Francesco, vittima due volte: “Prima il prete e poi la vergogna”

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Milano, 10 marzo 2016 – Ci sono dei particolari che l’inconscio decide di nasconderci, a volte per sempre. «Tutti i bambini abusati sviluppano una qualche forma di rimozione». La sua si era incagliata in un indumento: «Pantaloni di velluto». Un giorno, parlando con un altro ex bambino vittima dello stesso prete pedofilo che aveva abusato di lui per quattro anni, dagli 11 ai 15, sentì queste parole, «pantaloni di velluto», e la ferita si rispaccò in due: «Solo allora rividi la prima volta in cui mi molestò: era stata nel seminterrato della parrocchia. Mi fece salire sulle sue ginocchia. Aveva i pantaloni di velluto».

Francesco Zanardi oggi ha 45 anni. Fino a 26 non è mai riuscito a farsi sfiorare, baciare, tenere per mano da nessuno. È stato tossicodipendente, è entrato in comunità, ne è uscito pulito. E alla fine ha deciso di fare qualcosa per gli altri. Così dal 2009 è l’instancabile portavoce di Rete l’abuso, l’associazione che raccoglie le vittime dei preti pedofili. «Siamo 500 in tutta Italia. Tanti? In realtà chi è disposto a parlare non arriva ancora al 10%». Tra loro: Alessandro, imprenditore di 43 anni, dal 2004 denuncia le violenze – «iniziarono a 11 anni» – subite in seminario a Bergamo. Oppure Salvatore, 49 anni di Novara, o ancora Giada, diociottenne di Campobasso. Chi è vittima lo sa: denunciare certe cose è difficilissimo. A volte non ci si riesce mai. «Non è il dolore, è la vergogna a bloccarti. Poi c’è il senso di colpa. Il senso di colpa fa aumentare la vergogna, in un ciclo che non si spezza. Per ultima viene la paura, e quella non ti abbandona mai, anche quando ti sembra di essere di nuovo libero. Non si guarisce dalla paura. Ci si convive, non si guarisce». Alessandro, Salvatore, Giada: «Persone che hanno già fatto un percorso, che hanno già scoperto la sofferenza che viene dal non essere creduti, o dall’essere emarginati: quando si denuncia un parroco pedofilo, l’intera comunità si sente accusata. Perciò fa muro, copre. La violenza peggiore è la difficoltà nell’ottenere giustizia». È il tratto che differenzia la vittima di un pedofilo laico da quella di un religioso: «Eppure il prete, proprio in quanto prete, ha possibilità di nuocere immensamente più grandi».

L’uomo che aveva violentato Zanardi è stato arrestato nel 2012. «Non per quello che aveva fatto a me: quando mi sono deciso a denunciare, il reato era ormai in prescrizione. Ma perché aveva continuato adabusare di altri bambini, nel Savonese». E alla fine è stato incastrato: ha patteggiato un anno. «La legge italiana non aiuta: ogni volta che viene aperto un procedimento contro un sacerdote la procura è obbligata a informare il vescovo. E ancora oggi le nostre istituzioni, laiche e non, sono impreparate ad affrontare il problema, sia per le vittime che per i carnefici. Ma la pedofilia è una devianza che avrebbe bisogno di essere costantemente monitorata. Dalla pedofilia non si guarisce». Per questo «trasferire i preti borderline di parrocchia in parrocchia, come accade, è un atto criminale». Che punisce doppiamente le piccole vittime. «La cosa più terribile? Chi è abusato si sente complice, perché i bambini non sanno di essere bambini. Bisogna diventare adulti per capire di essere stati bambini».

Il Giorno

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