Un nuovo direttore della Sala Stampa, la comunicazione in Vaticano è un cantiere aperto

Le nomine recenti verso un assetto del Dicastero della Comunicazione, suggeriscono nuove possibilità ma anche tengono vivi nodi che la riforma in corso non ha sciolto

Matteo Bruni, nuovo direttore della Sala stampa Vaticana, stringe la mano al Papa
Matteo Bruni, nuovo direttore della Sala stampa Vaticana, stringe la mano al Papa

Resta da capire parecchie cose della riforma in corso della Comunicazione in Vaticano, ma le ultime nomine (di Tommaso Bruni nuovo direttore della Sala Stampa, e di due vicedirettori (Alessandro Gisotti e Stefano Centofanti) a supporto del direttore editoriale del Dicastero della comunicazione, suggeriscono una riflessione ancora più a monte: dove va la carovana dell’informazione della Santa Sede? Come si è configurata e si sta realizzando finora, risponde alla Chiesa più evangelica che Francesco vorrebbe e propone con i suoi gesti e i suoi insegnamenti? Un fatto è certo: l’immagine del papa è tanto nuova e coinvolgente che si è affermata nel mondo da se stessa.

I media simpatizzanti o avversari ne hanno preso atto e lo rappresentano di conseguenza con il peso specifico che si è guadagnato presso credenti e non credenti. Ma la riforma della Comunicazione serviva al papa o alla Curia romana? La risposta potrebbe diventare una chiave di partenza per cercare di capire la riforma che, finora, si è configurata in un Dicastero dove si mescolano in misura equilibrata il vecchio e il nuovo. Del resto è tipico delle istituzioni ecclesiastiche la gradualità e l’assenza di fretta poiché anche le cose di carattere amministrativo e organizzativo, si vedono con uno sguardo dal punto di vista dell’eternità. E “Roma eterna” non è mai stato soltanto uno slogan, ma una cultura diffusa e pratica, sminuzzata nella vita quotidiana delle diocesi e della Santa Sede.

Mentre si agisce per mettere in pratica le decisioni, si continua a pensare come migliorare e perfino modificare le disposizioni già prese e solo dopo una verifica di anni parte una prassi che si consolida e non si cambia per un lungo periodo.Intorno alla riforma delle comunicazioni ci sono parecchi che scalpitano poiché, trattandosi di comunicazione nell’era della globalizzazione, si pensava che tutto fosse fatto celermente. Ma a monte esiste l’individuazione non semplice del rapporto possibile tra media e struttura gerarchica della Chiesa, tra media e potere sia pure sacro.

Come conciliare in maniera creativa e coraggiosa il rapporto tra l’autorità, custode della verità, e gli operatori della comunicazione che sono i cani da guardia in cerca – per impegno etico deontologico – delle verità anche scomode per il potere? Nella Chiesa cattolica la collegialità e la sinodalità, non sono mai mancate del tutto. Occorre tuttavia riconoscere che importanti progressi nella costituzione di un’opinione pubblica ecclesiale siano stati compiuti specialmente dopo il concilio Vaticano II. E in particolare con il pontificato di Francesco che spinge con forza per una mentalità diffusa tra i cristiani per un servizio collegiale e sinodale al Vangelo nelle comunità cristiane e cattoliche.

Una riforma sarà tanto più efficace quanto più sono chiari i punti di partenza e gli obiettivi che si perseguono. Riformare comporta molto più di pochi o tanti aggiustamenti pratici. Senza dubbio, per quanto finora visto, la riforma delle comunicazioni della Santa Sede si sta dimostrando piuttosto ardua e impegnativa.Il passaggio dal prima al dopo si sta rivelando più laborioso del previsto e le competenze richieste, più esigenti dell’immaginato fin qui. Magari si continua a sperare nell’asso nella manica che una persona gentile come Paolo Ruffini – il primo laico della storia a divenire prefetto di un dicastero vaticano, assimilato pertanto al ruolo riservato finora a cardinali e vescovi – possa tirare fuori magari a sorpresa, dopo averle provate tutte. Infatti, nonostante le ultime nomine, la Comunicazione vaticana continua a restare un cantiere aperto.

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