Il revisionismo della Chiesa

di Marco Mazzi
 
La beatificazione di 500 religiosi e religiose morti durante la Guerra Civile in Spagna, svolta nel silenzio sulle connivenze del clero spagnolo con i militari insorti, svolta nel momento in cui il Partito Popolare ed il clero spagnolo insorgono contro la Legge sulla memoria voluta da Zapatero, assume il carattere di una sfida che richiede una pacata risposta

Domenica il pontificato di Benedetto XVI compirà un atto che, nel suo simbolismo, conferma la visione integralista della Chiesa romana in questo momento.
La beatificazione di 500 religiosi e religiose morti durante la Guerra Civile in Spagna (in particolar modo nei primi mesi successivi al pronunciamento dei militari), svolta nel silenzio sulle connivenze del clero spagnolo con i militari insorti, svolta nel momento in cui il Partito Popolare ed il clero spagnolo insorgono contro la Legge sulla memoria – voluta da Zapatero per riportare al loro posto nella memoria degli spagnoli quelli che caddero e soffrirono in difesa del legittimo governo repubblicano – assume il carattere di una sfida che richiede una pacata risposta.

Indubbiamente gli eventi successivi al 18 luglio del 1936 provocarono sofferenze e videro compiere atti inumani da entrambe le parti.
Ho sempre ritenuto di dover pregare, se esiste un Dio, perchè – come canta Guccini – ci liberi da chi "ci paradisa dicendo è per amore". I processi sommari, le stragi per rappresaglia, la furia iconoclasta
macchiarono la splendida risposta del popolo spagnolo teso ad affermare un nuovo umanesimo con la difesa della Repubblica.
Ma chi vuol ricordare quei caduti non può esimersi di raccontare qual’era il comportamento della stragrande maggioranza del clero spagnolo; spesso nelle cittadine (soprattutto rurali) "liberate" dai Tercios o dai sanfedisti carlisti era il parroco che indicava ai fascisti chi doveva essere arrestato e
fucilato. Spesso e volentieri si trattava dei sindaci socialisti o repubblicani, dei dirigenti dell’UGT o della CNT che si erano opposti al linciaggio della furia popolare. Era lui che accompagnava i carabineros a togliere alle "sgualdrine" repubblicane – ritenute incapaci di educare i figli – i bambini per chiuderli negli istituti. Erano loro i quadri dirigenti di quella "Quinta Colonna" che il generale Mola – non l’ NKVD – dichiaravano essere l’alleato principale degli insorti che premevano su Madrid.

Questa era la maggiorana della Chiesa spagnola, principale proprietaria terriera di un Paese dove lo slogan "Tierra y libertad" fu la domanda su cui si mobilitarono i cafoni per contrastare gli eserciti fascisti.
Certo, quei cinquecento religiosi non dovevano essere uccisi per il semplice fatto di essere religiosi. Ma ricordarli vuol dire non tacere sui cinquecentomila spagnoli morti dal 1936 al 1945 (duecentomila i fucilati, i caduti sul fronte della guerra, i morti per stenti e malattie nelle prigioni
e nei campi di lavoro e rieducazione) , negli anni più duri del franchismo, solo perchè leali nei confronti del legittimo governo repubblicano.
Il passare del tempo non può determinare una notte in cui tutte le vacche sono bigie.
Ricordare è un dovere.
Lo è particolarmente in una provincia, Livorno, dove alto è il numero di coloro che partirono volontari per difendere la repubblica, e dove molti – anarchici, socialisti, comunisti – caddero sotto la violenza fascista. Non dimentichiamocelo. (fonte: aprileonline.info)

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