OMICIDIO Trieste. delitto Rocco, le telefonate di don Piccoli

TRIESTE Era preoccupato, don Paolo Piccoli. Preoccupato che le macchie di sangue – il suo sangue – rinvenute dagli investigatori sul letto della vittima, potessero incastrarlo. Il prete di 52 anni, accusato dell’omicidio del novantaduenne don Giuseppe Rocco, parla spesso di quelle tracce ematiche.

Lo fa di continuo, con i suoi interlocutori, nelle intercettazioni telefoniche. L’anziano sacerdote è stato trovato senza vita nella sua stanza della Casa del clero di via Besenghi la mattina del 25 aprile del 2014. Sulle prime sembrava morte naturale; ma dalla perizia autoptica del medico legale Fulvio Costantinides, che il pm Matteo Tripani aveva disposto dopo poche settimane dal decesso, era stata riscontrata la rottura dell’osso ioide all’altezza del collo. Gli altri esami sul cadavere avevano confermato la presenza di lesioni riconducibili a un’azione violenta. Don Piccoli, originario di Verona e ordinato all’Aquila, era il vicino di camera del religioso.

Era stato proprio lui, non appena constatata la morte del confratello, a officiare l’estrema unzione. La serie di piccole macchie apparse sul letto del defunto, secondo l’esame del dna, appartengono al profilo genetico di don Piccoli. L’imputazione a carico dell’indagato parla di «omicidio volontario per soffocamento e strozzamento» e di «decesso per asfissia».

L’utenza telefonica del sacerdote è stata messa sotto controllo. Nei dialoghi fatti trascrivere dai magistrati, il prete non cita solo l’indizio principale, il sangue sulle lenzuola, ma tira in ballo anche la perpetua di don Giuseppe Rocco, Eleonora Dibitonto. Che, a sentire Piccoli, avrebbe avuto un interesse concreto sul decesso del religioso: l’eredità.

In una telefonata a un conoscente stretto, intercettata dagli investigatori, il prete si lascia andare a uno sfogo. «Il grande problema – dice – è che ci sono le tracce ematiche sul coprimaterasso. Ma in quel periodo soffrivo di un potente rash cutaneo sanguinante (un’irritazione, ndr) al braccio sinistro, mi prudeva e sanguinavo». Macchie che don Piccoli, a suo dire, avrebbe rilasciato sul letto della vittima durante la cerimonia dell’estrema unzione, poco dopo il ritrovamento del cadavere. «Mi colava sangue – aggiunge il sacerdote in un’altra conversazione – può darsi che facendomi leva (sul letto, ndr) essendomi io inginocchiato presso il morto e rialzato, può essere rimasto quello». Ma le indagini hanno portato a galla anche altre circostanze, tutt’ora oscure: a don Rocco sarebbe stata sottratta una catenina che teneva al collo.

Un aspetto, questo, che viene correlato a una presunta disposizione del sacerdote inquisito ad accumulare oggetti religiosi. E nei giorni immediatamente antecedenti alla morte di don Rocco dalla stanza dell’anziano religioso sarebbero sparite alcune suppellettili sacre o comunque dal valore simbolico: una Madonna, un veliero e un cavallo. Il sacerdote ucciso ne avrebbe denunciato la scomparsa, inserendo proprio don Piccoli, cioè il vicino di stanza, tra i possibili autori del furto. Le tre statuette sarebbero poi ricomparse nella stanza dell’omicidio, proprio dopo la misteriosa morte dell’anziano. Fatti comunque da dimostrare.

Ma è lo stesso Piccoli, in un’ulteriore conversazione intercettata, a entrare nel merito della catenina, la cui scomparsa era stata denunciata dalla stessa perpetua. Dice Piccoli: «Una catenina, da quello che ho capito di tipo devozionale con due ciondoli. Da cui, dice lei (la perpetua,ndr), lui non si separava mai. Ma che nessuno ha mai visto. Che poi lei come c…. facesse a saperlo…allora lo vedeva nudo tutti i giorni, allora!? E allora, qui c’è da pensar male eh!». E, ancora, in un altro passaggio in cui cita i confratelli che forse meglio conoscevano la vittima: «Ma rubare cosa? Ma se don Zovatto che era dal ’60 lì non l’ha mai vista ’sta cosa. Se monsignor Cian non l’ha mai vista! Se il capo manutentore gli pare di aver visto qualcosa un dieci anni fa…ma chi l’ha mai visto nudo questo? Che c…. di figo è a 92 anni?! Vaff…eh, scusa!». Ecco poi la parte in cui don Piccoli fa chiaramente riferimento a Dibitonto e ai possibili vantaggi che la donna avrebbe potuto trarre dal decesso del novantaduenne.

«La perpetua quanto ha ereditato?», incalza l’interlocutore del sacerdote dall’altra parte della cornetta. «Un appartamento grande a Trieste – risponde Piccoli – e svariati soldi in contanti. Gli altri quattro appartamenti, tra cui la villa a Lignano, sono andati ai nipoti. Più gli altri soldi…sì, perché aveva 200-250 mila euro da parte, il signorino…eee…questo l’ho riferito alla Curia di Trieste».

Il processo sull’omicidio riprende il 9 marzo. Nell’udienza saranno sentiti il capitano dei carabinieri che ha condotto le indagini all’epoca, Fabio Pasquariello, e la stessa Dibitonto. I difensori di don Piccoli, gli avvocati Stefano Cesco e Vincenzo Calderoni, hanno chiesto l’audizione di ben 58 testimoni. Il pm un’altra trentina, tra cui anche i medici che si sono occupati della perizia sul cadavere e le persone che frequentavano il seminario. A tutelare gli eredi di don Rocco, che si sono costituiti parte civile, è l’avvocato Libero Coslovich.

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Il Piccolo

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