia il medesimo quesito, cosa risponderebbe il Figlio di Dio? Si limiterebbe a dire: <Spogliati delle tue ricchezze?> No. Aggiungerebbe: <Liberati da tutti i privilegi di cui gode la tua condizione, le prebende, i lasciti, gli appalti, i profitti della corruzione, per non parlare delle ruberie che ognuno della tua congrega organizza senza tema d’essere incriminato e punito. E qui dobbiamo avere il coraggio di denunciare avanti a tutto la curia, che si trova totalmente in preda alla corruzione e all’estorsione. I laici di tutte le province si ritrovano taglieggiati e oppressi dagli amministratori ecclesiastici, e se tentano di ribellarsi vengono inesorabilmente colpiti da un’ulteriore rapina. E per finire – so che con questa mia richiesta rischio di gettare un masso enorme di pietra dentro uno stagno colmo di rane – io chiedo che venga assolutamente interrotta la collezione di concubine per vescovi, cardinali e preti, a cominciare dal papa».
Tutti i partecipanti al concistoro, sconvolti, pensando che il discorso sia terminato, si levano in piedi e ognuno, preoccupato, commenta col vicino le proposte del Santo Padre.
«Fermi tutti! Non ho finito» li azzittisce Alessandro VI. Tutti si arrestano lasciandosi ricadere sulle proprie poltrone. «Volevo avvertirvi che da tre giorni in qua mi incontro per ore con dieci cardinali della commissione riformatrice, e con tutti loro stiamo stilando un programma dei lavori. Non crediate che sia nostra intenzione scuotere solo un poco le coscienze, così, tanto per variare il ritmo monotono degli ingranaggi del potere. Noi imporremo questa trasformazione, perché tutto il marcio che si è incollato ai nostri calzari sia tolto, a costo di essere costretti a camminare poi a piedi nudi».

Il papa, mentre il salone si svuota dei convenuti, rimane solo a riordinare i fogli del suo intervento. All’istante viene letteralmente afferrato da due braccia che lo costringono a lanciare i fogli tutt’intorno, e un viso si incolla al suo volto, riempiendolo di baci. Naturalmente chi gli sta donando quella carica d’affetto è sua figlia Lucrezia.

SARA: E’ meraviglioso, padre quello che hai detto e il coraggio che hai messo nelle tue parole. Sto ancora chiedendomi se questo tuo sconvolgimento abbia prodotto davvero la metamorfosi che ci hai regalato! Per quello che stavi rappresentando, fino a un’ora fa ti ho odiato, padre mio, e ora sento un affetto per te che non ho mai avuto. Ti prego, continua imperterrito in quello che hai deciso di compiere, non tradire la fiducia di migliaia di persone che come me aspettano il miracolo di una chiesa davvero santa.

DARIO
Il giorno dopo il figlio, Cesare, blocca il pontefice suo padre in una stanza dove stanno lavorando per un restauro e subito inizia ad aggredirlo.

[Esce SARA, entra JACOPO]

JACOPO: Padre, hai recitato una sceneggiata davvero sconvolgente, complimenti!

DARIO: Lo sapevo che tu avresti preso male, o meglio con sghignazzi questa mia decisione, figlio. Scusa ma a te non è mai successo di entrare in crisi per qualcosa? Per la vita che stai conducendo, per esempio, ti senti sempre sereno?

JACOPO: Padre, eviterei di parlare di me e darei un orecchio, come si dice, a ciò che dicono di te tutti coloro che in questo momento fingono di sostenerti e che, come te, sembrano caduti da cavallo, fulminati sulla via di Damasco, pentiti e pronti a trasformare il mondo.

DARIO: Lo so che molti di loro stanno al gioco solo per attendere che io inciampi e togliermi di mezzo ma, fuori di qui, ci stanno migliaia di uomini e donne che credono in quello che io mi sono proposto di compiere. È per loro che sono uscito pazzo, come dite tutti voi.

JACOPO: Padre, mi fai venire in mente quel sant’uomo di monaco che sta a Firenze, che urla spietato contro la nostra trista vita.

DARIO: Ah, stai parlando del Savonarola!

JACOPO: Sì, ed è proprio strano, tu hai mandato lettere anche sprezzanti al Savonarola, ricordi? L’hai anche minacciato di intervenire con la forza contro di lui e la massa di Piagnoni che lo sostiene.

DARIO: Sì, ma l’ho sempre rispettato, e ancora oggi insisto nel pensare che sia un esagitato ma di gran valore umano.

JACOPO: Lo so, tant’è che lo hai perfino invitato a venire qui da te e con te combinare qualcosa di molto diverso per la normale Chiesa. L’ho ascoltato anch’io quando davanti a te ha esclamato spietato contro la chiesa: “Noi non diciamo se non cose vere, ma sono li vostri peccati che profetano contro di voi. Noi vogliamo condurre gli uomini ad onesto vivere. E voi invece, principi della chiesa, volete continuare a condurli a lussuria, a pompa e a superbia, poiché avete guasto il mondo e avete corrotto gli uomini trascinandoli alla truffalderia e alla menzogna”.

DARIO: Bravo, bravo, proprio così ha detto!

JACOPO: E tu te ne sei impossessato per meglio illustrare il tuo progetto.

DARIO: Sì, è vero, ho usato le sue parole poiché sono convinto che esse siano autentiche ed efficaci e che possano muovere a fondo le coscienze.

JACOPO: Bravo, padre mio, ma sai a che condurrà questo incitamento dei semplici?

DARIO: Sì, a rovesciare il mio trono, se non mi ci aggrappo con forza.

JACOPO: No, ti porterà al martirio. E tu davvero è questo che desideri? Vuoi il patibolo con le corde per l’impiccato già pronte e il fuoco che arde nel quale hanno gettato polvere da sparo perché il rogo sia più spettacolare? Mi piacerebbe che, invece di essere qui a Roma, fra un anno ci trovassimo a Firenze e potessimo affacciarci dal Palazzo della Signoria per assistere alla conclusione della grande avventura del tuo sant’uomo, il Savonarola. Lo saprai senz’altro che la signoria di Firenze gli ha tolto la protezione e che è previsto che quel processo si concluda con sentenza di morte per lui.

DARIO: Sì, so anche che, qualche mese fa, tu ti sei prodigato per togliere di mezzo il frate e tutti i suoi seguaci.

JACOPO: Ma che stai dicendo, padre? Cosa avrei fatto io?

DARIO: Oh, niente, hai solo organizzato un falso col quale hai indotto il vescovo di Perugia a recitare un ordine che io avrei emanato da Roma nei riguardi di Savonarola. Un ordine di scomunica, naturalmente. Truccato, però, ma che è stato creduto autentico perfino dalla signoria dei Medici, in un primo momento. Poi fortunatamente tutti hanno scoperto che si trattava di un tarocco, caro Cesare, sai cosa intendo.

JACOPO: E quel “tarocco” l’avrei ordinato io?

DARIO: Sì caro, e a mia insaputa. Riconosco sempre le tue falsità, anche da lontano.

JACOPO: Ho capito, non è servito a niente, lo immaginavo. Ero venuto qui soltanto per porti nell’avviso. Ti assicuro che quando te ne renderai conto e cercherai di sfuggire al linciaggio, io sarò pronto a venirti in aiuto. Ti bacio, padre, adios.

DARIO: “Adiòs”. E se ne va.

DARIO: Le feste private in ambienti ecclesiastici, è risaputo, proprio in quei giorni, sono state proibite dalla nuova riforma di Alessandro VI. Ma le feste che non comportano segretezza di programma, cioè dove tutto avviene alla luce del sole e castamente, comprese le danze e i canti, sono ammesse e ben viste da ognuno. Specialmente se, come nel caso che andremo a presentare, sono indette da ordini religiosi quali quello degli Umiliati, che finalmente il Santo Padre in persona ha liberato dalla minaccia di venir definitivamente soppressi.
La festa è proprio organizzata a Roma per celebrare giocosamente lo scampato pericolo.
In questa occasione troviamo Lucrezia, invitata di rango, che oltretutto è stata eletta dal maestro della congrega come anfitriona. Ha quindi il compito di accogliere gli invitati e di porli a loro agio, presentandoli l’uno all’altro.
Con lei, a dare una mano c’è Giulia Farnese, la giovane amante del papa, che Lucrezia cerca di coinvolgere nella festa, giacché la ragazza, in conseguenza della riforma per tutto il clero ordinata dal pontefice nell’ultimo concistoro, è disperata e ogni tanto esplode in lacrime, lamentando che Rodrigo, il papa, ormai non le fa più visita.
Un gruppo di musici accoglie ogni ospite. Fra gli invitati in arrivo c’è un ragazzo molto giovane, forse di diciotto anni, che si presenta a Lucrezia con un inchino esagerato, ma col quale guadagna una sonora risata da parte di tutti i presenti. (pantomima) Nel ritornare all’impiedi perde l’equilibrio e cade di nuovo al suolo. Altra risata. Lucrezia lo aiuta a riprendere posizione e all’istante si ritrova fra le braccia del ragazzo.
Rimangono un lungo tempo uno negli occhi dell’altra come incantati. È chiaro, siamo al classico colpo di fulmine. Infatti per tutta la serata i due non si lascieranno mai.

[Graziano e Sara si siedono uno davanti all’altra]

Si raccontano di sé l’un l’altra, in un dialogo che starebbe a meraviglia inserito fra i contrasti amorosi dell’Ariosto.

[Traccia “viene viento…” (nacchere rosse)]

GRAZIANO: Perdonami… ma chi sei tu?

SARA: Sono una dama di compagnia.

GRAZIANO: Di chi?

SARA: Di Donna Lucrezia, la conosci?

GRAZIANO: No ma ho sentito parlare molto di lei…

SARA: Bene o male?

GRAZIANO: Direi splendidamente. A Napoli, dove vivo, la figlia del papa è diventata quasi una leggenda per innamorati.

SARA: Certo a Lucrezia piacerebbe sentirti fare questi apprezzamenti. Purtroppo non è qui, chissà dove s’è cacciata. E tu piuttosto, chi sei?

GRAZIANO: Un semplice palafreniere del Duca di Napoli, che anche lui, non è qui.

SARA: E quanti anni hai tu?

GRAZIANO: Venti.

SARA: Oh, hai la mia stessa età. Oh guarda! Stanno distribuendo maschere di cartapesta… ne vuoi una?

GRAZIANO: Mah… se ti fa piacere vedermi scomparire la faccia…

SARA: Ma figurati, fra poco tutti saranno in maschera, e noi non possiamo fare a meno di stare al gioco. Piuttosto, qual è il tuo nome?

GRAZIANO: Preferirei non dirtelo, giacché se mi riconoscono io rischio di essere cacciato su due piedi da qui.

SARA: Perché?

GRAZIANO: La mia famiglia è invisa ai Colonna che di fatto sono i padroni di casa.

SARA: Va bene, te lo darò io un nome, Lodovico! E’ un nome pomposo, ti piace?

GRAZIANO: Sì, abbastanza. E tu come ti chiami?

SARA: Bah, inventane anche tu uno per me.

GRAZIANO: D’accordo, ti chiamerò Emiliana, ti va?

SARA: Bello, mi piace!

GRAZIANO: Ma scusa, perché non vuoi usare il tuo vero nome?

SARA: Perché anche io sono una clandestina qui.

GRAZIANO: Clandestina, hai detto? Ma in che senso?

SARA: Sono una conversa e sono fuggita dal convento proprio nel giorno in cui dovevo prendere i voti.

GRAZIANO: Ah, questa poi è grossa! E io dovrei crederci?

SARA: Se preferisci ti racconto che sono una ragazza di piacere e che sono qui a guadagnarmi la vita.

DARIO: Giungiamo senz’altro al momento in cui Lucrezia ed il giovane di Napoli si trovano completamente soli in un appartamento di un palazzo nobiliare.

[mentre Dario pronuncia la battuta Graziano e Sara si alzano e tornano al loro posto]

GRAZIANO: Cos’è successo? Un attimo fa eravamo qui con Giulia, quella spandilacrime, c’era con lei quella che tu chiamavi nutrice e poi il mio compare Enrico, io vado un attimo sul davanzale a prendere una boccata d’aria, torno e non c’è più nessuno.
Ti cerco e trovo tutte le stanze vuote. E finalmente in quest’ultima stanza trovo te, qui da sola. Dove si sono ficcati gli altri?

SARA: Se ne sono andati.

GRAZIANO: E perché?

SARA: Pare sia successo un incidente al figlio di Adriana, la nutrice, che poi è il marito di Giulia Farnese.

GRAZIANO: Oh, mi dispiace! Cosa gli è capitato?

SARA: Non preoccuparti, niente di grave.

GRAZIANO: E hanno portato via con loro anche il mio compare… Perché?

SARA: Perché io credo non sia vera la storia dell’incidente, l’hanno fatto perché potessimo rimanere soli, è un bel regalo no? O ti dispiace?

GRAZIANO: No, no, tutt’altro! E di chi è questa casa?

SARA: E’ mia, ci abito con la nutrice.

GRAZIANO: Tua? Oh questa poi. Scusami, sono preoccupato per il mio compare… pensi che tornino? E quando?

SARA: Non preoccuparti per loro, piuttosto, mettiti comodo sulla poltrona!

GRAZIANO: Grazie. Scusami se mi comporto da allocco stordito, ma ecco… tu mi produci una grande soggezione…

SARA: Soggezione? E perché?

GRAZIANO: Non so, come ti ho vista mi sono detto <Questa non è una ragazza qualsiasi, è una regina>.

SARA: Oh, grazie! Veramente amabile!

GRAZIANO: Perdonami, davvero hai vent’anni?

SARA: Beh, ti dirò che ti ho raccontato una fandonia quando ho detto di averne venti… In verità ne ho diciassette, non ancora compiuti…

GRAZIANO: Beh, stai tranquilla, io ne ho solo uno di più.

SARA: Uno di più di cosa? Di diciassette o di venti?

GRAZIANO: Di diciassette.

SARA: Ah, meno male… E a Napoli hai una ragazza?

GRAZIANO: Sì, ma non ci vediamo mai, anche perché lei non lo sa…

SARA: Nel senso che non ti sei ancora… come si dice… dichiarato?

GRAZIANO: Già… Sai, io faccio tanto il gradasso ma… a te lo posso dire, non sono mai stato con una donna…

SARA: Davvero?

GRAZIANO: No, in verità non è vero, sono… i miei amici qualche tempo fa mi hanno fatto uno scherzo, mi hanno raccontato che andavamo a casa di amiche loro, ci siamo trovati in uno strano palazzo abitato da tante femmine ma non erano loro amiche, in verità si trattava di un postribolo.

SARA: No, che scherzo!

GRAZIANO: La ragazza con cui mi hanno lasciato si è spogliata davanti a me e mi ha detto: <Che aspetti? Togliti tutto quello che hai addosso che ci divertiamo!> e io, come l’ho vista nuda, sono scappato

SARA: Perché, era così poco piacevole?

GRAZIANO: No, non credo… Non l’ho nemmeno guardata bene, mi ha dato solo fastidio il fatto di dover parlare con una donna nuda senza conoscerla

SARA: (si alza e finge di spogliarsi)
Allora, visto che mi conosci, anche se mi spoglio nuda poi tu parli con me?

GRAZIANO: (si alza) Oh mio Dio… Mi stai prendendo in giro, eh?

SARA: Nient’affatto!

GRAZIANO: Ti spogli davvero?

SARA: Certo, e anche te! Avanti, comincia a toglierti la camicia!

GRAZIANO: Ma come?! Così? All’improvviso?

SARA: (fa risedere Graziano) Sì, hai ragione, forse è meglio che prima ci si conosca un po’ di più.

GRAZIANO: Scusa, ma allora tu sei stata già con uomini! Quanti?

SARA: Beh, così su due piedi non saprei…

GRAZIANO: Come non sapresti?!

SARA: Sto scherzando naturalmente! Vuoi sapere la verità? Io sono sposata!

GRAZIANO: No! Nel senso che hai un marito?

SARA: No, il marito non l’ho più. Mi avevano imposto di sposarlo, per questioni… che non ti sto a raccontare. Ma poi i miei hanno deciso di togliermelo di mezzo e sono riusciti a sciogliere il matrimonio, e così ora sono di nuovo nubile, e sola.

GRAZIANO:
(in piedi)
E… quanto tempo siete stati insieme, sposati?

SARA: Ti prego, basta con questa indagine. E’ un sacco di tempo, da quando ti ho sollevato da terra e ci siamo abbracciati, e poi ti ho guardato, che ti voglio confidare una cosa… Sai cosa ti dico? Che sei il più bel giovane che abbia mai visto in vita mia. Tu hai detto che io sembro una regina, ma tu sei più bello di un re. Ti sposerei anche subito. Pur di far l’amore con te.

GRAZIANO: Con… con… con me? Davvero?!? Anch’io…

(si siedono vicini, uno nelle braccia dell’altra)

DARIO: Il mattino si risvegliano uno nelle braccia dell’altra. Si distaccano appena e stanno in silenzio ad osservarsi, per lungo tempo, poi lei si leva all’impiedi sul grande letto ed esclama:

SARA: (si alza)Dio! Visto dall’alto e tutto nudo sei ancora più bello! Ma di che casata sei tu, napoletano?

GRAZIANO: Non posso dirtelo, non so se ti farebbe piacere, e poi temo che mio padre e i suoi fratelli non mi concederebbero di sposarti.

SARA: Lascia correre, dimmi di che casata sei.

GRAZIANO: Aragona.

SARA: Aragona! Dio santo! (si allontana) Come dire che tuo padre è il re di Napoli

GRAZIANO: Sì, ma io sono un Aragona illegittimo.

SARA: (si riavvicina) Se è per quello anch’io sono figlia illegittima.

GRAZIANO: Di chi?

SARA: Dei Borgia

GRAZIANO: Borgia? Oh, santa madonna! (si allontana spaventato)

traccia musicale “a ‘na fenestra s’è spuntato …..” (nacchere rosse)

 

 

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