Materiale estraneo all’ambiente nel quale, il 26 febbraio a Chignolo d’Isola, è stato ritrovato il corpo senza vita di Yara Gambirasio. Terriccio, detriti, sporcizia, rivenuti sugli abiti della ragazzina tredicenne, che non sono compatibili con il campo incolto di Chignolo.
Una scoperta compiuta nel corso degli esami effettuati da Cristina Cattaneo, l’antropologa forense che dopo avere eseguito l’autopsia sta ricostruendo le modalità dell’omicidio e la cause della morte della piccola ginnasta di Brembate di Sopra.
Quale ambiente, che non è l’area di Chignolo, ha contaminato gli abiti di Yara? Inevitabile il riferimento al cantiere del grande centro commerciale nell’area ex Sobea di Mapello, più volte al centro delle indagini per essere stato insistentemente puntato dai cani «molecolari» impiegati nelle ricerche di Yara.
Altri reperti avevano riportato l’attenzione sul cantiere. Si trattava di piccoli filamenti di juta, compatibili con i sacchi usati nell’edilizia, scoperti sul retro dei leggins di Yara, soprattutto tra la parte superiore e la zona lombare. Nel cantiere era stato anche posto sequestro e poi dissequestrato uno stanzino adibito a deposito di cavi. Cristina Cattaneo consegnerà la sua relazione a fine mese nelle mani del pm Letizia Ruggeri.
Per quanto è stato possibile sapere Yara sarebbe morta per soffocamento. Proseguono i confronti fra il profilo genetico (maschile, di un bianco) trovato sugli slip di Yara e i 2500 dna prelevati nel corso delle indagini. Finora sono state eseguite alcune centinaia di comparazioni, tutte senza esito. È la strada che gli investigatori hanno imboccato con decisione negli ultimi tempi per arrivare all’assassino di Yara. Una sola persona, si è propensi a credere. Un abitante della zona.
di Gabriele Moroni – ilgiorno
Sabato 18 Giugno 2011