Meeting Rimini 2014, Matteo Renzi non va. Al convegno CEI di Firenze la rivincita dei montiani sui ciellini

I padiglioni della fiera di Rimini stanno a Matteo Renzi come il Palazzo Apostolico a Jorge Bergoglio: passaggio obbligato fino a ieri e da oggi all’improvviso paesaggio obsoleto, dislocato dalle cronache alla storia. Il gran rifiuto del premier di recarsi al Meeting di Comunione e Liberazione quale ospite d’onore, rompendo e rottamando la tradizione dei suoi predecessori, somiglia sorprendentemente ai forfait del Pontefice. Sempre meno infrequenti e sempre più eloquenti.

Mentre il Papa meridionalista capovolge l’Italia come Garibaldi, muovendo dalle isole al Volturno, non si poteva immaginare che un Presidente del Consiglio per definizione anticonformista e capo scout, esploratore di sentieri nuovi, optasse per la riviera. Anche Matteo, come Francesco, fa un uso politico selettivo della geografia e del calendario, marcando il territorio e smarcandosi dagli appuntamenti che reputa “fuori luogo”. Con o senza preavviso. Mai però a caso. “Il destino non ha lasciato solo l’uomo”, recita il titolo della kermesse di quest’anno. Ma l’uomo di Palazzo Chigi ha lasciato il meeting al suo destino.

Ci pare fuorviante ricondurne e ridurne le ragioni alla congiuntura negativa che ha investito CL, in vistoso arretramento su entrambe le rive del Tevere, dopo essere stata la favorita del principe durante il ventennio berlusconiano e la favorita dei giornali alla vigila del conclave, sfiorando addirittura il soglio con Angelo Scola, fino al tragicomico epilogo del telegramma di congratulazioni spedito a quest’ultimo dalla CEI, quando la fumata bianca ormai aveva scompaginato i piani e annunciato l’elezione di Francesco. Altrettanto depistante sarebbe attestarsi sul fossato antropologico, sociologico, ecclesiologico che divide Renzi dai ciellini e che tuttavia non ha impedito al sindaco, in altre stagioni, di costruire sull’Arno solidi ponti elettorali tra lui e gli eredi di don Giussani.

La cornice in cui collocare e interpretare gli avvenimenti odierni non è esposta agli Uffizi, ma in Europa. In tempo di mondiali, il debutto di Matteo Renzi a Strasburgo ha infatti messo in scena, oltre al classico geopolitico Italia – Germania, uno scontro di portata continentale tra cristiani. Utile per illuminare, di riflesso, gli orizzonti del cattolicesimo nella penisola.

Gli storici, che da lontano hanno il vantaggio di perdere i dettagli e cogliere l’essenziale, un giorno la racconteranno più o meno così: ci fu un premier socialista e astro nascente della sinistra occidentale, che scelse come slogan del suo semestre di presidenza e fece risuonare nel parlamento dell’Unione il giudizio tagliente del Pontefice argentino, “L’Europa è stanca”, suscitando la contestazione, in un sorprendente rovesciamento dei ruoli, non già delle lobby laiciste, ma del capogruppo del Partito Popolare, il bavarese Manfred Weber, rampollo duro e puro della terra di Joseph Ratzinger.

Basterebbe questo paradosso per ribaltare la prospettiva: non è in atto soltanto un riassetto dei rapporti di forza tra i movimenti, conseguente al cambio di governo, ma un movimento di libera uscita, anche nominale, da sigle, recinti, caserme. Un gigantesco rompete le righe della macchina da guerra che il cardinale Ruini aveva cominciato a costruire la sera del 21 novembre 1993.

“Ho voluto provare il mio esercito. Adesso so quanto conta”, ammise il vicario del Papa e proconsole della CEI, nell’apprendere che il prefetto Carmelo Caruso, sindaco improbabile da lui inventato e inviato allo sbaraglio contro Francesco Rutelli e Gianfranco Fini, non era riuscito a qualificarsi per la finale del Campidoglio. Eliminato al primo turno con l’11,8 % dei voti, che certificavano il declassamento dei cattolici a forza di minoranza e opposizione, quale presupposto della loro presenza nella seconda Repubblica.

Da quel giorno Ruini varò un programma di riarmo strategico, che va sotto il nome di “progetto culturale”, militarizzando l’associazionismo e premiando i reparti d’assalto, dalle divisioni corazzate della Compagnia delle Opere all’artiglieria da campagna di Avvenire, fino alla quinta colonna degli atei devoti. Lasciando invece nella riserva, in retrovia, i movimenti che gli apparivano irriducibilmente spiritualisti, come il Cammino Neocatecumenale, o incorreggibilmente relativisti, come l’AGESCI. Ma che all’indomani del sisma si ritrovano inopinatamente ai posti di comando di Palazzo Chigi, con Matteo Renzi e il sottosegretario Graziano Del Rio.

L’effetto Bergoglio ha investito il mondo cattolico italiano come un meteorite producendo un radicale mutamento di clima e di casacca, dove sono apparse subito più adattabili – e credibili – le “specie ecclesiali” che in politica preferiscono la partecipazione individuale alla mobilitazione collettiva. L’incontro all’interventismo. La trasversalità all’identità. La cultura della “mediazione” a quella della “presenza” organizzata, utilizzando il binomio che al convegno nazionale di Loreto del 1985 aveva segnato una storica sconfitta dell’Azione Cattolica per opera di Comunione e Liberazione.

Quanto al Meeting di Rimini, non fosse altro per sua location fieristica, esso ha rappresentato negli anni la smagliante vetrina di un cattolicesimo che a inizio stagione metteva in mostra i suoi prodotti, sollevando il vessillo dei valori non negoziabili ma intavolando di fatto un negoziato con la classe dirigente politica ed economica, nella consapevolezza di non essere più maggioritario e nella convinzione di poter restare a lungo, però, ago della bilancia del bipolarismo incompiuto.

L’approccio “antagonista”, conflittuale e contrattuale di Ruini, ha trovato espressione compiuta nel Comitato Scienza e Vita e nel Forum delle Associazioni Familiari, raggiungendo l’acme nel referendum del 2005 sulla procreazione assistita e nel Family Day del 2007 a San Giovanni in Laterano. Al confronto, il recente raduno del mondo della scuola del 10 maggio a San Pietro, volutamente definito da Francesco una manifestazione “per” e non “contro”, è parso svolgersi sul pianeta di un’altro sistema solare, non sulla piazza di una stessa città.

Nel mezzo c’è stata una rivoluzione copernicana, con l’azzeramento realizzato da Bergoglio. Che ha restituito la Chiesa alla sua “vocazione maggioritaria”, abbandonando la dottrina Ratzinger sulla “minoranza creativa” e lanciandosi alla riconquista del mondo contemporaneo.

In questo scenario, la figura del cattolico Renzi che ottiene non solo la segreteria del PD, ma l’egemonia culturale sugli ex PCI, guidandone l’ingresso nel Partito Socialista Europeo senza nostalgia del popolarismo, trasferisce in politica il metodo dei gesuiti, pronti a cambiare nomi e costumi per farsi accettare e scalare dal di dentro la leadership di un apparato. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Anche se adesso si chiamano socialisti, o socialisti e democratici, i cattolici non avevano mai contato tanto dai tempi di De Gasperi, tenendo saldamente in mano oltre al governo anche le redini del partito, con l’ex-democristiano Lorenzo Guerini.

Nonostante il richiamo alle sorgenti di don Mazzolari, don Milani e La Pira, il capo scout Matteo Renzi non ha un sentiero e pensiero unico di provenienza. Né una sola tenda di appartenenza. Non rappresenta insomma il cattolico di un movimento. Quanto piuttosto “in movimento”. Esponente di un cattolicesimo politico che per tornare a essere maggioranza è uscito da se stesso e si è destrutturato, naturalizzandosi nel ventunesimo secolo. In sintonia e sincronia con il nuovo corso del papato, ma anche in pragmatica constatazione del modesto apporto calorico che l’endorsement, seppure caloroso, di vescovi e movimenti ha recato a Scelta Civica e al Nuovo Centrodestra.

È ancora la storia a offrirci a riguardo una lente d’ingrandimento e un termine di paragone ravvicinato, per misurare la profondità della cesura operata da Renzi, facendolo precedere cronologicamente da Mario Monti ed Enrico Letta, cavalli di razza del popolarismo novecentesco, nelle versioni liberale e democratica. Personalità di punta e apertura. Raffinate, ma troppo identificate con le formule del passato per esercitare una qualche fascinazione spirituale sul futuro. Diversamente da Matteo Renzi che, pur non perdendo occasione per mostrarsi credente e praticante, risulta culturalmente fluido. In grado di esprimere una nuova leadership d’ispirazione cristiana e farla filtrare attraverso la superficie secolarizzata del suo partito e della società.

Proprio nella città dell’ex sindaco nel 2015 avranno luogo gli stati generali della CEI, con la rivincita della partecipazione sulla mobilitazione. Dell’Azione Cattolica su CL. Della “cultura dell’incontro” su quella del Meeting, termini che nel dizionario italiano-inglese dei movimenti ecclesiali, in uso anche al premier, non rivestono il medesimo significato e non si traducono l’uno nell’altro.

Sarà un ritorno al futuro del concilio, a trent’anni esatti dal convegno di Loreto, dove si celebrò l’ascesa di Ruini e si compì l’uscita di scena dei discepoli di Montini. Che oggi rientrano solennemente dalla “Porta del Paradiso” del Ghiberti.

Quando i vescovi hanno scelto Firenze, all’inizio del 2012, Ratzinger e Renzi con tutta probabilità non immaginavano ancora di poter diventare, tanto a breve, un ex Papa e un ex sindaco. Tempi non sospetti, come si direbbe quindi. Ma anche una magnifica coincidenza. Che proprio per questo desta il sospetto, anche nel più laico e disincantato degli osservatori, di una ispirazione divina e provvidenziale. Foriera di ulteriori sorprese per la Chiesa e la politica.

tratto da http://www.huffingtonpost.it

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