Condanna don Gatti, ecco le motivazioni

PERUGIA – Don Lucio Gatti è stato condannato a due anni di reclusione (dietro patteggiamento) perché non «poteva emettersi sentenza di assoluzione nel merito ex articolo 129 cpp, alla luce degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero (in particolare indagini di pg, dichiarazioni testimoniali rese dalle persone offese in sede di incidente probatorio, sommarie informazioni a riscontro) da cui emergono con chiarezza le varie condotte di abuso dei mezzi di correzione e molestie sessuali in danno della comunità gestita dal Gatti». È quanto spiega il giudice Alberto Avenoso nelle motivazioni della sentenza che ha chiuso il caso sulle molestie e gli abusi perpetrati dall’allora direttore della Caritas diocesana di Perugia, attualmente sospeso dal sacerdozio per cinque anni.

Sempre secondo il giudice per l’udienza preliminare «corretta risulta la qualificazione dei reati nei termini di cui in epigrafe. Congrua e corretta appare, quindi, la pena richiesta per gli imputati» e considerando l’applicazione «della diminuente di cui all’articolo 609 bis comma III cp, non essendo stata usata specifica particolare violenza nei confronti delle persone offese» si calcola la pena base per il delitto «di cui al capo E, più grave, anni sei di reclusione ridotta ex articolo 609 bis comma 3 cpp; aumentata (in parti eguali per ciascun altro reato) a complessivi anni tre … definitivamente ridotta per il rito ad anni due di reclusione».

L’accusa più grave, quella del capo E, riguarda un episodio nel quale «in qualità di direttore della Caritas diocesana e come tale responsabile della comunità di San Fatucchio, dopo aver accolto … in comunità, offrendogli l’opportunità di ottenere un permesso di soggiorno e approfittando dello stato di soggezione che la persona offesa, clandestina, aveva per tale motivo nei di lui confronti, durante il percorso in auto da Roma a Castiglion del Lago, chiedeva al … di abbassare i pantaloni per capire al tatto dove aveva dolori di cui si era lamentato nel corso della permanenza in comunità, così ingannandolo sulle sue reali intenzioni, toccandogli i genitali … così costringendolo con la minaccia di non fargli ottenere il permesso di soggiorno».

In altre occasioni il sacerdote, difeso dall’avvocato Nicola Di Mario avrebbe «abusato di mezzi di correzione in danno di omissis limitando gli alimenti al di fuori delle ore dei pasti fino a provocare conati di vomito, somministrando anche psicofarmaci senza prescrizione medica, utilizzando metodi violenti quali pugni ai reni, sulle spalle e allo stomaco, anche con l’uso di una lametta tra le dita, cagionando così ferite da taglio, non refertate, utilizzando anche pressioni psicologiche e anche utilizzando in una occasione una forbice infuocata per cancellare parzialmente un tatuaggio su un braccio, consistente nella lettera S, l’iniziale del nome della moglie».

Dello stesso tenore le motivazioni per la condanna del coimputato A. C., difeso dagli avvocati Alessia Riommi e Dario Epifani, che ha patteggiato una pena ad 11 mesi e 15 giorni.

re. pe. – giornaledellumbria.it

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