Il decentramento di Francesco: più poteri alle conferenze episcopali

Un paragrafo dell’esortazione «Evangelii gaudium» preannuncia cambiamenti e la «conversione del papato»: la centralizzazione «complica» e non aiuta la missione
ANDREA TORNIELLI – vaticaninsider
Città del Vaticano

È un paragrafo breve, ma preannuncia cambiamenti significativi, che riguardano lo stesso papato e prevedono decentramento e maggiori competenze per le conferenze episcopali. Al numero 32 del documento reso noto oggi, Bergoglio, riferendosi alla «conversione pastorale» da lui chiesta a tutta la Chiesa, scrive: «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato».

«A me spetta, come vescovo di Roma – aggiunge Francesco – rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione». Bergoglio ricorda che Papa Wojtyla, nell’enciclica «Ut unum sint» (1995) chiese di essere aiutato a trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». Ma, osserva Francesco, «siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale. Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le conferenze episcopali possono “portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente»”.

Ma anche questo auspicio conciliare, osserva il Papa, «non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria».

Ci si può dunque aspettare che tra le riforme che verranno studiate da parte del consiglio dei otto cardinali si preveda anche un ruolo accresciuto delle conferenze episcopali. Già il Sinodo dei vescovi del 1985 aveva avanzato la raccomandazione che fosse più ampiamente e profondamente esplicitato lo studio dello status teologico e giuridico delle conferenze dei vescovi e soprattutto il problema della loro autorità dottrinale. Attualmente il Codice di diritto canonico stabilisce alcune competenze dottrinali delle conferenze episcopali, come il «curare che vengano pubblicati catechismi per il proprio territorio, previa approvazione della Sede Apostolica», e l’approvazione delle edizioni dei libri delle sacre Scritture e delle loro versioni.

Nel 1998, con il Motu proprio «Apostolos suos», Giovanni Paolo II aveva ricordato che le conferenze episcopali vanno considerate nel quadro dell’intero collegio dei vescovi, e che esse non sono soggetto collegiale del governo delle Chiese particolari né istanza intermedia tra i singoli vescovi e l’intero collegio episcopale.

Ora Francesco afferma di voler compiere un passo in più nella direzione del decentramento. A questo il Papa aveva accennato anche nell’intervista con «La Civiltà Cattolica». «I dicasteri romani – aveva detto – sono al servizio del Papa e dei vescovi: devono aiutare sia le Chiese particolari sia le conferenze episcopali. Sono meccanismi di aiuto. In alcuni casi, quando non sono bene intesi, invece, corrono il rischio di diventare organismi di censura. È impressionante vedere le denunce di mancanza di ortodossia che arrivano a Roma. Credo che i casi debbano essere studiati dalle conferenze episcopali locali, alle quali può arrivare un valido aiuto da Roma. I casi, infatti, si trattano meglio sul posto. I dicasteri romani sono mediatori, non intermediari o gestori».

S’intravvede qui il disegno di riformare la Curia romana, rendendola meno burocratica e più snella, ma soprattutto configurandola come strumento al servizio del Papa e delle Chiese, non come organismo centrale di controllo e di governo. Per realizzare questo, oltre ad accorpare i dicasteri esistenti, si trasferiranno competenze dal centro agli episcopati locali.

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