Genova. “Votate Doria”, dai vicoli un prete sfida il cardinal Bagnasco

Tra il pulpito della grande cattedrale sprofondata nei carrugi, parola che la dizione di Genova trasforma in “caruggi” San Lorenzo e quello della piccola-chiesa gioiello di San Torpete, nella piazzetta san Giorgio, sprofondata ancora di più nei vicoli, ci sono in linea d’aria poche decine di metri. Se predichi forte a san Torpete, forse la voce arriva a trapassare il grande portone di san Lorenzo e rimbalza nella sacrestia e nei corridoi della Curia, dove dimora il cardinale arcivescovo Angelo Bagnasco, pastore a Genova e capo di tutti i vescovi italiani, presidente della Cei. E chissà quale sobbalzo avrebbe fatto l’austero e calibrato monsignor Bagnasco se, nelle ultime domeniche di vibrante campagna elettorale, l’eco delle prediche di san Torpete fosse effettivamente giunta alle sue orecchie.

Da quella chiesa-scrigno tuonava il molto reverendo don Paolo Farinella, lì incardinato come parroco e da lì dedicava la sua omelia non certo al Vangelo della domenica o a qualsivoglia altro spunto per far riflettere i suoi fedeli, ma si sgolava in un vero e proprio comizio elettorale per il candidato sindaco del centro sinistra Marco Doria, il marchese diseredato ma non troppo che corre per conquistare il trono di Tursi, partendo dalle posizioni della Sinistra più radicale.
Una, due, tre volte, dieci, cento volte volte il prete ha usato la sua omelia e tutti i mezzi che il suo ruolo ombelicale gli affida nella chiesa, nei caruggi, nella comunità ecclesiale, anche in cima a molti pulpiti laici, tra i quali la rubrica domenicale che l’edizione genovese di “Repubblica” gli ha affidato, per invitare oralmente, per scritto ed anche per volantino, a votare Doria.
“In tempi di elezioni sarebbe ipocrita, spiega questo sacerdote accanito e molto tifoso, parlare solo del Regno dei Cieli e non entrare nel presente”. E cosa c’è di più “presente” che le elezioni? E cosa c’ è, allora, di più intrigante di un altro sacerdote che si scatena nella campagna elettorale della città dove don Andrea Gallo, il famoso “prete da marciapiedi”, è già stato uno dei sette promotori della candidatura di Doria nelle famose primarie?
La storia si ripete a Genova, dopo decenni e decenni, e sembra sempre la stessa, tra la Chiesa e la politica, ma è il finale che cambierà.
Ieri il cardinale-principe Giuseppe Siri, per 45 anni sulla cattedra di San Lorenzo, il due volte papa mancato, affrontava i cosiddetti cattolici del dissenso con i loro sacerdoti e poi perfino uno dei suoi figli prediletti, don Gianni Baget Bozzo, quel prete che fu anche socialista e poi berlusconiano doc, eurodeputato “azzurro”, uno degli “ispiratori” del berlusconismo, malgrado la sua origine di stretta osservanza siriana.
E oggi, a 22 anni dalla morte di Siri, il successore che più gli assomiglia per taglio, stile ed anche autorevolezza e per il fatto che anche lui è un genovese, perfino nato nei caruggi, Angelo Bagnasco, affronta i suoi preti sul terreno difficile dei rapporti tra la Chiesa e la politica e la campagna elettorale più confusa dell’era moderna.
Il caso Farinella striscia in questa città diversa da quella delle contrapposizioni di Siri con i suoi preti ribelli. Ci sono molte differenze tra quella chiesa e il suo modo di interpretare il proprio ruolo e “questa” altra chiesa del terzo millennio, nella quale i poteri forti spaziano a tutto campo e non hanno rimbalzo nei partiti crollati con le ideologie e gli scandali morali.
Siri lanciava “ i comitati civici” pro Dc e i preti che incominciavano a dissentire da quel cardinale potente, stentoreo, avversario del Concilio Vaticano II di papa Giovanni, non si sarebbero mai sognati di scrivere, volantinare e urlare dal proprio pulpito di votare per un candidato che non fosse quello con lo scudo crociato.Quei preti ribelli di allora, tra i quali incominciava ad arruolarsi anche il don Gallo di oggi, ma con quali toni e quante riverenze in più di oggi, tutt’al più “spalleggiavano” in silenzio, aprivano ai nuovi riti, “tolleravano”una dottrina più aperta, fosse il catechismo olandese, fosse la Teologia della Liberazione sudamericana, spingevano perché il dettato del nuovo Concilio fosse applicato e non stretto in un recinto, sbilanciavano il loro impegno più nel sociale che nel liturgico, ma non avrebbero mai “fatto propaganda”, scritto sui giornali di votare per uno piuttosto che per l’altro.

Chi non piegava la testa, come il padre francescano Nazareno Fabretti e lo stesso don Gallo, doveva andare in esilio, lontano da Genova.

Agli appelli di don Farinella, il prete ribelle di oggi, ha risposto per ora un silenzio glaciale da parte della Curia e del cardinale Bagnasco, che pure interviene quasi ogni giorno sui temi sociali e politici e il cui pensiero sui temi brucianti della campagna elettorale è ben conosciuto, come le sferzate che lancia ad una classe dirigente e imprenditoriale troppo poco coraggiosa. La Curia tace e mastica amaro. Siri tuonava, emetteva provvedimenti, sospendeva “a divinis”, come fece proprio nei confronti di don Baget Bozzo per colpa della sua casacca craxiana.

L’indicazione a come comportarsi in questa campagna, nella quale tutti guardano allo strafluttuante partito dei cattolici, interrogandosi su dove finiranno quei voti, da parte di Bagnasco era stata, diretta e precisa. Un articolo scritto sul settimanale diocesano “Il Cittadino”, la testata storica nella quale fino agli anni Settanta si coniugavano quotidianamente le istanze ortodosse dei cattolici, mediate dalla Dc tavianea, firmato dal suo direttore, don Silvio Grilli, aveva chiarito: “ La Chiesa non ha candidati”. E, qualche numero dopo, lo stesso settimanale aveva aggiunto che si ricordava ai parroci che non era consentito offrire spazi parrocchiali ai candidati di alcun partito”. Ed era seguito anche un invito alla politica ad essere “trasparente”, cioè a non inseguire ambiguamente i don Farinella di turno. Insomma Bagnasco le regole le ha dettate e anche dettagliate. Siri non ne aveva neppure bisogno.
Come giustificare allora la liturgia di don Farinella? Basta sprofondare nei caruggi, seguire quel percorso tra san Lorenzo e san Torpete e andare a seguire una messa, magari la “grande messa” della domenica mattina del reverendo per capire che si tratta veramente di un comizio politico. L’omelia è precisa e martellante e l’indicazione di voto è ripetuta e prevalente. Don Farinella coltiva bene i suoi fedeli, che vuole siano anche buoni elettori. Alla fine del rito li aspetta sulla porta della chiesa e li saluta uno per uno, distribuendo anche le sue “riflessioni” ciclostilate, che non sono sul vangelo di Matteo o Giovanni, ma sullo stato in cui si trovano la città e i suoi caruggi e su come bisogna fare per ovviare: votare Doria, ovviamente.
Quo usque tandem? La Curia continua a masticare amaro. Una volta, ai tempi di Siri, cui Bagnasco si spira con grande applicazione, c’erano grandi preti della chiesa genovese che funzionavano da ambasciatori e che svolgevano una delicata e sensibile azione “ponte” tra la Curia e i ribelli.
Quando don Gallo “tuonava” dal pulpito della chiesa del Carmine e violava le rigide ortodossie siriane e Siri lo aveva trasferito a fare il prete all’isola della Capraia, una specie di esilio religioso, l’intermediario fu don Piero Tubino, un grande prete, il fondatore della Charitas, recentemente scomparso e già ricordato come un “santo” genovese, che intercesse, trovò una chiesa piccola e un po’ periferica a Genova , alle spalle del porto e un altro parroco che ospitò il “reprobo”.
Da quella mediazione nacque un mare di bene, perché don Gallo mise in quella chiesa le basi delle sue comunità anti droga, accolse gli sventurati, incominciò a costruire quella catena di solidarietà e di assistenza sociale che dura da decenni e che ha salvato chissà quante vita e chissà quante anime. Le due cose non sempre coincidono, ma quando succede allora chi ha operato bene ha spezzato il pane di Dio.

C’è anche da dire che i conflitti tra il cardinal Siri e i preti del dissenso era soprattutto di natura ideologica, non di impegno; l’azione della Chiesa genovese per i poveri e i diseredati è stata sempre molto forte e generazioni di giovani, molti cresciuti ai confini della legalità, hanno beneficiato dell’azione di sacerdoti tanto ortodossi quanto impegnati fino alla morte nel sociale come don Gaspare Canepa e don Giuseppe Ivaldi, creatori della colonia estiva di Monteleco, in val di Lemme, dove ancora adesso a giovani in molti casi disadattati viene data la possibilità di periodi di vita lontana dai miasi fisici e morali dei caruggi.
Nello sconvolto panorama genovese di oggi c’è poco pane da spezzare in comune e da distribuire. Don Farinella non assomiglia al don Gallo di allora e in una società mediatica spara tutte le sue cartucce, senza che ciò susciti neppure molte reazioni, se non l’imbarazzo curiale. Neppure il candidato che potrebbe sembrare unto con l’olio santo della legittimazione cattolica, Pierluigi Vinai, Pdl, membro numerario dell’Opus Dei, vice presidente sospeso della Fondazione Carige, protesta contro la crociata doriana del parroco di san Torpete e commenta le intemerate pro Doria sostenendo letteralmente: “Nel merito Farinella ha ragione, non ci si può occupare solo del Regno dei Cieli, ma era meglio se diceva di votare Vinai, invece che Doria.”
In fondo le mancate censure di Bagnasco dimostrano che la Chiesa non appoggia veramente nessuno e non crea vantaggi a quel Vinai che dovrebbe beneficiare del tam tam cattolico, dei sussurri tra sacrestie, conventi, confessionali ed anche dei rimbalzi e delle genuflessioni dei potenti banchieri e imprenditori dell’Ucid e della Carige, che baciano il sacro anello da pescatore di uomini di sua Eminenza, il cardinale arcivescovo. O no?
Sarebbe questo il prgamatismo elettorale in voga sotto la Lanterna, quello per cui si cacciano solo voti e non principi, come quello che la chiesa stessa suggerisce: “La Curia non ha candidati”? Vinai è sicuramente un cattolico convinto e trae dalla sua fede la forza anche per il proprio impegno “politico”, ma la battaglia elettorale è talmente “spianata” che è saltata la “differenza” cattolica.
Come stupirsi? Il silenzio di Bagnasco continua. Non ci sono più messe domenicali nelle quali “ arringare” i fedeli. Domenica si vota e chissà se don Farinella osserverà il silenzio elettorale, come tutti i politici militanti o se, aspergendosi con l’acqua santa, lancerà il suo “Gloria” per il candidato Doria. Fa anche rima.

di Franco Manzitti

blizquotidiano

3 Maggio 2012

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