Di fatto il “professore” e la “maestrina” hanno fatto ciò che volevano: hanno manomesso l’art. 18

La finta trattativa tra governo e parti sociali sull’articolo 18 non poteva concludersi diversamente da come di fatto si è conclusa: con la resa senza resistenza dei sindacati (ad eccezione della Cgil), il silenzio connivente di parte delle sedicenti sinistre parlamentari e il plauso gongolante delle destre fasciste al diktat categorico dei tecnocrati cooptati al governo, specialisti in una nuova politica omeopatica: quella di curare la crisi con lo stesso veleno che l’ha creata.

Finta trattativa. Che razza di trattativa è quella nella quale ci si imbarca con la premessa, parola di Monti, che «con o senza le firme noi andremo comunque avanti»?

Di fatto il “professore” e la “maestrina” hanno fatto ciò che volevano: hanno manomesso l’art. 18, aprendo un’autostrada di possibilità agli imprenditori per licenziare liberamente quando e come vogliono.

«Dal momento che è ormai scontato che il licenziamento potrà essere motivato da ragioni “economiche o organizzative”, nessun imprenditore sarà così sprovveduto da attuare licenziamenti discriminatori o persino disciplinari: un problema organizzativo, con la necessità di ristrutturazione che hanno tutte le aziende in questa fase, si trova molto facilmente. E allora, con i licenziamenti praticamente liberi, succederà una di queste due cose, o meglio tutte e due. In parte verrà posta la scelta tra riduzioni di salario o un certo numero di licenziamenti; in parte ci si libererà di una parte di lavoratori più anziani per sostituirli, a minor costo, con giovani che nel migliore dei casi entreranno con il contratto di apprendistato, tre anni, estendibili a cinque, a salario ridotto e con la possibilità di esser mandati via. Ci saranno un po’ di ammortizzatori sociali, ma con una durata inferiore agli attuali e con meno gente che avrà la possibilità di passare, alla loro scadenza, alla pensione, visto che l’età è stata aumentata. Un meccanismo poco appropriato, ma che finora aveva sostituito, anche se non per tutti i lavoratori, le carenze delle protezioni dalla disoccupazione». Mi si perdoni la lunga citazione del giornalista economico Carlo Clericetti, ma era d’obbligo per la chiarezza.

E su la Repubblica dello scorso 21 marzo, Massimo Giannini ribatte: «Qualunque crisi aziendale sarà regolata con i licenziamenti per motivi economici, al “prezzo” di un indennizzo che costerà poco più di un qualunque pre-pensionamento».

A questo punto non possiamo non puntare il dito contro quello che è un vero e proprio ammutinamento entro i bunker del dogmatismo liberista, che nessuno osa mettere sotto accusa, nella colpevole inconsapevolezza che, per dirla con le parole di Leonardo Boff, «l’economia non è una parte della matematica e della statistica, ma un capitolo della politica»!

«I make money by money», “faccio i soldi con i soldi”, la risposta di Mickey Rourke a Kim Basinger in “Nove settimane e mezzo”, simbolo degli anni Ottanta, è divenuto l’epitaffio sulla tomba dell’economia reale. Con la finanziarizzazione dell’economia, avvenuta alla fine degli anni Novanta, il lavoro è stato ricacciato in una sorta di purgatorio dell’irrilevanza e di conseguenza anche il lavoratore è diventato superfluo, pacco ingombrante di cui liberarsi quanto prima e senza ambascia.

Siamo di fronte ad una vera e propria dittatura sadica e criminale che per salvare le merci condanna chi le produce e per una promessa di futuro benessere costringe ad un reale, generalizzato “male-essere”.

«L’economia mondiale – scrive Eduardo Galeano – è la più efficiente espressione del crimine organizzato. Gli organismi internazionali che controllano valute, mercati e credito praticano il terrorismo internazionale contro i Paesi poveri e contro i poveri di tutti i Paesi con tale gelida professionalità da far arrossire il più esperto dei bombaroli». Come dargli torto?

*Parroco ad Antrosano (Aq), collaboratore di “MicroMega”

 

adista del 7 Aprile 2012

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